Nell'affrontare il tema del Chant de Réveillez nel territorio di lingua e cultura occitana dell'Alta Valle di Susa1, procediamo attraverso un'immagine che ci giunge da un'altra cultura, quella fiorentina dove il carnevale del 1511 presenta una novità “orribile e spaventosa a vedersi” tanto che, all'epoca, “mise terrore e meraviglia”. Questa novità primo cinquecentesca ci è descritta dal Vasari nella vita di Piero di Cosimo. Si tratta del Trionfo della Morte, un carro allegorico sulla realtà politica della città elaborato dal pittore fiorentino.

Era il trionfo un carro grandissimo tirato da bufoli tutto nero e dipinto d'ossa di morti e di croci bianche; sopra il carro era una morte grandissima con una falce in mano ed aveva in giro al carro molti sepolcri col coperchio; ed in tutti quei luoghi che il trionfo si fermava a cantare s'aprivano e uscivano alcuni vestiti in tela nera sopra alla quale erano dipinte tutte le ossature del morto nelle braccia, petto, rene e gambe che il bianco sopra quel nero spiccava ed apparendo di lontano alcune di quelle torcie con maschere che pigliavano col teschio di morto il dinanzi e 'l didietro e parimenti la gola, oltre al parere cosa naturalissima era orribile e spaventosa a vedersi; e questi morti, al suono di certe trombe orride e con suono roco e morto, uscivano mezzi di quei sepolcri e sedendosi sopra, cantavano in musica piena di melanconia quella oggi nobilissima canzone:

Dolor pianto e penitenza

Ci tormentan tuttavia

Questa morta compagnia

Va girando Penitenza.

Era innanzi e adietro al carro gran numero di morti a cavallo, certi cavagli con somma diligenza scelti di più stretti e di più secchi e più strutti che si potessin trovare con coverture nere piene di croci bianche; e ciascuno aveva quattro staffieri vestiti da morti con torcie nere ed uno stendardo grande nero, con croci ed ossa e teste di morto. Appresso al trionfo si trascinava dieci stendardi neri e mentre camminavano, con voce tremula e morta diceva quella compagnia il Miserere, salmo di Davit. Questo duro spettacolo dice Pier di Cosimo per la novità e terribilità sua, mise terrore e meraviglia; e sebbene non parve nella prima, giusta cosa da carnevale nondimeno per una certa novità e per essere accomodato tutto benissimo, satisfece agli animi tutti. Egli sentì dire da Andrea del Sarto che fu suo discepolo che è fu opinione in quel tempo, che questa invenzione fussi fatta per significare la tornata della Casa di Medici, perché allora che questo trionfo si fecie erano esuli e come dire morti che dovessino in breve resuscitare; ed a questo fine interpretavano quelle parole che sono nella canzone:

Fummo già come voi siete

Voi sarete come noi.

Morti siam, come vedete

Così morti vedrem voi2.

Piero utilizza le forme e i testi di un antico rito che, dalla descrizione del Vasari, parrebbe sconosciuto nella Firenze di allora marchiata dall'esperienza del Savonarola e ancora orfana dei Medici che rientreranno in città solo l'anno successivo dopo la seconda cacciata. Un antico rito che le genti dell'Alta Valle di Susa conoscevano e praticavano in un'altra occasione, la vigilia del Giorno dei Morti: il Réveillez, com'è indicato in francese, lingua ufficiale nell'ex Escarton d'Oulx dal 1539 alla seconda metà dell'Ottocento, Arvilhaou o Arvilhevoù in lingua occitana locale.

Il carro allegorico di Piero di Cosimo ha memoria delle danze macabre medioevali. Le parole della canzone che scorta il Trionfo della Morte, i cui versi si ritrovano nei libri delle Laudi di Fra Razzi3, ci paiono ripetere “in musica piena di melanconia” il monito de L'incontro dei tre morti e dei tre vivi o il celeberrimo “Io fu già quel che voi siete e quel ch'io son voi ancor sarete”, che accompagna lo scheletro del sepolcro dipinto ai piedi dell'affresco della Trinità del Masaccio in Santa Maria Novella a Firenze. Il peregrinare di genti e carro, che “con voce tremula e morta diceva quella compagnia il Miserere” tanto da non apparire “giusta cosa da carnevale”, ci rievoca le forme del rito perpetrato nella notte dei Morti in Alta Valle di Susa nel cui Chant de Réveillez sono riscontrabili alcuni versi del macabro canto utilizzato da Piero.

In territorio occitano altovalsusino, infatti, nella notte di vigilia al giorno dei Morti i ragazzi del paese [la jënêsë], al lume di una lanterna, passavano davanti alle finestre delle stalle, dove generalmente si trascorreva l'inverno e, dopo aver svegliato gli abitanti, intonavano l'Arvilhaou4 mentre alcuni di loro si davano il turno nel suonare a passata le campane della chiesa per tutta la notte.

Il giorno appresso, il 3 novembre, gli esecutori del canto, gli arvilhé5, passavano di casa in casa a ritirare le offerte con le quali si concedevano un ricco banchetto. L'Arvilhaou di cui abbiamo testimonianza era eseguito in lingua francese, talvolta pregna di occitanismi, ed era ripetuto a ogni casa. Luigi Onorato Brun (1894-1981) ci fornisce una suggestiva descrizione del rito nella parlata occitana clavierese6.

Ver lâ ounz-j-ourâ da la ciapelle sorten dou ou trei parsounagge, bou 'l manté nìe, 'l ciapè bien anfousà su laz ourelhiâ, ciâcun une lanterne e la s'arcoumense a fâ 'l tour dou paì. L'î mieneui: a la fenêtre de touttou louz étable, e ounte la gen deurman, un de klou trei soune la cloucette: “Eveillez-vous, gens qui dormez, et priez pour les âmes des fidèles trépassés!”. Touttou arsoutavan din 'l lei, giouinian lâ man, se fazìen le signe de la croû e la se coumensave: “Miserere mei Deus, secundum magnam misericordiam tuam…”. E de l'étable se répoundìe: “Et secundum multitudinem miserationem tuarum dele iniquitatem meam…”.

