Le opere di Silvio da Acri (lo chiamo così per rimando agli antichi Maestri, sintesi di sapienza artigianale e di creatività) le trovi in una delle gallerie più famose di Venezia, a due passi da Piazza San Marco.
Silvio Vigliaturo, anche se i suoi lavori sono ormai nelle principali collezioni di tutto il mondo, non ha mai dimenticato le sue origini. Acri, montagna di Calabria dove non splende solo il sole, ma arriva anche la neve bianca e purificatrice che, con il suo velo, nasconde rifiuti e ferite di un Sud trascurato da cui si continua a partire. Da Acri Silvio è partito per Chieri, l’altra faccia della collina di Torino, che guarda al Monferrato. Territorio ricco di una storia con abilità artigianali nel settore del tessile che hanno origine nel XV secolo e che l’hanno messo in comunione con l’arte delle Fiandre.
Resta poco di quella storia, ma la sua eredità architettonica e artistica, insieme alla collocazione geografica privilegiata, ne fanno oggi residenza ricercata, a due passi dalla città. Silvio Vigliaturo il suo laboratorio lo ha lì, sulla piazza principale, e guarda l’antica chiesa collegiata di Santa Maria della Scala. Quel “Duomo” da cui è partito, dopo un lungo apprendistato, quando nell’85 gli fu proposto di rifarne alcune vetrate. Un’iniezione di fiducia che lo invogliò a continuare nella sua ricerca e nelle sue sperimentazioni sul vetro fino a farne l’artista maturo che è oggi. Per questo si può permettere di tornare all’originaria passione per la pittura, alternando il vetro e il forno, con la tela e i pennelli, la terra cotta e le grandi sculture in acciaio con inserti di vetro.
«A metà degli anni Sessanta ebbi l’opportunità di incontrare il vetro perché mia mamma, nel volere che apprendessi un mestiere, scelse la “bottega”. Frequentai un maestro vetraio di Chieri, professionista dei vetri cattedrale. Poi l’incontro con il Maestro Luigi Bertagna, insegnante accademico, che mi introdusse all’arte e me ne insegnò, soprattutto, la storia. Mi buttai a capofitto in questa passione, che covava dentro di me e che avevo ora la possibilità di coltivare sotto una guida sicura, inseguendo gli incanti pittorici dei vari movimenti, con una certa predilezione per il futurismo. Sperimentavo tecniche, modelli, materie, intuizioni. Lui mi insegnò a non avere modelli, ma a sforzarmi di dare segno pittorico alle mie suggestioni così come si erano insinuate nella mia memoria».
Inizia una carriera che porta Silvio Vigliaturo a essere un precursore delle tecniche di vetrofusione e dello Studio Glass, che oggi lo mette tra i migliori interpreti a livello internazionale. Formato da un percorso di caparbia e determinata gavetta: «Ho riciclato il vetro di centinaia di bottiglie, attentamente selezionate e triturate in decine di macinacaffè che compravo di seconda mano ai mercatini dell’usato, per avere a disposizione la materia prima che mi serviva per le prove di vetrofusione».
Il risultato non consente repliche o obiezioni.
Ed è il coronamento di un percorso imboccato con determinazione e con quella cocciutaggine tutta montanara che appartiene a chi deve fare i conti con l’asprezza della vita a cominciare dal territorio che abita. Territorio impervio, ma anche rifugio cui si domanda spazio per la propria libertà. Come quella di lingua, o di religione.
«Sono nato in un territorio che ha consuetudine con le minoranze linguistiche, gli arbereshe e i grecanici e dunque ho frequentato la differenza culturale e linguistica sin dall’infanzia. L’ho fatto sempre con rispetto e con curiosità. Quando mi è stato chiesto di dare un mio contributo al Premio Ostana “Scritture in lingua madre”, mi è risultato del tutto normale riconquistare un pezzo del mio vissuto giovanile. É stata, anzi, l’opportunità per recuperarne il valore assoluto, per approfondire questo tema e rendermi conto della ricchezza culturale da cui sono partito. La mia Calabria è terra di Magna Grecia. Dunque è intrisa di culture che dobbiamo riprenderci e riaffermare. Anche per questo ho accettato la sfida di aprire nella mia terra di origine, il Museo di Acri. Non solo un museo che cerca di far conoscere il meglio della cultura artistica nazionale e internazionale, ma soprattutto un laboratorio permanente che si ripromette di riscattare, attraverso l’arte, un territorio che deve tornare ad attingere da un passato glorioso per riproporlo e riproporsi come protagonista degli sviluppi della cultura mediterranea. Questo è il mio sogno e il segno dell’impegno in questa direzione è il coinvolgimento delle giovani generazioni cui voglio dare le opportunità che, con ben più fatica, ebbi io. Con il concorso per i giovani e la didattica per gli studenti delle scuole, vogliamo proprio toccare le corde di un rinnovato bisogno di cultura e di arte, unici strumenti possibili di un dialogo che attraverso un linguaggio universale riavvicini le sponde del Mediterraneo all’insegna del reciproco rispetto, della comprensione e della curiosità culturale che accetta la diversità come valore, senza la pretesa di stilare gerarchie. Mi sembra sia questo lo stesso messaggio che vuole affermare il Premio Ostana. Ed è per questo che sono ben felice di aver potuto dare il mio contributo».
Un contributo prezioso che si è materializzato in un pezzo d’artista con cui Silvio Vigliaturo propone, insieme alla stella occitana, quell’uccellino dell’inno “Se chanta” che ci parla di amore, di fratellanza, di amicizia e di sguardo positivo al di là dei nostri confini. Nella capacità di vedere con gli stessi occhi di quell’auselet sta quella speranza di futuro che non ci deve mai abbandonare.
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