C’est vers le Moyen Age énorme et délicat
qu’il faudrait que mon cœur en panne naviguât,
loin de nos jours d’esprit charnel et de chair triste.
Paul Verlaine
Il mio cuore annaspava, desiderava prendere il largo nel vasto mare di un’epoca remota e allontanarsi da questi tempi tristi in cui lo spirito incarnisce. E l’ho fatto imbarcandomi, all’inizio controvoglia, nella mia tesi di laurea magistrale sulla scia di un bulimico scrittore contemporaneo di gialli post-moderni a sua volta sulle tracce di uno scrittore del Medio Evo.
Che Manuel Vázquez Montalbán fosse anche un cultore di filologia romanza era sorprendente a giudizio della mia cara relatrice Monica Longobardi che desiderava verificare l’accuratezza delle fonti cui aveva attinto il catalano nel suo “Erec y Enide” (2002), non velata riscrittura dell’omonimo romanzo in octosyllabes a rima baciata di Chrétien de Troyes (1170 circa).
Mi ci vollero alcuni mesi per addentrarmi nell’operazione di riscrittura di Montalbán che negli anni Cinquanta era stato allievo di un celebre filologo romanzo dell’Università di Barcellona, Martín de Riquer. Il romanzo di Chrétien de Troyes, a differenza di altre famose opere dell’autore francese entrate a pieno titolo nell’immaginario occidentale, non racconta di prodigiose questes di sacri graal in terre desolate, né di nobili adulteri, di maghi e di morgane, ma di una coppia come tante (ancorché di nobile stirpe) che decide di mettersi in gioco per difendere e nutrire l’amore dopo l’effimera fase dell’innamoramento. Il Medioevo ha inaugurato il mainstream della letteratura amorosa occidentale, ma l’amore in “Erec et Enide” assume una prospettiva tanto delicata e intima da apparire quasi banale: si racconta dell’imbarazzo di un timido cavaliere ridicolizzato dai suoi pari per preferire l’amore della moglie alla guerra e la sua decisione di partire con lei all’avventura. Le gesta che compirà nella sua queste saranno di piccolo eroismo a confronto dei suoi più noti successori (Perceval, Cligés, Yvain) ma basteranno a riscattare l’onore e il diritto a un ritorno alla quotidianità della vita di coppia nella “gioia della corte”. “Erec et Enide” è un romanzo, per dirla tutta, che nessun non addetto ai lavori si filerebbe ma che perseguitava invece Montalbán dagli anni dell’Università. Cosa lo indusse a interrompere la sterminata serie dell’ispettore Carvalho e a intraprendere questa riscrittura in chiave moderna? Il suo “Erec y Enide” fu pubblicato postumo alla pubblicazione come un testamento: un gioco del destino volle infatti che morisse di infarto nel 2003 prima di vederlo consegnato alle stampe.
Non era casuale forse il suo rispecchiarsi nell’antipatico coevo co-protagonista: Matasanz, emerito filologo alle soglie del pensionamento che prepara il suo provocatorio discorso di addio alla carriera parlando proprio di “Erec et Enide”. Matasanz descrive i protagonisti del romanzo medievale come “due pischelli a zonzo” proprio come, a parer suo, vanno a zonzo per il mondo suo figlio adottivo e la compagna, nelle loro missioni di cooperazione internazionale. Il “parallelismo totale” tra gli Erec e Enide di ieri e di oggi viene svolto da Montalbán-Matasanz con precisione di particolari e farciture di mai casuali riferimenti a fatti, personaggi, luoghi e opere della letteratura e della filologia romanza. Dimostrarlo era il mio compito e quel compito lo avevo svolto.
Continuavo a sentire, tuttavia, l’eco delle parole pronunciate da Montalbán all’indirizzo di una entusiasta studentessa americana: "Tu sei responsabile di quello che hai letto". Mi sembrava che alludesse a un diritto e dovere di tutti i lettori e che, con il dito puntato, mi esortasse a far mie tutte le letture accumulate nei mesi precedenti di ricerca. Insomma, finita la tesi vera e propria mi sono dedicata all'ipotesi, addentrandomi a mia volta istintivamente nei labirinti delle ri-scritture: Dove si trova la sorgente delle storie che si raccontano o che le nostre vite raccontano? E perché si raccontano, si scrivono, si leggono, si ascoltano delle storie…? Questa ipotesi non è dimostrabile e la sua irrituale apposizione a un lavoro di tesi ha comportato non pochi imbarazzi in fase di discussione. Ma è stato il prezzo che ho pagato in cambio di un divertissement che non mi sarei permessa senza la complicità della mia relatrice, ludolinguista insigne. Così, lanciata all’avventura, ho sondato il mistero della creatività letteraria e cercato di capire da dove nasce il piacere di narrare, quello di Manuel Vázquez Montalbán, di Chrétien de Troyes e, perché no, anche quello di un'oscura laureanda dell'università di Ferrara. Ho inserito quindi nel mio lavoro un gioco letterario di pura immaginazione, giocando io stessa a una riscrittura delle riscritture e ciò mi ha consentito di trovare una mia personale conjointure nella materia di Bretagna che a tutta prima mi era parsa una matassa intricata e multiforme.
Ho visto Manuel seduto a un tavolino del bar Trianon, nel barrio Chino, in un tiepido novembre del 2001. Sono passati due mesi dall’attacco alle Torri Gemelle e mentre George Bush Jr si prepara a importare la democrazia in Iraq, Montalbán si appresta a riversare le asperità della sua incipiente vecchiezza nel professor Matasanz e a rigenerarsi nell’anelito altruista, coraggioso e a tratti ingenuo, di due giovani del nostro tempo e di tutti i tempi. Ma, prima di cominciare, scrive una lettera a Chrétien de Troyes per chiedergli l’autorizzazione ad usare il suo romanzo. Chrétien risponde a stretto giro e ne nasce una “corrispondenza impossibile” che si concluderà con il cortese nulla osta alla pubblicazione da parte dell’autore francese. Io mi trovai in mezzo a fare da improbabile portalettere tra il traffico di una Barcellona viva e fremente e le caligini del Pays de Gorre, da cui nessuno ha fatto mai ritorno.
Se è vero che tutta la scrittura, anzi tutta la cultura in cui siamo immersi, è il risultato di “ri-scritture interminabili”, è stato il piacere di leggere e di scrivere che mi ha trasportato nella dimensione magica, nella mise en abîme a volte vertiginosa di una riscrittura, di una riscrittura, di una riscrittura … e il cuore ha così potuto navigare tra due grandi autori lontani nel tempo ma genealogicamente uniti dai misteriosi percorsi di filiazione del processo creativo.
Ringrazio vivamente Monica Longobardi, maestra di rigore filologico e di estro creativo e tour operator di questo mio viaggio letterario. Esprimo inoltre la mia gratitudine anche a Ines Cavalcanti per l’ospitalità che concede nel suo prezioso portale e per la curiosità che ha suscitato in me di programmare proprio in terrà occitana il mio prossimo viaggio, questa volta a pè.
commenta