Giuseppe Genotti è per tutti Beppe Ceschìn. Appartiene ad una delle storiche famiglie di allevatori della Val Grande ed è tra le persone più note in queste Valli per quanto riguarda l'ambito delle mucche dette “regine” e i relativi combattimenti di atavica tradizione. Le sue splendide regine più volte si sono distinte in queste incruente battaglie che in autunno, ad ottobre, al rientro dagli alpeggi, si svolgono come una grande festa rituale. Un inno alla natura, alla forza materna e all'eleganza, alla Madre Terra e alle sue manifestazioni di fertilità e abbondanza, echi di un'antica simbologia sacra e mitologica. Un'esplosione di colori, suoni, muscoli, polvere, desideri, passioni, emozioni e tensioni che si sciolgono confondendosi nella folla, nella comunità. Persona gentile e ospitale, apre la porta di casa invitando a entrare in un mondo tanto personale e intimo quanto ancestrale e collettivo. Beppe è indubbiamente un grande conoscitore ed esperto in questa cultura della pastorizia. Cultura che comporta molte conoscenze, nessuna delle quali sufficiente senza una predisposizione personale.
Traduzione della registrazione:
Volete che ve ne racconto una? Una volta avevo una mucca bianca e nera, tutta nera con il muso bianco, di nome Ginevra. Comunque quella mucca lì siamo partiti e saliti all'alpe, siamo partiti da Chialamberto, salivamo verso i Chiapì [località Chiappili] poi quando siamo arrivati al Pianetto non avevo più bersane [campane] e l'ho lasciata senza ma bisognava bastonarla, ritornava a casa! E mio padre che si era fermato dietro, aveva caricato la mula, aveva solo messo il basto perché c'era già la strada che andava su, gli aveva solo messo il basto sulla schiena. Arriva su e gli dico: «Ma io Ginevra non riesco a farla andare su» e lui: «Aspetta me, tieni la mula un momento va». Va su ne prende una [di mucca], le toglie la bersana, viene giù: «Sa vieni Ginevra», le ha messo la bersana ed è partita, è passata davanti alla prima ed è arrivata prima. Si era offesa, senza bersana tornava a casa. Io ero giovane, avrò avuto tredici o quattordici anni.
Campane ce ne sono di tutti i tipi e qualità. Ce ne sono di buone, di cattive, di tutti i tipi. Le più rinomate nelle nostre vallate francoprovenzali qui ma anche in quelle valdostane sono le Chamonix. Le Chamonix hanno molto valore, quelle antiche.
Di Chamonix ce ne sono di tre tipi. La serie finisce al numero dodici ma ci sono i quattro zero, tre zero, doppio zero, zero e non ci sono i mezzi numeri. Poi da uno in avanti. Lo zero è grosso così. Noi ne abbiamo due. Per sentire il suono correttamente, sempre da così bisogna farle suonare... [suono della campana]
Hanno questo suono un po' caratteristico, un po' sullo scuro. Poi ci sono quelle che sono appena un po' più chiare, dipende da una all'altra. Quelle più piccole vanno poi sull'acuto (sclin) [suono più chiaro, più vivo]. Da lontano però si sentono di più queste. Subito da vicino magari sembra che il suono più chiaro si senta di più ma da lontano si sentono più queste. Lo scuro da lontano si sente di più.
I ciuchìn di solito li mettevano alla rassegna, perché su sull'alpe li grattavano sulle rocce. Ce ne sono stati di rotti, solo che una volta andavano giù lì al Vernèe [località Vernetto, Ceres], a Procaria, li fondevano, li facevano lì i ciuchìn e allora quando ce n'era qualcuno rotto andavi giù li facevi fondere e te li facevano. Adesso se hai il ciuchìn rotto non sai più da chi andare. Infatti noi ne abbiamo uno, nell'altra casa, e infatti mio padre lo diceva: «Ci sono già due o tre ciuchìn così». Ne ha fatto fare uno solo, è uscita una campana ma fuori dal normale, una campana grossa così, alta così, sembrava una campana della chiesa e un battaglio così. Non so più quanti minuti che durava il colpo... Però un bel giorno si è rotta. Però ho sempre detto che se ne avesse fatte fare due almeno era meglio che farne fare una grossa così. Aveva anche comprato allora dal merciaio di Ceres un servizio di posate d'argento, mio padre l'ha comprato e buttato anche dentro e l' ha fatto fondere anche quello perché non c'era niente che suonava bene così. Solo che se ne avesse fatte fare tre, invece di una campana così, sarebbe stato meglio.
Già che è bello. Bisogna essere un po' intenditori ma le senti le campane come suonano, poi magari c'è a chi piace tutte di una qualità [i modelli di campane], per esempio a Aosta quasi tutte Chamonix mettono, raramente mettono altri tupìn [campane].
