La voce di questo Ampai è di Bernardo Ubaudi, voce gentile, disponibile, voce amica. Bernardo è suonatore di clarinetto e per molti anni ha suonato con un fisarmonicista impersonificando, probabilmente suo malgrado, una delle formazioni strumentali più antiche presenti in molte tradizioni musicali. Clarinetto e fisarmonica sono una variante della coppia oboe popolare (chiamato anche piffero, bombarda, etc.) e cornamusa (aerofono a sacco), quest'ultima a volte sostituita dalla fisarmonica. Un duo strumentale molto diffuso, soprattutto in un recente passato, anche in queste Valli con una propria sonorità e mobilità, tanto da essere frequentemente richiesto per feste e riti. Ci sono ben altre connessioni, come spesso accade in questa rubrica. Infatti Bernardo è padre di Pierluigi, voce dell'Ampai n°4, al quale ha trasmesso, oltre a molto altro, l'arte della lavorazione della pietra per la costruzione di tetti e mura e l'arte della musica. In un ambito di cultura tradizionale, come quello di questa comunità alpina, si tratta sempre di un dare per andare oltre, come l'etimologia dello stesso termine “tradizionale” in cui il latino dare, “consegnare”, s'incontra con il latino tra, “oltre”, formando il verbo tradere. Un'altra connessione evidente e poetica è con l'Ampai n°7 “Il movimento che commuove” in cui il soggetto, inventore di automi e presepi mobili, è Cichìn (Francesco Berta), la fisarmonica che ha accompagnato per lungo tempo Bernardo.
Traduzione della registrazione:
Andavamo su. La musica [intende gruppo strumentale] di Cantoira andava su a suonare ai Monti [Frazione di Mezzenile] a ferragosto, il quindici di agosto, tre giorni di seguito. Poi non c'era la strada per arrivare con le macchine, bisognava andare su a piedi, da Bogliano. Poi alla sera, quando tornavamo giù che si era tutti di buon umore, erano proprio delle grandi avventure perché di notte, senza pila, e che ti davano anche vino buono da bere e c'erano sempre storie, commedie per la strada: uno cadeva da una parte, l'altro dall'altra, un altro si agganciava... tutto da ridere.
Con quelli di Mezzenile [sta parlando dei coscritti] siamo andati a Venezia. Dovevamo partire alle otto di mattina dalla Stella D'Oro [Albergo ristorante] lì a Mezzenile. A mezzogiorno eravamo ancora giù verso Fiano e ce n'era uno da una parte e l'altro dall'altra! Ma d'ogni modo noi quando iniziavamo a suonare se erano le quattro di mattina faceva lo stesso. Più che si suonava era per i coscritti, era divertente. E poi ballavano la courenda [danza tradizionale locale] tra ragazzi. Ballavano tra loro la courenda e avevano gli zoccoli di legno, non puoi immaginare là per i banchetti a Venezia che vendevano pesce...
Pietro era il figlio e Renzo il padre. Allora Renzo era uno che cantava molto bene. Pietro invece aveva imparato a suonare il clarino. E una volta, che non c'era la musica di Cantoira a suonare, era venuta quella di Pessinetto e hanno suonato quel valzer che era bello e a loro era piaciuto e così il padre lo aveva fatto ripetere una volta perché c'era un pezzo della seconda parte che non se lo ricordavano, cioè [padre e figlio non avevano memorizzato] il motivo nella loro testa. E allora ha detto: «vi pago una volta da bere se mi suonate ancora quel valzer». E gli altri, figurati, se gli portavano ancora un po' da bere che era già la fine della serata... e così l'ha memorizzato. E dopo Pietro con il clarino, il figlio, aveva il clarino e l'altro fischiava la melodia e l'hanno trascritto così. Quello che era anche bello [intende un'altra storia] era Antonio di Martìn [Tounin dou Martin, Giuseppe Antonio] con la fisarmonica [in questo caso organetto diatonico] e l'altro [Tounin d'li Fre] con il bassetto alpino e facevano delle arie, non hanno lasciato musiche, facevano delle arie. A uno veniva un motivo in testa e iniziava a suonare e l'altro gli andava dietro e proseguivano così.
