La gente delle montagne occitane lasciava il paese per andare a lavorare altrove: e non sempre tutti tornavano.
Quando i lavori agricoli erano finiti si andava per il mondo a lavorare e portare a casa un aiuto per la famiglia. Muratori, vetrai, ombrellai, gnomonisti, pittori, rigattieri ( a Torino i fèramiù dell’alta valle Po) e cento altri mestieri. Chafrè dal Cunh (Ostana) andava in Francia a vendere una bevanda di menta, in estate, e lumi a petrolio in inverno (quelli contornati da un filo di ferro..).
Quando la famiglia era “forte” e c’erano braccia in eccesso rispetto ai lavori da fare (dipendeva anche dalla terra che si aveva a disposizione) la migrazione era continua e, qualche volta, i ritorni diventavano sporadici e, infine, si “montava” casa altrove. Sovente il legame famigliare si affievoliva e il migrante veniva inghiottito dal nuovo paese.
Rimaneva traccia nelle intestazioni immobiliari che continuano oggi a dare problemi per l’irreperibilità di soggetti che neanche più la memoria degli ultimi anziani riesce a focalizzare. Problemi per fare un esproprio, per affittare un campo, ecc.
Ovviamente era così anche nelle pianure dove c’era poco lavoro, molta manodopera e molta fame. Dall’Italia tra il il 1876 (anno della prima statistica ufficiale) al 1900 emigrarono cinque milioni di italiani e nei quindici anni successivi si contarono 600 mila espatri.
Non erano trattati troppo bene i nostri migranti.
Mio padre mi raccontava che, a quindici anni, nella sua prima esperienza, nel Queyras , il padrone lo metteva a falciare per primo, davanti; e lui dietro ad un ritmo serrato. “Se non correvo mi tagliava i piedi. Per lo sforzo mi sono venuti i genitali neri. Poi mi sono assuefatto e un giorno gli ho imposto di mettersi lui, davanti . E si che l’ho fatto correre...”
Si sa cosa è successo il 16 e il 17 agosto 1893 a Aigues Mortes con la caccia agli italiani.
Negli Stati Uniti gli emigranti italiani non dovevano fare i conti solo con le contingenti difficoltà di vita, legate alla precaria quotidianità. A queste si aggiungeva la ferita di venire sfruttati all’inverosimile ma, soprattutto, di essere considerati dalla gente del posto “indesiderabile people”, ovvero gente indesiderata. Agli italiani, più di altri emigranti provenienti da altre nazioni, veniva associata l’immagine di gente cafona, con un’arretratezza di costumi, dovuta alle origini contadine, che non gli avrebbe permesso di integrarsi in un contesto civilizzato e indirizzato al progresso. Si sviluppò quindi lo stereotipo degli italiani considerati delinquenti, sporchi, ignoranti, criminali e mafiosi. E, come spesso purtroppo accade, un pregiudizio è facile a nascere e difficile a morire. Ciò fece sì che alcuni nostri connazionali, che si erano visti rifiutati e disprezzati dal tessuto sociale nel quale si trovavano, intraprendessero davvero la strada della criminalità e della delinquenza.
Si stima che le persone di origine italiana nel mondo siano più numerose di quelle che abitano oggi l’Italia.
Gli europei hanno colonizzato le Americhe (spesso sterminando i nativi), l’Africa, mezzo mondo, depredando queste terre delle abbondanti ricchezze naturali e deportando, sovente, gli indigeni da usare come schiavi.
Ovviamente il vangelo predicava un comportamento diverso, ma.....
Era lecito sperare che l’ultima tragica guerra mondiale avesse indotto al buon senso l’umanità evitando nuove dittature con conseguente delirio di onnipotenza del despota di turno, realizzando quella fratellanza universale che impone di aiutare a rialzarsi i popoli in difficoltà a causa dell’arretratezza delle proprie economie. Poteva essere un modo per risarcire gli incalcolabili danni provocati dal colonialismo che ha impedito la crescita di valide economie locali impedendo, nei fatti, la crescita di una sana classe dirigente.
Forse l’Europa, risanata e sviluppata l’economia dopo i disastri della seconda guerra mondiale, avrebbe dovuto pensare ad una specie di piano Marshall per l’Africa..
Solo la Germania sta investendo in Africa seguendo questa filosofia. Significativo al riguardo il tour fatto dalla Merkel in Sénégal, Ghana, Nigeria e Algeria.
Jointventure industriali, investimenti in loco, addestramento professionale al personale autoctono. L’obbiettivo è quello di frenare i flussi migratori e proporsi non solo come paese esportatore ma anche come partener nella crescita. La Germania esporta per 14 milioni di euro (parliamo dell’Africa sub sahariana) e ne importa per 12,5 (statistica della Bundesamt di fine 2017).
In Asia il riscatto in parte è avvenuto se pur a volte in modo traumatico.
E’ l’Africa il grande problema; 1,2 miliardi di persone che in buona parte fanno la fame, sovente prigioniere di dittature tollerate, quando non favorite in modo cinico, dal mondo occidentale. Ma business is business!
Ora i migranti arrivano in Europa: dall’Africa (ma non da tutta) dal Pakistan, dal Bangladesh, e altri stati. Scappano per motivi religiosi, politici, economici.
In Italia ne sono arrivati tanti ma da noi la maggior parte non si ferma e cerca di andare a nord. La Germania è lo Stato che ne ha ospitati di più con un’organizzazione perfetta che fa in modo che chi arriva abbia subito una destinazione secondo le caratteristiche delle persone. E’ vero che la Germania ha una disoccupazione molto bassa, frutto di una classe dirigente e politica efficiente e seria, ma è il livello di civiltà dei tedeschi che permette una gestione modello del fenomeno; pur in presenza di un discreto movimento populista contrario e determinato.
In Italia i migranti sono stati grandemente ridotti dal ministro Minniti con una forte azione sui governi africani.
Ero a Cinquefrondi un po’ più di un anno fa. Il paese ospitava diversi migranti che hanno formato anche un buon complesso musicale. “Facciamo ospitalità anche in memoria e per ringraziare chi ha ospitato i nostri padri quando emigravano per portare a casa quanto serviva per mandare avanti le famiglie” mi ha detto il sindaco.
Era il momento nel quale non arrivavano più migranti a Reggio Calabria a seguito dell’azione di Minniti. “Nessuno si chiede dove sono finiti” mi disse. Era facile immaginarlo.
L’Italia ha subito la cosi detta invasione senza gestirla oltre il collocamento di chi arriva; ci si è limitati alla sistemazione dei migranti forzando i comuni o avvalendosi di cooperative che in molti casi si limitano a speculare sull’utilizzo dei contributi.
Lo stato (ma sono quasi tutti soldi provenienti dall’Europa) elargisce 35 euro al giorno per ogni migrante ospitato. Di questi 2,5 euro vanno al migrante (pocket money) e con 32,5 euro il soggetto ospitante deve provvedere: all’insegnamento dell’italiano; al vitto e all’alloggio; ad accompagnare il migrante per tutte le incombenze (molti hanno necessità di assistenza sanitaria, anche per le traversie avute nei lunghi viaggi fatti per arrivare in Europa); alla tutela legale; all’integrazione.
Questo fino ad oggi. Ma per il futuro non sappiamo, vista la politica dura di Salvini (accompagnata da un consenso crescente degli italiani ossessionati, grazie alla propaganda della Lega, dall’”invasione”...) che ci riserva ogni giorno qualche sorpresa. I grillini assistono muti!
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