Ho visto gente tornare su
dopo una vita passata non so dove.
Erano tutti contenti quel giorno,
felicità tutt’attorno.
Un giorno molto chiaro,
senza problemi,
la gioia dentro
non c’era bisogno d’altro.
Dopo una vita passata “fuori”
ritornavano al paese
con i bambini per stare
ancora una volta qui.
Ho visto luci alle finestre
e vite nelle case,
tanti fare festa,
per i viottoli tanti ragazzi.
Prati incolti non ce ne sono più:
frumento e grano saraceno coprono la terra,
e fuori dalla chiesa con te
spaccare il ceppo e tagliare la barriera.
E dopo fare palazzo di una stalla,
cantare canzoni all’amore e al vino,
poi accendere la paglia del letto
con la passione e far mattino.
Vedere man mano fondere il ghiaccio
nei giorni di primavera
ascoltare i canti delle donne alla fontana
e le rondini fargli il ritornello.
Ho visto dare il lavoro ai contadini,
da uno stato che non chiedeva solo soldi,
a scuola insegnare a fare il pane
da maestri e maestre occitanofoni.
Aprire fabbriche qui e non all’estero,
padroni dire grazie agli operai.
Costruire case non in mattone
ma con ardesia e pietra dai muratori.
Scaldarsi con la legna
non avvelenarsi col gas.
Ho visto nelle veglie le vecchie raccontare
e i giovani aver ancora voglia di imprestare le orecchie.
Ho visto il mio popolo avere ancora speranza
prendere coscienza della sua lingua e della sua storia.
Come tutti i sogni più belli
anche questo non ha lunga vita,
nessun orizzonte nuovo
alla finestra un paesaggio che ho già visto.
Stagioni ci picchiano addosso come correggiati
con un ritmo che va troppo veloce.
Il rincorrersi di estate e inverno
svanisce nel niente.
Non c’è più nessuno, le sorelle e i fratelli
hanno dimenticato la lingua degli avi.
I prati pieni di case
di coloro che fanno
i montanari una settimana all’anno.
Aspetteremo il quindici agosto
per vedere ancora qualcuno lassù.
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