L’attività di accompagnamento in montagna, insieme al piccolo commercio transfrontaliero, alimentò fin dall’antichità le economie di confine, garantendo un minimo di benessere a territori altrimenti vocati alla mera sussistenza. Più in alto della paura: questa era la frontiera da superare. Fino alla metà del Settecento le vette alpine furono scrutate dalla pianura con timore: scenario immobile per un mondo che svolgeva la propria vita più in basso. In un contesto generale segnato dalla fatica e dal duro lavoro nessuno trovava il tempo, e tanto meno il motivo, per violare quella sfera di sacralità che avvolgeva le cime tentandone l’ascensione (fig. 1).
I flussi e gli scambi della Valle Po con la confinante Francia avvenivano lungo il vallone delle Traversette e sfumano nel mistero della preistoria; si dovette attendere il XV secolo per assistere al primo evento epocale per la storia del luogo teatro di un’opera ingegneristica all’avanguardia per i tempi: l’apertura del Buco di Viso, una galleria scavata nella roccia viva per una lunghezza di oltre 70 metri. Proprio dalla costruzione del Buco di Viso prende l’avvio il racconto della “Storia delle Guide Alpine del Monviso”.
Realizzato per volontà del Marchese di Saluzzo Ludovico II, il Pertuis fu il primo traforo delle Alpi situato a 2907 m slm di quota. I lavori furono coordinati dal Capomastro Baldassarre di Piasco che assoldò manodopera locale. Costruito con il solo impiego della forza umana, dell’aceto e del fuoco per rendere più friabile la roccia sotto i colpi di piccone, fu concepito per evitare il tratto più pericoloso del sentiero conducente al valico delle Traversette. Diminuendo i rischi fu agevolato il commercio del sale attraverso la Valle Po, evitando inoltre le vallate più soggette al brigantaggio e aprendo una via commerciale d’accesso alla Provenza esente dal pagamento delle gabelle imposte dal Ducato di Savoia a Nord e dal Delfinato a Sud (fig. 2).
Un documento siglato ad Arles il 22 settembre 1478 e conservato nella parrocchiale di Abriès sancì per la prima volta i contenuti del progetto: “Monsieur le Marquis de Saluce désirant eschiver les dangers occurents pour passer les endétroits de Mont Saint Bernard, Mont Cénise et Mont Genèvre en pratique de trouver manière de percer la montaigne de Viseul. Et pour faire la dépence de percer la dite montaigne ont ensemble conferencié le Roi Dauphin et le dict Marquis…”.
Nel 1480 la galleria fu terminata e appena sei anni dopo salvò la vita al suo ideatore: Ludovico II la attraversò il 16 dicembre, in compagnia di una scorta armata, e di qui riparò ad Aix en Provence, presso il Re di Francia, per organizzare la riconquista dei propri territori momentaneamente occupati da Carlo il Guerriero, Duca di Savoia. Indubbia fu l’importanza strategica del Pertuis, ma soprattutto il flusso commerciale condizionò le vicende dell’intera Valle Po come documentano i registri della gabella di Revello che registravano allora un traffico annuale di circa 20.000 sacchi di sale, unitamente al commercio di derrate alimentari e generi di lusso quali il vino e i broccati francesi.
La prima guida cartacea conosciuta è quella dell’abate Valeriano Castiglione uomo di Chiesa autore del trattato Statista regnante, citato dal Manzoni nei Promessi Sposi come testo presente nella famosa biblioteca di Don Ferrante. Fu un personaggio noto e conteso dai potenti dell’epoca come intellettuale di grande fama e valore e involontariamente, fu anche il primo esploratore documentato del Monviso: lasciato il milanese, terra di origine, si stabilì nel Monastero di Savigliano intorno al 1618 in una sorta di confino, che pur egli descrisse come volontario. Nella sua Relatione de Monviso et dell’origine del fiume Po dove afferma: “… mi venne voglia di trasferirmi agli ultimi confini dell’Italia (dove) il Vesulo Gigante delle Alpi, che facendo meravigliare i popoli più lontani, ben merita esser visitato dai vicini”. (fig. 3)
Le modalità e i toni usati per descrivere i paesi all’ombra del Monviso avvicinano l’opera ad un modesto trattato di letteratura cortigiana, mentre l’indagine etnografica sconfinò spesso nella derisione delle genti incontrate, creando un’immagine grottesca di luoghi e persone poco avvezzi a presenze esterne alla Comunità. In alcuni brani del testo venne descritta una povera economia locale caratterizzata da agricoltura, allevamento, coltivazione di cave di ferro, marmo, e dalla presenza di fucine e mulini che lasceranno le loro tracce nella storia del territorio fino ai giorni nostri.
