Meritevole di attenzione è senz’altro la proposta che l’Uncem lancia attraverso la firma di un accordo con l’Università del Piemonte Orientale al fine di lavorare in modo sistemico con proposte organiche nel campo dell’alta formazione, dei progetti europei e della comunicazione.
“ La sinergia tra Università e Unione dei Comuni e degli Enti montani nasce dalla necessità di azioni di sviluppo congiunte, in particolare formative, che abbiano come oggetto il territorio montano e le aree rurali. Un lavoro iniziato prima della firma del protocollo, documento che sancisce una concreta interazione tra Dipartimenti dell’Ateneo e Uncem; potrà estendersi a Comuni e unioni montane di territori dove è presente l’Università con delle sedi e dei Centri di ricerca”. Così viene affermato nel comunicato stampa diramato dall’Uncem.
L’Università si sta trasformando, lo afferma con convinzione il Rettore Emanuel: “Il nostro Ateneo è in qualche modo un’università alpina, il nostro territorio elettivo va dalla Alpi agli Apennini. In questi anni gli atenei stanno diventando aziende e devono tener conto che il loro finanziamento pubblico si misura sulle premialità che acquisiscono sul territorio in termini di valori della ricerca e nelle “restituzione” con iniziative scientifiche, culturali, di sviluppo, di animazione sociale ed economica del territorio. Siamo un’Università giovane, siamo uno dei pochi Atenei in crescita in termini di studenti. Abbiamo costruito in questi anni incubatori di imprese, partecipiamo alle iniziative di sviluppo locale, lavoriamo con l’alta formazione su tutti i fronti, siamo competenti. Grazie al protocollo con Uncem riusciremo a sviluppare maggiormente le nostre attività a contatto con i territori”.
Gli intenti sono buoni, ma non possiamo nasconderci che si va a proporre programmi di ampio respiro ad un territorio che in questi tempi non si entusiasma quasi di nulla, i cui orizzonti e le cui ambizioni, tolto qualche lodevole eccezione, sono piuttosto limitati. Nello sforzo congiunto proposto dall’Uncem e dall’Università, quello che farebbe la differenza tra passato e presente è se intendono veramente lavorare per far crescere e riconoscere una classe dirigente sul territorio montano e nei centri di fondovalle della Regione Piemonte, non solo amministrativa, ma anche associativa, e di operatori di valore in tutti i campi. Finora questo non è successo, quando si è in emergenza vengono arruolate le forze vive locali alle quali vengono fatti grandi complimenti per le loro competenze e poi, quando i progetti sono avviati i riferimenti diventano altri e si abbandonano sul campo gli operatori e le loro competenze acquisite.
Il campo di cui si intendono occupare Uncem e Università è vasto e lascio ad altri il compito di sviluppare un pensiero compiuto su molti argomenti; io mi limiterò a fare qualche ragionamento per quanto riguarda il settore del quale mi interesso e che riguarda lo sviluppo dei territori di montagna della Regione Piemonte abitati da popolazioni che hanno una pronunciata vocazione transfrontaliera e che sono abitati da popolazioni di minoranza linguistica storica: occitani, francoprovenzali, walser.
Pochi territori di montagna marginali come i nostri, in Europa, hanno lavorato nel campo della linguistica applicata all’informatica, nel campo della formazione di operatori territoriali che sanno lavorare nell’animazione culturale a tutto tondo, dal campo della lingua a quella della musica, dal campo della traduzione a quello dell’animazione territoriale. E spesso ci viene invidiata da territori ben più attrezzati la nostra capacità di ideare progetti creativi di grande impatto mediatico, la cui mancanza di completa realizzazione deriva troppo spesso più che da una mancanza di successo dell’azione medesima, da una visione territoriale della classe dirigente che è ristretta e priva di strategia di un futuro.
Dato che i tempi rispetto al passato sono chiaramente cambiati e che oggi è più che mai necessario fare di necessità virtù, ci auguriano che lo sguardo che viene rivolto ai territori montani diventi sensibile verso il lavoro che enti e associazioni hanno compiuto e stanno compiendo. Che non si ricominci sempre da capo e che si sappia valutare anche l’importanza del lavoro immateriale che è stato svolto e si sappia calcolare in termini scientifici l’impatto che questo ha avuto e ha sui territori. Questa è una prima ricerca che Università e Uncem potrebbero fare. Se “La Stampa” propone l’abbinamento di un volume dedicato all’Occitania da distribuire ai lettori, qualche passo avanti si sarà pur fatto in questi anni nel campo della costruzione di un marchio territoriale di qualità che ha come denominatore comune la matrice linguistica occitana!
Va ridiscusso anche il concetto di marchio territoriale di qualità redifinendo in modo chiaro gli indicatori sui quali si intende investire e di conseguenza chiedere agli operatori territoriali uno sforzo di coerenza in tal senso. Se denominiamo il Gal delle valli Maira, Grana, Stura, Varaita e Po “Gal delle terre occitane”, cosa intendiamo comunicare? E qual’è la coerenza tra il nome dato e le conseguenti azioni? Se proponiamo un circuito di accoglienza denominato “Locande occitane” e su questo investiamo parecchio denaro pubblico per creare un marchio di qualità territoriale, cosa chiediamo agli operatori? Se ideamo un Festival occitano, quali sono i suoi contenuti? Basta una piazza piena di gente che balla, oppure è necessario potenziare anche il settore di ricerca che tiene in piedi l’indicatore di qualità contenuto nel termine occitano, Occitania?
Credo lodevole la proposta formulata dall’Uncem e dall’Università del Piemonte orientale e mi auguro di tutto cuore che porti una ventata di novità nei contenuti e nella metodologia di lavoro per attuarli.
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