Nello studio dei fenomeni fonetici che riguardano il francoprovenzale, segnatamente la nostra area di riferimento, non possiamo dimenticare un tratto fondamentale e tipico denominato avanzamento dell’accento o progressione accentuale. Con questa etichetta si vuole designare l’attitudine di alcune varietà di trasferire l’accento da una posizione parossitona (sulla penultima sillaba) a una posizione ossitona (sull’ultima sillaba). La ritroviamo ben attestata nelle varietà della val Cenischia, a Meana e Mattie, sul versante orografico sinistro della Dora Riparia e in alcune parlate delle valli di Lanzo e della Valle Orco.
Ma vediamo alcuni esempi:
VIGNA: vinhà (Mattie), vinheù (Novalesa, Venaus e Chianocco), vinhó (Giaglione), vinhì (Usseglio e Laietto).
LUNA: lunò (Novalesa e Giaglione), lenò (Venaus), lunà (Ceresole Reale, Usseglio, Mompantero e Meana di Susa), luneù (Laietto).
FIGLIA: fià (Mattie), filheù (Novalesa e Venaus), filhó (Giaglione), fiì (Ceresole Reale, Usseglio e Laietto).
PECORA: faiò (Novalesa), fiiò (Venaus), faià (Usseglio).
A questi se ne potrebbero aggiungere molti altri. Va detto che, in relazione a questo fenomeno, tutte le varietà francoprovenzali risultano essere assai poco produttive e difficilmente i nuovi ingressi lessicali vengono acclimatati mediante trasformazioni morfologiche che implichino spostamenti accentuali. Basti pensare a parole piemontesi terminanti in –ëtta, che, in linea di principio non vengono modificate secondo le regole interne dei singoli codici: per esempio cassiëtta (cassetta) non diventa *cassietò o sout brassëtta non si tramuta in *brassetò.
A tal proposito, l’avanzamento dell’accento riguarda proprio la morfologia: per esempio il suffisso diminutivo femminile –etò dà barmetò (piccola grotta), combetò (piccola conca), sebretò (piccolo mastello), lhivetò (piccola treggia per il trasporto di materiale). La stessa forma suffissale è impiegata per la costruzione dei femminili di sostantivi o aggettivi terminanti in –eut: meut (muto) e metò (muta), bleut (bagnato) e bletò (bagnata), boreut (violaceo) e boretò (violacea).
Il fenomeno non interessa solo i femminili ma anche i maschili, questo è limitato alla Val Cenischia, in particolare a Novalesa dove le attestazioni sembrano essere più folte che altrove: omó (uomo), sofló (soffio), dzemó (gemito), befó (sbuffo di vento), mortedzó (triste), sebló (fischio), nefló (narice degli animali), tedzó (fremito), pampalenó (persona con difficoltà), artselemó (lampo), alevó (senza guscio, detto di uovo non formato), ecc.
Attraverso questo tratto tipicamente alpino, le parlate sono riuscite a conservare le vocali finali tentando perciò di continuare a discriminare il genere delle parole altrimenti destinato ad essere definito dal solo articolo (il francese ne è un esempio notevole). Le vocali conservate in parole ossitone sono tendenzialmente la –a, la –eu, la ò e la –i per i femminili e la –o e la –ó per i maschili. Da questo punto di vista il francoprovenzale, comportandosi solo parzialmente come il cugino d’oltralpe, ha continuato la tradizione dell’ossitonia, non sempre e non in modo radicale, preservando la presenza vocalica in sede finale ed evitando l’evoluzione verso indistinta che invece caratterizza il francese.
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