Nella “Relatione de Monviso” si trova la prima descrizione di tipo scientifico sulla morfologia della montagna: “è di figura piramidale alto trabucchi 544 accompagnato da altre cime di selce aspra e acuta”. Tale rilievo altimetrico, calcolò l’altezza del Monviso in 3825 metri sul livello del mare rivelando l’interesse per il Monviso come rilievo alpino e non per i passi o i colli di attraversamento come da sempre era avvenuto sui territori alpini fin dall’antichità. Un errore di appena 16 metri nella stima conferì un’indubbia valenza scientifica alla relazione del Castiglione, 150 anni prima che si misurasse, con certezza, l’altezza della montagna che segnò l’inizio ufficiale dell’alpinismo: il Monte Bianco. È di grande interesse la carta topografica allegata al trattato, realizzata dall’ingegnere militare di Savigliano Giacomo Antonio Biga, nella quale venne illustrato il percorso dell’autore fino al lago Chiaretto, luogo da cui fu rilevata l’altezza del Monviso attraverso gli strumenti dei topografi. Di notevole importanza è la rappresentazione del percorso verso il Buco di Viso, qui citato come Pertuis di Delfinato, nella quale vennero disegnati dei pellegrini con cavalcature e bagagli intenti a raggiungere la galleria: a testimonianza dell’importanza del percorso quale via di comunicazione per gli scambi commerciali tra il Marchesato di Saluzzo e la Francia (fig. 4).
Naturalmente sono state molte le carte geografiche che tratteggiano la geomorfologia del Monviso: la prima in assoluto conosciuta è del 1430, qui il Monviso compare nel “Mappamondo Borgiano” e nel 1457 è inserito nel “Mappamondo” di Fra’ Mauro. Per alcuni secoli si susseguirono cartografie militari e civili che poco a poco raggiunsero livelli di definizione dei particolari e delle morfologie sempre più affidabili (si consiglia di consultare l’opera di Laura e Giorgio Aliprandi - “LE GRANDI ALPI NELLA CARTOGRAFIA 1482-1885 - Priuli e Verlucca editore”) una interessante ipotesi però si sta facendo strada: a metà ‘700 risulterebbe da documenti in fase di studio (Carta della frontiera delle Alpi e del Delfinato 1749-1754) che Pierre Joseph de Bourcet, cartografo e matematico dell’esercito francese (originario della val Chisone) avesse raggiunto con i suoi topografi (e probabilmente con degli accompagnatori locali) la vetta del Monviso per il rilievo dei confini tra Francia e Regno dei Savoia in seguito al trattato di Utrecht del 1713. La prima ascensione documentata potrebbe quindi essere quella avvenuta 110 anni prima del Mathews.
Prima di evocare la storia alpinistica di questo territorio, è interessante delineare la fase immediatamente precedente, che può dirsi “esplorativa”: quando, cioè, l’universo delle terre alte cessò di essere teatro di inquietanti maledizioni e si aprì a nuovi metodi di indagine scientifica, quali la geologia, la fisica, la geografia, le scienze naturali. L’avvio di questa fase venne convenzionalmente individuata con la prima salita del Monte Bianco di Balmat e Paccard nel 1776, da quel momento l’approccio razionale e illuministico e, successivamente, romantico di scienziati, artisti e letterati dei territori montani porterà sulle Alpi gli alpinisti inglesi che le considereranno il terreno di gioco dell’Europa (Leslie Stephen - The playground of Europe) e proprio negli anni prossimi alla prima salita in vetta da parte di Mathews percorsero le valli Po, Varaita e Pellice personaggi illustri dell’alpinismo da Whimper, a Forbes, da Tuckett a Ruskin, da Quintino Sella ad Alessandra Boarelli mentre l’Italia era percorsa dall’aristocrazia europea del Gran Tour quali Goethe, Nietzsche, Rousseau, ecc. alla ricerca di paesaggi, di vestigia romane dell’antichità, di letteratura e storia classica dell’Italia ottocentesca (fig. 5).
E’ in questo quadro che ritroviamo le prime guide di carta dei territori delle Alpi Cozie realizzate da John Murray nel 1840 e, successivamente, nel 1879, da John Ball in un bel volume dal titolo “Guida delle Alpi Cozie” (fig. 6). Da ricordare la relazione di Cesare Isaia del 1874 “Al Monviso per val di Po e Val Varaita. Reminiscenze alpine” scritta in occasione del VII Congresso del CAI svoltosi a Torino e a Crissolo. Fu questo il momento storico in cui gli abitanti delle valli si accorsero che una nuova professione di portatori e di guide stava nascendo: mestieri che poco alla volta assunsero connotazioni di professionalità sempre più profonde, facendoli diventare veri esperti delle montagne e trasformando radicalmente l’economia di borghi alpini dediti da sempre all’agricoltura e all’allevamento a luoghi per touristes e alpinisti. Nella guida del Ball troviamo già una serie di inserzioni pubblicitarie che promuovevano in modo moderno strutture, rifugi, locande e le nuove guide alpine delle valli. I montanari bistrattati dal Castiglione erano diventati guide alpine e imprenditori già perfettamente coscienti di dover comunicare queste nuove opportunità ai turisti e agli alpinisti che dalle città della pianura si avvicinavano alle montagne. Stava nascendo il mito delle Guide Alpine del Monviso, il Club Alpino Italiano e l’Alpinismo anche sul Monviso (fig. 7).
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