Une vouà proufunde, mezurà, le soun de la cloccie k'accoumpagne par tou le vepre klou trei fantôme, ke fan le tour de touttâ lâ fenetrâ, e même su lâ meizoun detruittâ, renduâ a un clapìe, i se plantan a dire un De profundis.

L'î de situassioun e de vizioun ke betan la frousse.

Si un foureitìe aghesse passà din 'l paì a klaz ourâ, l'î segû k'ou sarìe ceui môr su 'l carrò par la pòu. Le landeman lou clouciaire passen a ciake porte demandâ 'l bon ceur, par agheire cloucciâ tou le neui. E la gen soun generoû, en dounen une belle mezure de blà7.

[Verso le undici dalla cappella escono due o tre personaggi, col mantello nero il cappello ben calato sulle orecchie, ciascuno con una lanterna e si comincia a fare il giro del paese. È mezzanotte: alla finestra di tutte le stalle, e dove la gente dorme, uno di quei tre suona il campanello: “Svegliatevi, gente che dormite, e pregate per le anime dei fedeli trapassati!”. Si svegliavano tutti di soprassalto nel letto, giungevano le mani, facevano il segno della Croce e si cominciava: “Miserere mei Deus secundum magnam misericordiam tuam…”. E dalla stalla si rispondeva: “Et secundum multitudinem miserationem tuarum dele iniquitatem meam…”. Una voce profonda, misurata, il suono della campana che accompagna per tutta la notte quei tre fantasmi, che si soffermano a tutte le finestre (dalle stalle), e anche sulle case distrutte, rese un ammasso di pietrame, si fermano a recitare un De profundis. Sono situazioni e visioni che mettono la tremarella. Se un forestiero fosse passato nel paese a quell'ora, è certo che sarebbe caduto sul posto morto dallo spavento! Il giorno seguente i campanari passano ad ogni porta a chiedere “il buon cuore” per aver scampanato tutta la notte. Ed ogni famiglia è generosa dando una bella misura di segala.].

Il rito, nel racconto del Brun, pare assumere la forma di una vera e propria messa in scena, quasi una mascherata. Non stupisce che Piero di Cosimo si sia ispirato a riti analoghi per l'apparato del carro di carnevale, come non stupisce l'evoluzione di riti consimili nelle attuali forme di tipo carnascialesco perpetuate nella celebrazione della festività di Halloween.

Diverse sono le descrizioni del macabro rito dell'Arvilhaou e differenti le versioni del testo recitato, per lo più monche o frammentarie, come quelle da noi raccolte in un precedente lavoro, scritto in collaborazione con Serafina Perron Cabus8.

Terminato il canto dell'Arvilhaou, i giovani si rivolgevano agli abitanti della casa e domandavano: “Ou sé arvilhà? Dizan unë priérë par votrou mor.” [Siete svegli? Diciamo una preghiera per i vostri cari defunti]. Anziani, donne, uomini e bambini si univano quindi ai giovani nella recita del Miserere. Infine, gli arvilhé chiedevano in tono severo: “Ou l'avé antandù?” [Avete inteso?] e gli abitanti della casa rispondevano: “Ouei, ouei, l'avan antandù! Marsì.” [Sì, sì, abbiamo inteso! Grazie.], allora i ragazzi s'incamminavano verso un'altra abitazione9. Pierina Vazon (1927-2013) di Sauze d'Oulx così narra la tradizione:

Alla sera dei Santi dopo le funzioni dou Vepre dou sen e dou mor [dei Vespri dei santi e dei defunti], le campane iniziavano a suonare a morto fino alla messa del mattino del giorno successivo. Accompagnati dai rintocchi della campana alla vigilia del giorno della commemorazione dei defunti e per tutta la notte, i giovani e gli uomini giravano per tutto il paese e fermandosi davanti ad ogni casa recitavano il Miserere. Le case erano chiuse e così fermandosi davanti alle finestre dicevano: Dormiaou? Beica d'arvilhà përque ad siou pre a dir ël miserere. Dopo di che cominciavano la recitazione introducendola sempre con la frase: Réveillez vous, gens qui dormez, priez Dieu pour les âmes des fidèles trépassés o semplicemente… pour les pauvres trépassés [Svegliatevi, gente che dormite, pregate Dio per le anime dei fedeli defunti…, per i poveri defunti]. Con i doni che ricevevano da ogni famiglia, i giovani si radunavano per fare una cena. Più indietro nel tempo a recitare il Miserere erano i membri delle varie confraternità [sic.] che vestiti con un saio bianco ed incappucciati battendo aritmicamente un bastone giravano per il paese10.

Anticamente dunque, a Sauze d'Oulx stando alla testimonianza della Vazon, il rito era perpetuato dalle confraternite. Così nei centri maggiori, come a Exilles, dove a farsi carico dell'incombenza erano i Confratelli del Santissimo Sacramento:

[I confratelli] erano assidui nel partecipare alle varie funzioni previste dal loro statuto […] mantenendo però sempre viva la loro tradizionale denominazione di Penitenti, benché i motivi che avevano dato origine al nascere della loro antica Confraternita, sotto la protezione di San Rocco, fossero venuti a mancare, essendo cessate le epidemie, che avevano travagliato i secoli precedenti. […] Continuarono, rivestiti dei loro camici bianchi, a percorrere le strade degli abitati nella notte dei Morti (2 novembre) e in quella di San Sebastiano (20 gennaio) ricordando ad alta voce agli Exillesi, riuniti a vegliare nelle stalle, di tenersi sempre preparati al trapasso, ché la morte può colpire ad ogni istante. Sempre nella notte dei Morti squadre di Penitenti si davano il cambio ai campanili e per tutta la notte risuonavano dai campanili della parrocchiale, di San Giacomo di Cels, di San Biagio di Deveys e di San Colombano lenti rintocchi11.