A poi questa qui [altra storia] che è poi bella, quando hanno portato su il piano. Hanno portato su un piano qua a Vrù, la gioventù. Sono andati a prenderlo alla Spagna [albergo ristorante Cà Di Spagna] di Pessinetto. C'era un piano che dicevano che mettevi monete dentro e suonava, ma io non so. Sono andati giù con un carretto con le ruote di legno, quelli vecchi di una volta, da Cantoira sono andati alla Spagna, ma all'epoca la strada non era asfaltata, c'erano buche. Si erano dati appuntamento, tutta la gioventù di Vrù e l'hanno caricato. Hanno impiegato tutto il giorno dalla Spagna di Pessinetto, dove l'avevano affittato, e l'hanno portato qua [a Vrù]. Quando sono arrivati qua ha detto [colui che aveva trasportato il carretto con il piano]:“tenetevelo!”. E gli altri, tutti pronti, l'hanno portato lì dietro in quella casa lì e hanno ballato quindici giorni con quel piano, tutta la gioventù qua di Vrù. Ma giù di lì ci sono muri, sono tutti prati con muri. Ma arrivavano alla fine di un muro e c'erano già gli altri sopra che aspettavano, dicono che non si era fermato il piano da là a venire su. Invece dalla Spagna ad arrivare qua hanno faticato. E questo è solo del tempo di mia madre, la gioventù del tempo di mia madre. E poi dopo l'hanno restituito quando hanno finito, le vite che facevano per ballarne due..
Testimonianza di: Bernardo Ubaudi (1939), Vrù, 08/2012
Salite e discese notturne avventurose quanto ludiche con strumenti musicali in spalla. Viaggi rocamboleschi insieme a gruppi di coscritti in cui in ogni ora può essere necessario suonare, secondo richiesta e che sia sopra un pullman o in piazza San Marco a Venezia poco importa. Memorizzare clandestinamente una musica facendola suonare più volte in cambio di qualche bevuta, per portarsi dietro la musica, per averla, per riproporla in quanto bella. Suonatori antichi che suonano arie, non lasciano tracce della loro musica perché improvvisano sul momento secondo umori e circostanze, come accade nel parlare o nel guardare descrivendo paesaggi, eppure rimane un qualche senso di libertà, ben lontani dall'effimero o dal vuoto dell'estemporaneità. Affittare strumenti musicali meccanici in grado di riprodurre ballabili e nel farlo affrontare viaggi impegnativi e in qualche modo eroici, per portare la festa.
Un flusso continuo narrativo, storie che rimandano ad altre storie e ad altre ancora. C'è qualcosa di fiabesco, c'è molta ironia, c'è un tempo che si fa rotondo, che ritorna e riprende, prosegue e aggiunge. Non c'è retorica, non c'è nostalgia per un mondo ideale e passato. Solo un flusso narrativo che dispiega storie, come un flusso sonoro, è memoria della musica, di musiche, di vissuti musicali. Un flusso narrativo che si fa come colonna sonora di una vita, di molte vite. Memorie che richiamano memorie in cui l'oggetto di fondo, il filo conduttore, è suono, è la musica. Una colonna sonora quindi che non rappresenta un semplice accompagnamento sonoro a delle scene ma è l'essenza stessa, ciò per cui tutto accade. Raccontare storie per condividere del tempo non esaltarne qualcuno. In queste Valli nella narrazione e nelle storie di vissuti si racconta di un “noi”, che siano due o molti, non è usuale la celebrazione dell'”io”. Ciò che accade è fatto collettivo così come la musica è polifonica, per etimologia: dal greco polyphonia, composto di polys, molto e phoné, suono, più suoni insieme. Come insieme stanno le persone.
La musica, muzica nella lingua francoprovenzale locale è termine che indica un gruppo strumentale nel suo insieme: coloro che suonano, gli strumenti musicali e il suono strutturato che producono, il suono che nasce dal connubio di più elementi.
Il nostro testimone ci racconta che la muzica, intesa nella lingua locale, è trattata bene, alla muzica viene dato buon vino e ogni attenzione necessaria, purché suoni, purché ci sia. Racconta che la muzica si ruba, copiandola nella memoria di chi sa cantare e sa fermarla per un attimo e di chi sa suonare e riprodurla una volta memorizzata o trascritta. Racconta che la muzica si affitta e pur di ballare la si trasporta con gran fatica per vie impervie. Racconta che la muzica sono anche arie improvvisate di cui rimane memoria, per quanto vaga, nell'immagine di due personaggi con i loro strumenti. Per quanto vaga ma è pur sempre una presenza, una possibilità, un'ulteriore testimonianza della libertà del suono. Racconta che la muzica è anche lui stesso che ha seguito gruppi di giovani desiderosi di conoscere e sfogare la loro presenza in ogni ora del giorno e della notte e nei luoghi più lontani dalle proprie Valli, accompagnandoli nel delicato quanto atavico rito di passaggio all'età adulta. Giovani che sfidano l'ignoto nel viaggio ma che si portano dietro la muzica che non è solo festa ma mondo culturale e guida.
Racconta di una musica che accompagna una vita. Una musica condivisa, sociale.
Racconta di società. Un giro di danza e il mondo appare possibile.
Didascalia della foto:
Fotografia: Flavio Giacchero.
Metaphysics (1992 ca.)
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