italiano Da anni il capo espiatorio dei disastri della finanza pubblica italiana è stato identificato nelle Comunità Montane e nei piccoli comuni.
Governi di centrosinistra, centrodestra, “professori” vari, hanno varato provvedimenti per distruggere il più possibile queste autonomie imputate (purtroppo qualche volta con ragione) di mandare a picco l’Italia.
Come abbiamo visto in questi mesi chi sprecava e rubava erano altri ma, come al solito, provvedimenti presi da chi ha strumenti assoluti di decisione, ma che non conosce la materia su cui interviene, calano sul territorio in modo lineare senza separare e distinguere il buono dal cattivo.
Si vogliono comuni grandi (per ora sono tollerati quelli che hanno oltre i 4999 abitanti) ma presto l’assicella verrà alzata e toccherà anche a loro, prendendo come termine di paragone le situazioni dell’Italia centrale e meridionale. Le differenze storiche, orografiche, di presenza umana rispetto ai diversi ambienti, non sono prese in considerazione e la mannaia cade in una ricerca di omologazione barbara e ignorante.
Contemporaneamente si assiste ad un ritorno al centro delle competenze ora affidate alle Regioni in un nuovo centralismo (forse creativo?) che viene ritenuto più efficiente non si sa bene dietro quale arcana meditazione.
Gli amministratori sanno bene che gli enti pubblici più sono grandi più sono inefficienti e i dipendenti (con le dovute eccezioni) lavorano con meno efficacia di quelli operanti nel piccolo.
E’ facile accorgersi se l’unico impiegato di un comune non lavora. Sembra invece difficile venire a conoscenza, come avvenuto in passato in alcuni ministeri, che taluni dipendenti hanno come unico lavoro la bollatura della cartolina.
Ora è arrivata in Piemonte la legge n. 11 del 28/09/2012 della Regione Piemonte (detta anche legge Maccanti dal nome dell’Assessore, in quota lega, che l’ha ispirata).
Il numero progressivo la dice lunga sulla capacità di lavoro dell’Assemblea Regionale: la legge porta il n. 11 pur essendo licenziata ormai quasi a fine anno (ad esempio la legge Astengo del dicembre 1977 che ha rivoluzionato la materia urbanistica portava il numero 56). Quante leggi farà ancora la Regione Piemonte da qui a fine anno? Una vergogna resa più vistosa dalla situazione di crisi che investe il paese!
La legge 11 da attuazione, con inconsueta celerità, alla legge nazionale 135/2012 (spending review) che prevede l’obbligo per i Comuni di gestire in forma associata nove delle dieci funzioni fondamentali di competenza dei comuni:
a) organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria e contabile e controllo;
b) organizzazione dei servizi pubblici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi iservizi di trasporto pubblico comunale;
c) catasto, ad eccezione delle funzioni mantenute allo Stato dalla normativa vigente;
d) la pianificazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla
pianificazione territoriale di livello sovra-comunale;
e) attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei primi soccorsi;
f) l’organizzazione e la gestione dei servizi di raccolta, avvio e smaltimento e recupero dei rifiuti urbani e la riscossione dei relativi tributi;
g) progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione delle relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall’articolo 118, quarto comma, dellaCostituzione;
h) edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle Province, organizzazione e gestione dei servizi scolastici;
i) polizia municipale e polizia amministrativa locale.

Si può soddisfare al disposto attraverso due percorsi:
1) Convenzioni tra i comuni della durata di almeno tre anni. Al termine della convenzione si dovrà dimostrare al Ministero dell’Interno il conseguimento di significativi livelli di efficienza e di efficacia nella gestione. In base a quali criteri? Non si sa! Sarà come dare la multa ad un automobilista per aver posteggiato in sosta vietata ieri a seguito di un divieto sistemato oggi…..
La convenzione è l’accordo tra due o più comuni (con un minimo di 3000 abitanti) finalizzato alla delega di funzioni a favore di uno dei comuni partecipanti. La convenzione precisa gli apporti di ciascuno dei comuni partecipanti in termini di risorse umane, strumentali, finanziarie, necessarie per l’attività. Al termine del periodo il Ministero dell’Interno valuterà i livelli di efficacia e efficienza raggiunti. Ove ciò non sia comprovato (sic!) i Comuni saranno obbligati ad esercitare le funzioni fondamentali attraverso l’unione dei comuni. La Convenzione non ha personalità giuridica.

2) L’altra possibilità ( l’unione, sempre raggiungendo il numero di 3000 abitanti residenti) ha personalità giuridica con piena capacità di gestire le funzioni delegate dai comuni e, ove ricadente nei vecchi perimetri delle Comunità Montane, può avere confluite nel proprio bilancio le quote di finanziamento derivate dall’articolo 44 della Costituzione e le quote dei fondi ATO oltre che finanziamenti regionali indicati ma non quantificati dalla legge 11.
I comuni montani saranno quindi praticamente obbligati a procedere verso l’unione entro fine anno: non si sa con quali risultati visto le divisioni, i personalismi, gli squilibri che hanno caratterizzato il funzionamento di molte Comunità Montane (che cesseranno di esistere a fine 2012 anche se si avranno “code” per almeno sei mesi del 2013) che saranno commissariate ove TUTTI I COMUNI FACENTI PARTE DELLA STESSA NON CONFLUISCANO IN UN’UNICA UNIONE.