Poi invece c'è a chi piace mettere un po' di Chamonix, ciuchìn, bersane, qualche premana... Come dire: ognuno suona a suo modo.
[Campanacci in Svizzera, audio da un video] Senti come suonano? Scuro, ma te da lontano ce ne sono centocinquanta che suonano senti solo bbbbbbbb...
Testimonianza di: Giuseppe Genotti, Beppe Ceschìn (1957), di Chialamberto ma registrato a Cantoira, 03/2019
Volete che vi racconti una storia. Un incipit che è formula, struttura del linguaggio orale, quotidianità dell'uso della lingua madre francoprovenzale, un contesto culturale specifico che trova somiglianze e riscontri in molte culture. Formule che si ritrovano nei canti, nella musica strumentale, nei racconti quotidiani come di magia. Un inizio decisamente adeguato in quanto narra di suoni, animali, uomini e le loro relazioni che potrebbero appartenere a questo mondo così come alla dimensione mitologica e magica. Qualcosa che arriva da lontano e si tramanda, qualcosa che si è vissuto e si continua a vivere, un episodio personale che dice molto di un contesto sociale. E' il mondo della pastorizia e di una cultura specifica, di una società con propri riti, saperi, proprie convenzioni, mitologie, un luogo fisico e ideale condiviso. Un mondo costituito da coordinate e riferimenti in cui il suono ne rappresenta un aspetto importante: una sorta di mappa sonora. Una metarealtà, una narrazione ricca di significati. Nelle culture dove permane una forte presenza di tradizione orale è labile il confine tra reale e immaginario ed è probabilmente in questa liminarietà che si esplicita una verità o meglio un messaggio.
L'antico rapporto uomo-animale e la comunicazione attraverso il suono. Le campane di cui parla il nostro testimone rappresentano un simbolo di un antico patto. Alle origini della domesticazione, una collaborazione per la sopravvivenza reciproca. E si tratta, per l'uomo, non solo di un aspetto utilitaristico in quanto è anche estetico e simbolico, come nel caso del culto delle reine, le regine. L'addomesticamento ha a che fare con un rapporto di dominazione dove non è del tutto evidente chi sia l'addomesticato, chi sia il dominato e il dominatore, chi osserva e chi sia osservato. Di certo il suono dei campanacci, delle campane per animali, è influente in entrambi i mondi, coinvolge dal profondo uomini e animali. Si tratta di un complesso linguaggio sonoro, un intreccio di messaggi in cui l'ambiente naturale stesso è determinante e il risultato è uno specifico quanto variabile paesaggio sonoro. Una vera e propria musica, una polifonia che esprime significati, un ecosistema della pastorizia. Dal movimento ritmico che rivela stati d'animo dell'animale, alla presenza fisica nello spazio, da allarme a orgoglio, dal piacere al presagio, in entrambe sempre le parti: animali e uomini. Una musica che come tale contribuisce a creare società tra comunità umane così come legame tra uomini e animali. Ancora ci troviamo in una dimensione sinestetica in cui i suoni sono colori, in cui i sensi sono contaminati, funzionali a leggere e comprendere una realtà. La cultura di questi suoni è anche tecnica, alchemica, fatta di saperi e leghe metalliche. Il fine è raggiungere, trovare un determinato suono, un suono che va lontano e che sia piacevole. La combinazione di questi suoni è una polifonia dovuta al movimento di animali e all'equilibrio di timbri scelti dagli uomini. Ogni gruppo, ogni formazione ha una propria idea estetica che segue precisi canoni.
Le campane usate per gli animali sono molto più antiche delle campane della Chiesa e anche queste ultime veicolano messaggi: di richiamo, di nascita, di morte, di festa... Si tramanda un'arte millenaria, tecniche di costruzione e riparazione di campane e campanacci per animali rimaste per lo più identiche nel tempo. La magia di un suono antico che prende forma all'interno di una cavità, un suono dotato di potere. I tintinnabula d'epoca romana, con riferimento al suono acuto del bronzo, da cui tintinnio, da tinnitu, suono di metallo. Mentre il termine campana, da cui campanaccio e simili, deriverebbe dalla località di produzione dei vasa campana, strumenti in bronzo del II-IV sec. d.C. di area partenopea. I vocaboli ciòca, ciuchìn, la ciocca alpina, hanno origine dalle clocas: le campane da pascolo probabilmente in ferro. Parola attestata dal VIII secolo d.C. da cui anche il francese cloche, il tedesco glocke, l'inglese clucketbell, clog irlandese, koklokke danese e clopot rumeno. Tutti vocaboli onomatopeici in riferimento al movimento ritmico. Suoni e gesta che arrivano da lontano così come le battaglie preistoriche di mucche tramandate dalla memoria incisa sulle rocce della Valle delle Meraviglie dagli antichi pastori dell'Età del Bronzo. Paesaggi sonori immaginari.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Shapes (1995)
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