Il Brun riferisce che, a fine Ottocento, il rito si ripeteva comunemente ovunque e che, nel 1919, la frazione Amazas di Oulx sarebbe stata l'ultimo borgo a ospitarne la celebrazione12, ma nel 2005, il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand dell'Associazione ArTeMuDa13 introduce nello spettacolo L'anjë dla pèstë, una versione dell'Arvilhaou ripresa dalla testimonianza di Cesare Gros14, classe 1928, il quale afferma di aver partecipato all'ultima esecuzione del rito nel 1939, lungo i vicoli della frazione San Marco di Oulx. Ne L'anjë dla pèstë, il canto dell'Arvilhaou accompagna la scena finale dei comici, trasformati in monatti, che escono dalla piazza componendo un impressionante corteo funebre e trascinando il carro di corpi esanimi, falciati dalla danza macabra degli angeli. La scena del Laboratorio Teatrale, come il carro di Piero di Cosimo, risulta “orribile e spaventosa a vedersi” tanto da infondere “terrore e meraviglia”15. Questo il testo eseguito dai comici-monatti:

Éveillez-vous gens qui dormez,

petits et grands écoutez-nous.

Quand la mort vient le temps est court,

autant la nuit comme le jour.

Si vous avez des ennemis

Pardonnez-les par cas d'amis.

Si vous tardez vous avez tort

Peut-être demain vous serez morts16.

Grazie allo spettacolo del Laboratorio Teatrale viene recupera un'altra variante del testo dell'Arvilhaou, testimoniata da Riccardo Colturi di Fenils (fino al 1928 Comune censuario autonomo, oggi frazione di Cesana Torinese) la cui ultima esecuzione, ripresa dopo la pausa del periodo bellico, risalirebbe al 194717.

Réveillez-vous gens qui dormez,

petits et grands écoutez-nous.

Quand la mort vient le temps est court,

autant la nuit comme le jour.

Quand il n'y a rien de si certain,

que de ne voir point de demain.

Si vous avez des biens d'autrui,

Rendez-les-entre aujourd'hui.

Si vous ne le faites pas avant ce soir

Peut-être demain serait trop tard.

Si vous avez des ennemis,

Pardonnez-les par cas d'amis.

Si vous tardez vous avez tort,

peut-être demain vous serez morts.

Le Miserere nous apprend

à pardonner entièrement18.

Nel 2011, in occasione del Convegno Virà Virandôlë. Musiche e canti della tradizione occitana dell'Alta Valle di Susa19, l'Associazione ArTeMuDa propone un CD musicale a complemento degli atti, realizzato in collaborazione con diversi artisti, dove il gruppo musicale dei Parenaperde20 esegue il Chant de Réveillez altovalsusino in un arrangiamento che tiene conto delle testimonianze del Gros e del Colturi.

Enrico Faure (1855-1933) nel suo romanzo, Arcadia Alpina, ambientato a metà Ottocento tra Sauze d'Oulx, Chiomonte e Bardonecchia, ci restituisce una suggestiva descrizione di questo rito nelle sue forme ottocentesche, aggiungendo interessanti particolari alle informazioni raccolte dalla voce dei testimoni.

È la vigilia del dì dei morti: la neve vien giù a larghe falde, quasi a coprire d'un bianco sudario i tumuli del camposanto che domani sarà visitato; i lapazzi e i cardi stecchiti che camuffano le croci lì attorno alla chiesa, crepitanti sotto il soffio del vento, hanno mosse di fantasmi che riddino con dondolii e stridori strani. Dall'alto del campanile, lento rimugge un rintocco; passa un minuto, ed un altro risponde, si suona a passata e così per tutta la notte. I fedeli, in sull'imbrunire, a frotte s'avviano alla chiesa ove, al chiarore di pochi ceri, si salmodìano i salmi della penitenza. I battuti della confraternita, perduti nel camicione di traliccio bianco, s'aggirano in quella penombra con una torcia che mette dei subiti sprazzi su per l'altare e per la volta, e di grandi paure in corpo ai bambini che schiatterebbero anziché abbandonar la gonna della mamma, la quale, mentre li rassicura, trincia ancor essa di gran segni di croce e non perde d'occhio il su'uomo senza del quale non oserebbe rincasare quella sera. Verso le dieci, fatto il giro del catafalco, tutti escono. In breve ad ogni finestra di stalla brilla un lume, lì ancora si recita il rosario in comune; le luci spariscono man mano; tutto è in riposo. È mezzanotte, il vento ridda il sinibbio e dalla chiesa sbucano cinque o sei spettri e intonano lentamente il Miserere: cinque o sei altri rispondono con il verso seguente! S'accostano alla finestra della prima casa gli uni, alla seconda gli altri, s'ode una scampanellata poi una voce che canta: Éveillez-vous gens qui dormez – Et priez pour les âmes des fidéles trépassés – e s'alterna il monotono verseggiare. Finito che hanno, chiama l'uno “Avete udito? ”. “Sì, grazie”, risponde dal di dentro; ed immediatamente, stando così in letto, tutti tornano in sul pregare, mentre si perde in lontananza la cantilena e giunge importuno il gemito delle campane. Pei bambini, le mucche che crollan le stacche, le pecore che s'agitano, sono rumori di morti tornati a ballonzolar per casa; tremano verga a verga, si tirano le coltri in capo fino ad averne scoperti i piedi; par che una mano diaccia li afferri; scoppiano a strillare e devono venirsi a cacciare coi genitori per non basir dal terrore. La macabra ronda dura tuta la notte, lasciando finestra alcuna, sui ruderi stessi delle case diroccate si recita il De profundis. Ed al domani, in premio di tanta devozione e d'opera sì meritoria, passa il campanaro colla gerla, e corre obbligo di dargli patate ed altro e ciò sempre a suffragio dei defunti; ed anche per ripagarlo del réveillé, che tale è il nome di questa notturna peregrinazione21.

