I catari si dicevano «Buoni cristiani», quindi si riconoscevano come seguaci di Cristo, ma – e la cosa può stupire – non credevano che Gesù Cristo fosse Dio. È quindi evidente che, se Dante fosse stato un buon cattolico, avrebbe detto a chiare lettere che Gesù Cristo è Dio. Non lo dice praticamente mai, dato che l’unica occorrenza è messa in bocca a un pellegrino ignorante.
Per i catari Gesù Cristo non era Dio, ma era comunque Figlio di Dio, non diversamente però da quanto lo siamo noi tutti, perché in tutti gli uomini vi è – così credevano – una particella della Luce divina che si è «incarnata» e che anela a ricongiungersi a Dio. È la stessa, identica idea di Gesù Cristo che ha anche Dante, come risulta da vari passi della Commedia, in particolare quello in cui arriva a vedere il suo volto nel cerchio divino del “Figlio”.
Per i catari Gesù Cristo non solo non era Dio, ma non era nemmeno redentore. Ritenevano che il compito di Cristo fosse stato quello di «indicare la via per ritornare al Padre», non quello assumere su di sé i peccati del mondo. Nella visione catara ogni persona deve seguire quella via e farsi carico dei propri peccati. Anche su questo punto la visione dei catari coincide con quella di Dante, che dedica alla redenzione versi rivoluzionari.
Un ulteriore aspetto interessante da esaminare è quello della croce, ritenuta dai catari uno strumento di tortura e di morte e non un simbolo da venerare. Qui citerò uno dei massimi teologi cattolici del Novecento, Hans Urs von Balthasar, che scrisse: «La croce reale di Cristo non si incontra mai nella Divina Commedia». È vero. Ma lasciatevi sorprendere, perché in rapporto alla croce Dante arriva a scrivere versi davvero sconcertanti, e, ça va sans dire, in linea con le concezioni dei catari.
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