È notte. Dopo l’ora della fatica, il contadino porta le sue bestie a pascolare, perché possano partecipare anch’esse, a modo loro, del pane, come hanno partecipato alla sua produzione; perché possano mangiare le briciole della tavola: “gli steli dei grani innaffiati dal miele / della Via Lattea”.
Siobhan Nash-Marshall
Disteso sul fianco tiepido della collina
suono il flauto;
i miei buoi nell’ampia vallata, con il canto nel cuore,
faccio pascolare.
Il chiaro di luna è disceso sulla superficie
dei silenziosi campi falciati;
si diffonde dolcemente fra le stoppie
il latte della luce.
Pura è la notte. Il mio canto da un infinito all’altro, calmo,
fluttua;
col vento il mio flauto dai suoi pori
piange rugiada.
Da lontano sento i sonagli delle mie mandrie
che pascolano
gli steli dei grani innaffiati dal miele
della Via Lattea.
Sento pascolare nei cespugli sulla riva
del ruscello
dove il vitello, ficcando il muso, strappa
l’umida orchidea.
I buoi, la testa penzoloni, come incantati,
sembrano leopardi;
le paurose pupille dei bufali sotto le stelle
brillano intermittenti.
Intorno ad esse, un insetto gira in volo scintillante,
e sale e scende.
Un bue bianco, simile a un idolo, si confonde
nell’argento della luna.
Pascolano – con le folte code al vento;
e bevono
con le lanose orecchie palpitanti
alla sorgente del mio flauto.
Pascolano – coi denti smussati fino a
diventare verdi,
e riempiono il ventre senza fondo
simile a un fienile.
Allora ormai si stendono sui campi,
appesantiti,
l’uno sul dorso dell’altro, ruminando,
poggiano il muso.
Finché ormai il sole, la luce sul campo
scenda dalla montagna,
e raccolga la rugiada di giacinto
dalle loro umide corna.
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