Una descrizione più recente del rito è quella offertaci da Marisa Elleon22 secondo la quale, a Fenils, la tradizione sarebbe terminata nel 1944 (la data non concorda con quanto affermato dal Colturi abitante nella stessa frazione). Il racconto si basa su sensazioni provate durante l'infanzia. Poiché la Elleon nasce a Berechid (Marocco), nel 1933, da madre fenigliana e vive a Fenils fin dai primissimi anni di vita, il ricordo oggetto del racconto è databile alla fine degli anni Trenta, o comunque a prima del 1940; ovverosia a prima di quando, a seguito della dichiarazione di guerra alla Francia e all'Inghilterra da parte dell'Italia, l'esercito francese bombarda e distrugge il forte dello Chaberton, montagna che sovrasta Fenils, o al massimo a prima dello sbandamento conseguente l'annuncio dell'Armistizio, l'8 settembre 1943. Infatti la Elleon inizia il racconto scrivendo: “Guardo verso i monti: la potente catena Chaberton-Clotèsse ormai coperta di neve, eppure lassù nei forti i nostri soldati continuano a vegliare”23, segno che il forte non ha ancora subito la disfatta o il completo abbandono. Riportiamo stralci di questo racconto che ci restituisce l'impatto emozionale provocato sui più piccoli.

Vigilia di Ognissanti. […] Cade la pioggia e soffia il vento, lontano un cane abbaia rabbioso, il perché lo saprò subito. Cinque o sei giovani del posto, muniti di secchi e di carriole stanno facendo il giro del paese passando di casa in casa dove le famiglie, riempito un cesto di patate, lo versano nei loro secchi. Le venderanno la domenica successiva e serviranno per fare un bel festino al quale inviteranno naturalmente anche le ragazze. Il motivo non è il festino, ma bensì più tardi una squadra di loro salirà sul campanile e per tutta la notte suonerà le campane con rintocchi a morto, mentre un'altra squadra (i più intonati) passerà nuovamente di casa in casa cantando alle porte e alle finestre dove la gente dorme, i famosi arvigliè24.

La questua, in questo caso, precede in modo inconsueto l'esecuzione dell'Arvilhaou, forse nell'intento degli arvilhé di risparmiarsi la fatica di eseguire il rito là dove non sia gradito o dove gli abitanti non si dimostrino così generosi nel ripagarlo.

È ormai buio. La pioggia come per incanto è cessata. Esco dal caldo della stalla e mi soffermo a contemplare il cielo. È pieno di stelle. […] Il freddo pungente mi consiglia di tornarmene al calduccio di una stalla dove una stufa accesa manda piccoli bagliori dall'occhietto aperto dello sportello. Nonna e Mamma mi aspettano per recitare il rosario e le preghiere dei defunti. Verso le nove un rintocco a morto parte dal campanile. È un suono che si perde lontano e ti mette addosso i brividi. Al primo rintocco (quello delle campane juliène25) ne segue un altro, quello delle catrino26 e poi i rintocchi si susseguono per tutta la notte. Terminate le preghiere, andiamo a letto. Io, naturalmente, resto con la nonna e la prego di svegliarmi quando arriveranno gli arvigliè. Non vorrei addormentarmi, ma il tepore della stalla, il lento ruminare delle mucche, il ricordo di quei mesti canti, mi inducono inesorabilmente al sonno. Ad un tratto mia nonna mi scuote ‘svegliati son qui’ ed i giovani divisi in gruppi sono già davanti alla finestra della stalla e davanti alle porte della camera dove dorme mia mamma. Il canto inizia al suono di un campanello27.

La variante del Chant riportata dalla Elleon differisce in parte da quelle raccolte dalle testimonianze del Gros e del Colturi e riprende l'incipit testimoniato in quella di Sauze d'Oulx e in alcune varianti di San Marco. Il Memento mori è esplicitato nel verso “Comment pouvez-vous tant dormir / Pensez qu'il nous faut tous mourir” che non compare nelle altre testimonianze.

Réveillez, réveillez-vous gens qui dormez

Priez pour le pauvres âmes des fidèles trépassés

Réveillez-vous gens qui dormez

Petits et grands écoutez-nous

Quand la mort vient le temps est court

Autant la nuit comme le jour

Comment pouvez-vous tant dormir

Pensez qu'il nous faut tous mourir.

Si vous avez des ennemis

Pardonnez-les en cas d'amis

Le Pater noster nous apprend

De pardonner entièrement.

Si vous avez des biens d'autrui

Tâchez de le rendre entre aujourd'hui.

Si vous tardez un peu plus tard

Peut-être vous serez en retard.

Le Pater noster nous apprend

De pardonner entièrement28.

Nei versi finali del Chant, il Pater Noster sostituisce il Miserere e, non essendo quest'ultimo altrimenti citato, è probabile che nell'edizione ricordata dalla Elleon fosse quella l'orazione susseguente alla sua esecuzione, alla quale seguiva un De profundis conclusivo: “Recitavano ancora un De profundis e poi chiedevano ‘aviou entendù?’, e dalla stalla rispondevano ‘vuei mercì’.”29.

In Francia la tradizione dei Chants de Réveillez è molto ricca, ma per lo più si riferisce ai canti intonati nel corso delle veglie in periodo di penitenza quaresimale, come nel Lionese, o a quelle della Settimana Santa, come nel Limosino, in cui la morte di Cristo invita al Memento mori. Numerosi, infatti, sono i Chants raccolti nelle campagne d'oltralpe che richiamano la Passione di Cristo. Talvolta il Réveillez pasquale era eseguito durante le veglie serali, talaltra seguiva le stesse forme riscontrate nell'Arvilhaou altovalsusino, con la peregrinazione dei cantori, la recitazione del Miserere e la questua.

Nel 1931, Germaine Brizard, archivista della Société du Folklore Français, pubblica un breve saggio30 nel quale riporta brani tratti dal manoscritto Chansons populaires du Velay et du Forez di M. Victor Smith e descrive l'usanza del Réveillez, definendola “une coutume assez curieuse qui se pratiquait encore dans ces régions il y a une cinquantaine d'années”:

Un veilleur de nuit, appelé le Réveilleur, parcourait les villages à la nuit en chantant, à chaque maison, un couplet de son triste cantique. Le Réveillez rappelait aux fidèles le souvenir des défunts et l'inévitable de leur propre mort. Le réveilleur allait de porte en porte en agitant sa sonnette, ou bien tapait de grands coups de bâton pour réveiller les gens plongés dans le sommeil. Et ces derniers, malgré le désagrément éprouvé, lui répondaient Amen, ou merci31.

