Siamo nel cuore di una festa. Una festa antica e molto amata dalla comunità di Cantoira che si svolge ogni anno in estate presso il piccolo santuario di san Domenico a quasi 1800 metri di altitudine. Non c'è via carrozzabile ma solo sentieri che attraversano un paesaggio naturale di rara bellezza. Un luogo ripido di pascoli e alpeggi appoggiati su un belvedere davanti a un fantastico anfiteatro di vette alpine. Siamo all'interno di un paesaggio sonoro specifico, il suono della festa, documentato, per quanto brevemente, nella traccia sonora. Un vociare festoso, canti polivocali e musica strumentale in lontananza. Chiudono la registrazione una courenda, la danza tradizionale che le genti delle Valli di Lanzo riconoscono come autoctona e propria, di cui parla il nostro testimone e i passi di coloro che danzano, a testimoniarne ulteriormente la vitalità. Vi è una relazione tra la vastità geografica e la disponibilità di apertura sociale dei partecipanti, per lo meno nel senso di essere entrambi una sorta di cassa di risonanza in cui si amplifica il suono, la voce della festa e si accoglie uno spirito condiviso e ricercato. Il giovane Bruno Genotti ci permette di capire qualcosa di più. In poche parole sono condensati significati antropologici, storici, etnomusicologici. Bruno è un ottimo musicista, conosce la propria tradizione musicale e partecipa attivamente ai riti e agli eventi della comunità. E' una persona creativa e poliedrica. Dotato di notevole talento, la sua passione per il cinema lo ha portato a studiare regia in una rinomata scuola torinese. Indigeno che si muove liberamente e facilmente in mondi differenti. Nella traccia audio la sua voce si fa anche corale in un dialogo tra amici. Nel cuore di una festa parlano di festa e sono parte di quel paesaggio sonoro vibrante che risuona nell'ambiente naturale che li circonda e ospita.
Traduzione della registrazione:
Ma, me la sono inventata un giorno lì un po' per caso. Un giorno che avevo buon tempo e avevo già bevuto un po' e allora mi sono messo lì e mi è venuta in mente questa courenda [danza tradizionale, ndr] qua. Ero per lì a una festa, poi ho provato a farla nella mia testa finché poi mi è venuta e l'ho suonata. Ah ma le courende le ballano sempre tutti, sempre, è un ballo che ha... non finisce mai perché lo ballano sempre tutti volentieri. Invece valzer, beguine, tango, tendono a non ballarli più ed è una cosa che va a perdersi. Diciamo che la courenda è una suonata più movimentata che piace di più ai giovani e poi è l'unica che di solito imparano. Beguine, tanghi, mazurca, sono suonate già un po' più lente e un po' più da vecchi e poi ai giovani non piacciono perché non c'è il movimento, hanno voglia di muoversi.
-Incominciamo a imparare, poco alla volta.
-Noi abbiamo imparato dai vecchi, a fare festa!
(Bruno)-Però è bello perché, io adesso vorrei dire, facciamo festa ma penso che esageratamente brilli non saremo mai arrivati a casa.
-Ma, qualche volta si arriva anche, però è la festa che chiama...
-Ma lì sono le feste proprio grosse, proprio belle.
-Ma allora, diciamo, il valore della festa: più è alto il valore e più...
-È il bere, non la festa!
-È il bere, è il bere, come dici tu.
-Bruno, così come abbiamo ballato un tango io e te prima. E lì è festa, lo fai lì così... E poi gli scemi, lo fai per fare lo scemo (inteso per giocare, ndr.).
(Bruno)-Ad esempio adesso lì ci sono alcuni che cantano che fa piacere ascoltarli.
-Cantano poi proprio bene.
-Però mi spiace, io adesso devo scendere
-Come? Sei il priore, vedi poi di tenere un certo...
