Il consolamentum era l’unico sacramento dei catari. Il nome deriva dal fatto che lo Spirito Santo era detto, in greco, paraclito, che significa consolatore, e il rito consisteva nell’imposizione delle mani, con cui, come attestato negli Atti degli Apostoli, veniva conferito lo Spirito Santo.
Come sempre, ovvero come in tutto quello che facevano i catari, vi è una profonda fedeltà al Vangelo, in cui si dice che Gesù «battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Questo era il «battesimo spirituale» che essi praticavano, un sacramento radicalmente diverso dal battesimo cattolico. Se proprio si volesse trovare un corrispettivo tra i sacramenti della Chiesa cattolica, più che al battesimo, o alla cresima, cui pure è stato accostato, corrispondeva all’ordinazione, anche se la figura del «consolato» (colui che gli inquisitori chiamavano «perfetto» e i catari «buon cristiano») è molto diversa da quella del sacerdote.
Chi conosce bene la Commedia dirà che non c’è ombra di questo rito nel poema. E invece, a mio avviso, c’è. La mia tesi è che Dante non fosse solo un simpatizzante del catarismo, ma che avesse aderito pienamente a questo cristianesimo diverso, e che l’intera cantica centrale del poema, il Purgatorio, presenti tutte le peculiarità del rito cataro e rappresenti quindi il complesso percorso spirituale del credente cataro (di Dante!) verso il consolamentum, percorso che culmina nel conferimento del sacramento, alla fine della cantica.
commenta