Il Chant de Réveillez era eseguito in diverse occasioni nei diversi luoghi del Velay e del Forez in cui è testimoniato, talvolta in occasione di un decesso, più frequentemente nelle notti di vigilia delle quattro ricorrenze legate al culto dei morti: 2 novembre, tre settimane dopo Natale o dopo Pasqua e in giugno. Più a nord, nelle notti di Saint-Rambert-sur Loire, un réveilleur della Confrérie des Agonisants batteva le porte di ogni casa per annunciare il decesso di un confratello ed eseguiva il Réveillez alla vigilia delle feste religiose principali:

Le crieur de nuit n'était ni sonneur ni chantre. Il était une sorte de secrétaire de la confrérie des Agonisants, et quand un de ces membres était mort, il annonçait son enterrement la veille au soir […]. La veille des grandes fêtes il chantait ses complaintes la nuit. Il commençait au cimetière à minuit après y avoir fait une petite prière, puis il allait chanter dans tous les quartiers, à chaque porte. Il disait un de profundis en donnant un coup de poing dans la porte. La complainte était toujours la même , rappelant le souvenir des morts, mais à la veille des fêtes joyeuses, on ajoutait un alléluia ou Dieu est ressuscité32.

La tradizione del Réveillez documentata da M. Victor Smith non è dissimile, se non per numero di esecutori, da quella altovalsusina, come conferma il testo del Chant di Saint-Rambert:

Réveillez-vous gens qui dormez.

Priez Dieu pour les trépassés.

Si vous dormez vous avez tort

Peut-être demain, vous serez mort.

Réveille-toi peuple chrétien,

Réveille-toi, c'est pour ton bien.

Sors de ton lit, prend tes habits,

Pense à la mort de Jésus-Christ.

Quand la trompette sonnera,

Que du ciel l'ange n'en descendra,

N'y aura ni compte, ni baron,

Chacun répondra pour son nom.

Toi, mauvais riche d'à présent,

Qui crois bien vivre dans tout temps

A la mort tu n'emporteras

Que quatre planches et mauvais draps33.

Il severo ammonimento degli arvilhé altovalsusini, che tuona “Ou l'avé antandù?” [Avete inteso?], non solo ha l'intento di domandare agli abitanti della casa se hanno udito, bensì quello di intendere se hanno capito il monito diversamente formulato nelle varianti testimoniate: “Avant nous étions comme vous et vous serez comme nous parmi les morts”, “Nou sän ità ‘ma vou, vou saré ‘ma nou parmì lou mor”, “Quand la mort vient le temps est court […] Peut-être demain vous serez morts”34. L'esortazione non può che riportarci alle pitture murali degli edifici religiosi e alle loro iscrizioni.

Lungo la via francigena, nell'accingersi ad attraversare il Moncenisio, i pellegrini potevano sostare in preghiera davanti agli affreschi della Sacra di San Michele35 o a quelli della trecentesca Cappella di San Lorenzo detta del Conte, a San Giorio36, a quelli della chiesa di San Francesco37 in Susa o a quelli della parrocchiale di Novalesa38. Essi potevano riconoscersi raffigurati nella folla tra i prelati, i signori e i mercanti ammoniti dalla Morte nel convento in cima al Pirchiriano, o potevano identificarsi nei distinti cavalieri de L'incontro tra i tre vivi e i tre morti ai piedi del castello alle porte di Bussoleno e nel ricovero francescano accanto alle mura segusine o, ancora, potevano scoprirsi ritratti lungo i muri del borgo ai piedi del Grande Valico.

Anche i pellegrini in transito nell'Alta Valle per affrontare il Valico del Monginevro potevano disporre di un momento di meditazione che non li distogliesse dal cammino di penitenza intrapreso. Attraversando Chiomonte, lungo la via principale potevano leggere, tra le decorazioni secentesche che ornano la facciata di casa Ronsil (casa Jallin all'epoca in cui furono eseguiti i graffiti) : “fais le chois o que heureux si iusques a la mort tu ensuis la vertu male heureux si le vice etant perdu une fois sans fin et le supplice dieu raison ton salut tinvite al heureux sor”.

Procedendo oltre, nella parrocchiale di San Giovanni Battista a Salbertrand il fedele era dalla prima metà del Cinquecento, ed è nuovamente, accolto all'ingresso da un grande affresco del Giudizio Universale, posto sulla parete di sinistra sotto alla cantoria tardogotica. Il Giudizio è affiancato dalla Morte rappresentata da uno scheletro che sorge dal sepolcro agitando un cartiglio con l'iscrizione: “Toi qui me regardes, tiel seras come moi quoique tarde por ce fai bien tan que tu es vis que apreƨ la mor […] peu de amis”39. L'immagine si inserisce in un percorso ideale, procedente dall'esterno della chiesa dove un affresco, oggi non del tutto leggibile, raffigurante le Virtù, la Cavalcata dei Vizi e le Pene capitali, fungeva da ammonimento all'ingresso dell'antico cimitero. L'interno della chiesa, ricostruita tra la seconda metà del Quattrocento e il 1506 con la trasformazione del precedente edificio romanico nelle attuali forme tardogotiche, presenta un prezioso ciclo affrescato nella navata di destra con i Santi Rocco, Colombano, Cosma e Damiano, oltre ai mirabili riquadri delle storie di Sant'Antonio opera di Johannes Dideris de Avilliana, realizzati nel 1508. Nella navata di sinistra, il piccolo coevo affresco di Sant'Eligio è l'unico a non aver riportato le picchettature dovute all'intervento di rintonacatura conseguente alla peste del 1629-1631, mentre alcuni affreschi tardo trecenteschi che sormontano l'altare sono ritornati visibili dopo un lungo occultamento dietro al retable barocco collocato nei primi decenni del Settecento e oggi esposto in sacrestia. Claudio Bertolotto, che sovrintende alla campagna di restauro condotta tra il 2003 e il 200540, riferisce: “Il Cristo risorto con la Vergine e San Giovanni Battista, titolare della chiesa, accoglieva infine i credenti nella scena del Giudizio Universale, affrescata presso l'ingresso, sotto la cantoria. La probabile datazione di quest'ultima all'epoca della costruzione del protiro, che reca la data 1536, si può estendere anche all'affresco del Giudizio […]”41.