Testimonianza di: Bruno Genotti (1995), Cantoria, e amici presenti (tra cui uno dei due priori dell'anno), Santuario di san Domenico, 2012
Il buon tempo non è un tempo straordinario, è un tempo vero e proprio. Semmai è straordinario nel senso che è tempo altro dall'ordinario. Il buon tempo è importante in quanto si manifesta la libertà, perlomeno ci si muove in un ambiente in cui è possibile essere più liberi rispetto altri tempi. E' il tempo della festa e per questo è anche tempo cerimoniale. Come tempo culturale è tempo ciclico, che ritorna in alternanza continua con il tempo del lavoro. Si ripetono e ritornano ogni anno le feste calendariali. Una relazione antica tra natura, cicli astronomici, stagionali e attività umane. Un ritorno, un ripetersi che è anche un rinnovarsi, acquisire vigore nuovo. La società si rinsalda. Il buon tempo lascia spazio al pensiero creativo. Una società che non si rinnova, che non pensa, che non si muove, collassa su se stessa. E' un tempo che accoglie. Vi sono similitudini con culture molto distanti, almeno geograficamente. Cercare una musica finché arrivi, come una sorta di entità mobile, in un certo senso è come chiamare uno spirito che si manifesta attraverso la precisa forma di una danza, la courenda. Un'epifania che ha bisogno di un ordine affinché possa materializzarsi e affinché possa essere compresa. E' una testimonianza importante in quanto documenta la vitalità di queste antiche danze popolari di tradizione orale che si basano su una struttura formulare per cui, rispettando una sequenza di misure e uno schema ritmico armonico, le combinazioni sono infinite. In un contesto culturale prevalentemente orale la formularità si trova non solo nella musica e nella danza ma anche nel linguaggio discorsivo, come se ne può cogliere traccia nel dialogo dell'audio, nei canti, nella sequenza dei riti, nel pensiero stesso.
La prassi improvvisativa è il cuore pulsante nella musica popolare, lo slancio vitale. La variante, per quanto minima, è lo spazio di libertà individuale ma rappresenta anche, in un contesto più ampio, motore e alimento della cultura stessa. In assenza di mobilità, di creatività, una cultura deperirebbe per inerzia, per noia, per fame di conoscenza.
Si “chiama” una musica così come è la festa stessa che “chiama” a partecipare, a esserci in quel tempo e in quello spazio. Un tempo necessariamente collettivo. Uno spirito che plasma, uno spirito che si diffonde nel gruppo sociale che lo cerca. Uno spirito dal potere e compito di tenere unito il gruppo sociale. Unione che avviene con l'apertura, sia all'interno del gruppo sia all'esterno, con l'ospite, in cui il dono, l'offrire, il condividere, la solidarietà sono elementi necessari e fondanti. La dimensione rituale è evidente anche in alcune specifiche figure sociali, come i priori, dal latino prior, colui che precede, nel senso dell'importanza che riveste il loro operato. Figure storiche che attraversano i tempi e resistono in funzione della collettività e del rito. Elementi arcaici anche nell'abbigliamento, che si differenzia da quello ordinario per la grande cura, e simbolici che denotano lo status sociale. I priori con una particolare coccarda o coccarde dai priori distribuite e indossate ai partecipanti come simbolo di presenza e partecipazione rituale. Uno spirito che permea gli astanti nell'umore. Ne è testimonianza il breve dialogo in cui prevalgono una certa ironia, un certo umorismo, allegria, simpatia. Dal greco sympátheia, composto da sýn, insieme, e páthos, sentimento, affezione. Un'affinità, uno stare insieme sentendosi più vicini, meno distanti come singolarità ma più simili come società o singolarità condivise. Un avvicinarsi. E poi il vino, altro mezzo rituale, altro elemento funzionale. Un potente dio che arriva da lontano e che permette di sperimentare stati modificati di coscienza senza perdersi in quanto si tratta di stati guidati e strutturati, in questo caso, dal rito. Un'esperienza rituale. Un tempo alternativo al tempo ordinario che ha la proprietà di apportare un beneficio all'individuo e alla collettività. Un'esperienza culturalmente codificata in cui determinati elementi inducono ad uno stato estatico in cui avviene, o avviene in altra forma, l'incontro con l'altro: che sia una parte di sé, la società, l'amico, il sacro, il sogno. Alla festa ci si prepara, a far festa si impara e si apprende ogni volta qualcosa. La festa irrompe quando arriva nella sua bellezza. Una risposta all'atavica necessità, ancora una volta, di comunicare.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Epiphania (2016).
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