Questo a grandi linee lo schema della legge che vede raggiunto l’obbiettivo della Maccanti (e quindi della Lega) di derivare ai comuni il massimo possibile delle competenze senza però curarsi se gli stessi siano in grado di svolgerle.
Già erano deboli molte Comunità Montane (solo quelle che avevano un Presidente e una Giunta di grande carisma e capacità di lavoro hanno ben funzionato e portato risorse e gestione sul territorio) a causa del mediocre lavoro svolto e quindi non si capisce come deboli comuni (gli amministratori sono sempre più o meno quelli) possono assumere e svolgere un più alto governo.
Alcuni comuni sopra i 5000 abitanti poi sono tentati di procede da soli visto che, per ora, non hanno obblighi rispetto a questa legge: disposti anche a non cogliere l’opportunità dell’esenzione dal patto di stabilità. Una miopia che probabilmente pagheranno cara in futuro.
La demagogia, l’improvvisazione, l’ignoranza e non conoscenza delle realtà territoriali hanno ancora una volta trionfato tra l’indifferenza della gente che tutto subisce in silenzio.
Occorre poi considerare come il tanto decantato federalismo sia stato seppellito e il neonazionalismo portato avanti dal governo Monti (e avvallato da più o meno tutti i partiti) stia producendo strategie ben delineate da un articolo di Giuseppe Corongiu che scrive:
“Il preludio propagandistico all’attentato anticostituzionale del governo cosiddetto “tecnico” alle autonomie speciali è molto indicativo per capire l’aria che si respira in Italia di questi tempi. L’esecutivo guidato da Mario Monti, alfiere dell’economicismo esasperato e della lotta agli sprechi, è stato agevolato da una grancassa mediatica di delegittimazione delle Regioni. In particolare da una lunga serie di servizi giornalistici e opinioni di presunti “esperti” pubblicati nei maggiori quotidiani.
E’ da tempo che gli opinionisti mainstream dell’alta finanza hanno deciso di cavalcare la crisi finanziaria e alcuni scandali locali, anche nostri sardi, per portare un attacco feroce alle autonomie locali. I soldi gestiti sul territorio, in tempi di magra, fanno gola anche a loro. Uno fra tutti, la domenica precedente alla seduta del Consiglio dei Ministri che si è proposto di modificare la Costituzione, in prima pagina del Corriere della Sera, quello di tale Roger Abravanel che si occupava di sprechi, federalismo, centralismo e abolizione delle Regioni.
La tesi di Roger Abravanel, ingegnere prestato alla carriera nelle multinazionali e autore recente di best seller sulla “meritocrazia”, è presto riassunta. L’istituzione delle Regioni in Italia è stata un fallimento: esse avrebbero bloccato il liberalismo e il liberismo, moltiplicato i fronti della corruzione, portato un sacco di sprechi, reso inefficiente e antimeritocratica l’Italia, diviso il Paese in contenitori territoriali senza identità nei quali la gente non si identifica. Un discorso qualunquista, che si potrebbe fare, al bar dello sport, anche per l’Amministrazione Centrale. Del resto la corruzione e gli sprechi, in Italia, non sono nati con le istituzioni locali. Però oggi si preferisce puntare arbitrariamente sulle Regioni, sulle Province e magari domani sui Comuni. Meglio “tagliare” a casa d’altri piuttosto che nella propria”.
Ci si avvia quindi verso la cancellazione delle Province e delle Regioni in favore di un accentramento che, per chi conosce e sa misurare il lavoro dei Ministeri, porterà l’Italia ad una inefficienza e conseguente perdita di concorrenzialità che, nell’attuale regime di mercati aperti, non tarderà a dare ulteriori amare conseguenze. La mancanza di statisti (con abbondanza di politici) ai vertici istituzionali porterà a disastri di cui è facile immaginare la portata.
Per finire occorre considerare che la legge presenta innumerevoli lacune e zone d’ombra che dovranno essere definite:
teoricamente i dipendenti delle ex Comunità Montane dovrebbero passare ai Comuni (sia in presenza di convenzioni che di unioni, che, in quota parte, a quelli grandi che non volessero entrare ne nelle unioni ne nelle convenzioni) seguendo la rispettiva funzione. Ma la materia non è chiara…Chi prenderà queste decisioni in presenza di posizioni contrastanti?
che fine faranno i GAL?
chi si accollerà debiti, crediti, cespiti delle ex Comunità Montane? Con quali procedure?
quali risorse avranno nel concreto le nuove unioni?
e potremmo continuare con altri interrogativi.
E’ evidente che in Italia occorreva pervenire ad una ristrutturazione dell’architettura istituzionale. Farne un pezzo per volta in modo disorganico non potrà che portare confusione e inefficienza con gravi squilibri sulle aree deboli del paese che già stanno pagando in termine di perdita di servizi i tagli imposti per riparare politiche folli non alle stesse imputabili. Tutto questo nell’indifferenza dei partiti che continuano il loro gioco di perpetuazione del proprio potere e dei propri privilegi: non basteranno alcune “rottamazioni”!
I nuovi entrati proverranno dalla stessa covata.
A questo punto?
Forse uno spiraglio per far sentire la nostra voce c’è. L’eliminazione delle province comporterà il ridisegno dei collegi elettorali. Potremmo rivendicare collegi “montani” (che sono anche più o meno identificati nelle minoranze linguistiche) in modo da avere in Regione Piemonte nostri rappresentanti. In una riunione informale del Consiglio Comunale di Ostana è nata l’idea di proporre una iniziativa di legge fatta dai Comuni (come è stato fatto per le bandiere delle minoranze). Bastano cinque comuni per presentare una proposta e sicuramente saremmo in grado di raccogliere almeno duecento adesioni.
Perché arrenderci? Siamo riusciti grazie alle mobilitazioni di questi anni a far cadere il famigerato articolo 16 della legge Calderoli. Perché non continuare mobilitando la gente delle vallate facendo vedere che siamo ancora in condizione di dare battaglia?
A ognuno (specie agli amministratori) l’assunzione delle proprie responsabilità.