A Constans, un tempo frazione dell'ex Comune censuario di Beaulard e oggi frazione di Oulx, recenti restauri condotti negli anni 2007 e 2008 nella cappella di San Bernardo da Mentone hanno riportato alla luce tracce di cicli affrescati attribuiti “al cosiddetto Maestro di Savoulx, attivo nel secondo decennio del Cinquecento presso le parrocchiali di San Gregorio Magno a Savoulx, la cui mano è caratterizzata dall'impiego di una vivace tavolozza dai toni rossi, arancio, bianchi e azzurri e di San Pietro a Rochemolles”42. Gli affreschi di Constans, come quelli di Salbertrand mettono in relazione la vita pia di un santo che sconfigge il demonio (San Bernardo con il diavolo in catene a Constans, Sant'Antonio che resiste alle tentazioni a Salbertrand), con il giudizio divino (San Michele Arcangelo che pesa le anime a Constans e il Giudizio Universale a Salbertrand). Mentre a Salbertrand è raffigurata accanto al Giudizio Universale, a Constans la figura della Morte affianca San Michele “nello sguancio di una monofora ora tamponata” ed è “raffigurata come uno scheletro rivestito con un sudario, stagliato su un fondale a fasce rosse e blu. La macabra rappresentazione ammonisce lo spettatore recando un cartiglio in cui si legge: “Toy qui me regardes tiel[…] ce / que tarde fa bie[n] tant que qui est[..] / la mort tu mas mien […]43.

Un legame tra il rito dell'Arvilhaou e gli affreschi tardomedievali è ravvisabile nella tradizione delle Histoires des Saints: le Sacre Rappresentazioni diffuse in tutta l'area della media e Alta Valle di Susa tra XV e XIX secolo. La Morte dipinta che sorge dal sepolcro a Salbertrand e a Constans è uno spettro e come tale appare ne l'Histoire de Saint André. Apôtre et Martyr a Ramats di Chiomonte44. Nella scena IX della Giornata Prima di questa Histoire, rappresentata nel 1739, il personaggio de La Morte si presenta informe, senza volto. Il suo incedere è quello degli arvilhé, spettri infagottati nei loro tabarri, macabre figure disegnate dalla fiammella di una lanterna; medesima è la voce grave, stesso è il monito che udiamo nel funesto canto, identico l'orrore suscitato.

Puisque dans l'univers le monde me retient,

je vous offre, en m'offrant, ce qui vous appartient!

[…]

Quoique l'on me voit sans forme, sans figure,

je suis celle pourtant qui détruit la nature!

[…]

Je part, je vole droit, à chacun je m'adresse,

et le hazard n'y peut rien: je frappe avec justesse!

C'est en vain de cherche à éviter mes coups,

c'est en vain de chercher à faire des détours!45.

Nel lungo monologo della scena XVII, Giornata Seconda, La Morte insiste sull'ineluttabilità dell'umana sorte: “De mon entier ravage on ne peut s'exempter / que par le dur tribut qu'il me faudra payer!”46. Si premura di istruire il credente-spettatore: “Je dois vous instruire, je dois vous faire part / du privilège heureux qu'on admire en mon dard!”47. Vorrebbe tacere, ma il monito non è mai sufficientemente formulato:

Je me tais! Non, non, je ne dois me retenir,

je n'en dis pas assez, et c'est trop tôt finir!

Écoutez, ô mortels! Écoutez ma harangue,

cependant j'ai la main meilleure que la langue!48.

Poiché il suo gesto è più eloquente delle parole, nella scena VII, della Giornata Terza, irrompe con la sua danza macabra a sottolineare l'inevitabile destino:

Je vais à droit, je viens à gauche, je suis mes pas,

je conduis cependant tout au trépas!

Je suis chacun partout avec la même vitesse:

on a beau m'éviter, je frappe avec adresse!

Je tourne, je saute, j'avance, je préviens

à la nopce, à la danse et aux entretiens!

[…]

Vous devez bien penser à vous: enfin

tenez votre embarquement pour certain!49.

La nera signora appare ancora al termine della scena XII, Giornata Terza, per condurci nel vortice della sua danza macabra al compimento della passione del Santo.

[…]

car je prends cent détours, et par haut et par bas

je tourne à droit, je saute à gauche et je reviens sur mes pas!

Je suis chacun par tout avec même vitesse:

on a beau m'éviter, je frappe avec adresse!50.

Il trapasso dell'uomo giusto, osservante dei precetti religiosi, porterà all'elevazione della sua anima. Occorre seguirne l'esempio e per l'ultima volta La Morte rientra per ricordare, nel monologo della scena XV, Giornata Terza, che solo la rettitudine può condurre alle alte sfere celesti e che, in caso contrario la sorte sarà funesta; ma la sua non è null'altro che un'immagine fantasmatica capace di smuovere e indurre alla paura.

Vous pourrez aisément mouvoir la fantaisie

que le trouble et l'erreur auront déjà saisie!

Paroissant à vos yeux sous ce déguisement

vous êtes tous soudain saisis d'étonnement,

car j'imite toute la voix et la posture

d'un phantôme qui sort d'une sepulture!

D'un mal imaginaire vous n'aurez que la peur:

ma force paroîtra sous cet habit trompeur!

Après avoir frappé le vaincu, je frappe le vainqueur:

ils seront saisis de la même peur!51.

Come gli spettrali arvilhé che si perdono nella notte, così La Morte si allontana per confondersi nelle tenebre, lasciando il campo alla disputa dei soldati che si contendono gli abiti di Sant'Andrea dove il vincitore è colto da sgomento:

Cependant, quel trouble m'agite?

Mon cœur se révolte et s'irrite!

Les ai-je donc tué et vaincu

pour être moi-même perdu?

[…]

Que la terre et l'onde s'ouvrent toutes à la fois:

ouvrez-vous, soyez attentives à ma voix!

Démons, venez donc prontement

mettre fin à ma vie et commencer mes tourmens!52.

Il monito della Morte che, come gli arvilhé, invita al subitaneo pentimento, è rimasto inascoltato e a nulla valle il tardivo rimorso. All'anima del soldato suicida, non rimane che precipitare negli inferi dove Satana conclude l'Histoire: “Viens, maudit à jamais, / aux flammes éternelles!”53.

Come l'Histoire che si chiude sul regno dei morti, all'alba del 2 novembre il rito dell'Arvilhaou è concluso. L'eco degli arvilhé si perde tra i lenti rintocchi di campana: “Ecoutez donc petits e grands… Quand la mort vient le temps est court, autant la nuit comme le jour… Si vous tardez vous avez tort, peut-être demain vous serez morts!. Ciò che rimane è il giorno che nasce, l'indomani: il Giorno dei Morti.



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Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Firenze, Giunti, 1568.

1 L'area occitana altovalsusina corrisponde al territorio dell'ex Escarton di Oulx. Il confine tra il Delfinato dei Conti d'Albon e il territorio dei Conti di Moriana e di Savoia (dal 1416 Ducato di Savoia), che separa Chiomonte da Giaglione e Gravere, si stabilisce intorno all'XI secolo con l'espansione nella Valle di Oulx dei signori di Vienne e rimane tale fino alla fissazione dei confini, stabiliti in base al principio delle acque pendenti dal Trattato di Utrecht del 1713 che segna il passaggio dell'Alta Valle di Susa al neonato Regno di Sicilia, poi Regno di Sardegna.

2 Giorgio Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori, e architettori, Firenze, Giunti, 1568, vol. 4, pp. 63-65.

3 Fra S. Razzi, Laudi spirituali, in E. Levi, Lirica italiana nel Cinquecento e Seicento fino alla Arcadia, Firenze, Olschki, 1909, p. 91. F. Ghisi, I canti carnascialeschi nelle fonti musicali del XV e XVI secolo, Bologna, A.M.I.S., 1970, pp. 66-69.

4 In occitano locale si designa in egual modo il rito del Réveillez e il relativo Chant.

5 A Fenils e in altre località altovalsusine il termine arvilhé indica sia il rito, sia gli esecutori, sia il canto.

6 La grafia utilizzata dal Brun, con alcuni aggiustamenti funzionali alla trascrizione del patois di Claviere (k con valore di c aspra, e finale muta), come quella utilizzata dai successivi autori e testimoni citati, è per lo più basata su quella elaborata da Arturo Genre dell'Università di Torino, nota come dell'Escolo dou Po, alla quale rimandiamo per una corretta pronuncia (fanno eccezione il segno ä con valore intermedio tra a ed e, i grafemi ŗ con suono alla francese ed ë per la pronuncia semi muta della e, nella grafia adottata da Serafina Perron Cabus, e il digramma gl in luogo di lh per il suono italiano gl dolce adottato da Marisa Elleon). Rispetto alle norme dettate da Genre, per tutti gli autori citati, segnaliamo l'uso di ch e j alla francese in sostituzione dei digrammi sh e zh utilizzati in Escolo dou Po.

7 L.O. Brun, Ou Bâ de Ciabartoun, Bra, Valados Usitanos, 1986, pp. 72-73.

8 S. Perron Cabus, Renato Sibille, Si jouvë sooupës e vëlh ou pouguës, Torino, ArTeMuDa, 2005, pp. 94-97.

9 Cfr. Ibid.

10 A. Crana, C. Fundone, P. Vazon, Saouzë d'Oulx, Susa, Susa Libri, 2004, p. 160.

11 E. Patria, La Confraternita del SS. Sacramento e la rivolta dei penitenti, in “Il Bannie”, Anno VII, 1968, n° 2, p. 11.

12 L.O. Brun, Ou Bâ, cit., p. 73.

13 Nel gennaio 2004, l'Associazione ArTeMuDa crea il Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand che si propone di scavare nella cultura locale altovalsusina attraverso un approccio di tipo antropologico. Il Laboratorio oltre a dimostrazioni di lavoro, convegni, pubblicazioni, readings, film, video documentari e CD musicali, ha prodotto gli spettacoli teatrali: Santi Bestie Maniscalchi (2004), Bèstië (Bestia, 2005), L'anjë dla pèstë (L'angelo della peste, 2005), Distillare è imitare il sole! (2005), Carnavà dlu Gueini 'd Sabaltran (Carnevale dei Gueini di Salbertreand, 2006), Barbarià (2006), Oltre l'eco (2007), Carnaval dloun Pacan a Chòoumoû (Carnevale dei Pasquali a Chiomonte, 2009), Ritorno (2009), Aranha (Ragno, 2010), Lou Rei (I Re Magi, 2011), Musicca (Musica, 2011), Silvén e sun viulin (Silvino e il suo violino, 2012) e Bousqueiran (Boscaioli, 2013).

14 Cesare Gros, di San Marco di Oulx, impara in giovane età a suonare la tromba da autodidatta. Nell'immediato dopoguerra, studia lo strumento presso la scuola popolare istituita a Oulx ed entra a far parte della Banda Musicale del capoluogo. Con alcuni amici forma una piccola orchestra che negli anni Cinquanta e Sessanta allieta le danze di Oulx e dintorni.

15 R. Sibille, Le fonti popolari de L'anjë dlä pèstë del Laboratorio Permanente di Ricerca Teatrale di Salbertrand, in La Peste alle Porte del Teatro, Atti del Convegno, Salbertrand 16 settembre 2007, R. Micali e R. Sibille, a cura di, Castellamonte, Baima-Ronchetti, 2007, vol. II, pp. 25-27.

16 Id., L'anjë dlä pèstë, copione dello spettacolo, in La Peste, cit., pp. 68-68.

17 Il 27 novembre 2005, il Colturi assiste a una dimostrazione di lavoro sullo spettacolo L'anjë dlä pèstë in seguito alla quale testimonia agli attori la presente versione dell'Arvilhaou. Colturi, classe 1939, è appassionato di lingua e cultura occitana ed è coautore, fra l'altro, di I mulini cantavano, Torino, Piemonte in Bancarella, 1994, testo dal quale il Laboratorio Teatrale trae parte del materiale di lavoro per la costruzione dello spettacolo Barbarià.

18 R. Sibille, Le fonti, cit. p. 27.

19 R. Micali, R. Sibille, a cura di, Virà Virandôlë. Musiche e canti della tradizione occitana dell'Alta Valle di Susa, Atti del Convegno, Salbertrand 3 dicembre 2011, Castellamonte, Baima Ronchetti, 2011.

20 Il gruppo nasce nel 2004 ed è formato da Walter Re (organetto diatonico), Giorgio Ferraris (flauti e cornamuse), Massimo Falco (clarinetto, cornamusa, piffero, voce), Alberto Dotta (buzouki, ghironda, bassetto), Simone Del Savio (violino, voce). I Parenaperde [pa ren a perde in lingua occitana significa “niente da perdere”] eseguono un repertorio di musiche e danze popolari dell'area occitana e franco-provenzale con influenze irlandesi e bretoni. Collaborano con il Laboratorio Teatrale di Salbertrand fin dalla sua nascita.

21 E. Faure, Arcadia Alpina, Susa, Enrico Piazza, 1926, pp. 30-31.

22 M. Elleon, Toussen. Ognissanti, in “Panorami”, Anno XV, set-ott 2011, n° 5, pp. 22-23.

23 Ivi, p. 22.

24 Ivi, pp. 22-23.

25 La campana maggiore, a Fenils detta juliene [Giuliana, in lingua occitana] perché la chiesa parrocchiale è intitolata a San Giuliano. È la campana più grossa, dalla nota più grave, il cui rintocco nei riti funebri indica il trapasso di un uomo.

26 La campana minore, in lingua occitana detta catrino [Caterina] poiché utilizzata ai festeggiamenti di Santa Caterina, festa delle ragazze da marito. Il suo rintocco acuto nei riti funebri, in alternanza a quello della campana maggiore, indica il trapasso di una donna.

27 M. Elleon, Toussen, cit., p. 23.

28 Ibid.

29 Ibid.

30 G. Brizard, Le Réveillez en Velay et en Forez, in “Revue de Folklore Français”, Anno II, gen-feb 1931, n° 1, t. II, pp. 19-22.

31 Ivi, p. 19.

32 Ivi, p. 21.

33 Ivi, p. 22.

34 Cfr. S. Perron Cabus, Renato Sibille, Si jouvë, cit., pp. 94-97.

35 Cfr. AA.VV., La Sacra di San Michele, storia arte restauri, Moncalieri, SEAT-STET, 1990.

36 Cfr. AA.VV., Itinerari di Cultura e Natura Alpina. Valle di Susa, Borgone Susa, Graffio, 2010.

37 Cfr. C. Bertolotto, I cicli affrescati: nuove letture e inediti ritrovamenti, in AAVV San Francesco ritrovato. Studi e restauri per il complesso francescano di Susa, Torino, CLUT, 2008, pp. 97-122.

38 Cfr. P. Ruffino, Committenze novalicensi ed importanti donazioni presso la parrocchiale di Santo Stefano. Una carrellata sul patrimonio artistico, in AA.VV., Novalesa una storia tra fede e arte, Atti del Convegno, Novalesa 21 agosto 1999, Beinasco, 2000, pp. 73-89 e C. Bertolotto, Gli affreschi della via Maestra di Novalesa: immagini sacre, echi d'Europa e presenza sabauda sul cammino della strada di Francia, in Le Alpi ospitali. Viaggio nella cultura storica e artistica di Novalesa Medievale, Torino, CLUT, 2014, pp. 65-78.

39 Cfr. C. Baccon, Salbertrand, Borgone di Susa, Melli, 1992, p. 288.

40 Il restauro, realizzato grazie al contributo della Compagnia di San Paolo, è stato eseguito dai restauratori Maria Maddalena Barrera e Riccardo Moselli di Torino, sotto la direzione di Claudio Bertolotto della Soprintendenza per i Beni Storico Artistici del Piemonte e dell'Architetto Clara Bertolini Cestari del Politecnico di Torino.

41 C. Bertolotto Testimonianze d'arte e di fede fra Medioevo e Rinascimento, in C. Bertolotto, M.M. Barrera, R. Moselli, Salbertrand, la Chiesa di San Giovanni Battista, in “Alta e bella”, Anno VI, 2006, n° 23, p. 62.

42 AA.VV., Itinerari di Cultura e Natura Alpina. Piana di Oulx e Valli di Cesana, Graffio, Borgone di Susa 2012, p. 113.

43 Ibid.

44 Cfr. G. Giai, V. Coletto, Histoire de Saint André. Apôtre et Martyr, Torino, CeRCA, 2000.

45 Ivi, vv. 1439-1440, 1445-1446 e 1465-1468, p. 60.

46 Ivi, vv. 3169-3170, p. 240.

47 Ivi, vv. 3193-3194, p. 241.

48 Ivi, vv. 3145-3148, p. 240

49 Ivi, vv. 1327-1332 e 1363-1364, p. 325.

50 Ivi, vv. 1809-1812, p. 343.

51 Ivi, vv. 2085-2094, p. 352.

52 Ivi, vv. 2161-2164 e 2245-2248, pp. 356-357.

53 Ivi, v. 2314, p. 360.