Sono anni di eventi eccezionali e non mi riferisco alla pandemia. Il 2019 è stato l’anno dedicato dall’UNESCO all’ecologia e nel 2022 si inaugurerà il “decennio internazionale delle Lingue indigene” quindi, per estensione, anche delle lingue di minoranza storica. Pensando a questi due temi mi son trovata a riflettere sulla loro correlazione. Esiste una correlazione? In che modo? Cosa c’entra l’ecologia con le lingue e in particolare con le lingue minoritarie?
Quando ragiono sulla parola “ecologia”, immediatamente mi viene in mente il pensiero di Guattari (“Le 3 ecologie”): "La crisi ecologica rinvia a una crisi più generale, ad una crisi del sociale e del politico. Di fatto, ciò che viene messo in discussione è una sorta di rivoluzione delle mentalità che oggi si fanno garanti di un certo tipo di sviluppo, di un produttivismo che ha perduto ogni finalità, a parte quella del profitto e del potere”. La crisi del sociale e del politico mi porta considerare la crisi ecologica nella quale versano le nostre lingue di minoranza storica, anch’esse travolte da una crisi sociale e politica, poiché lontane dalla logica del profitto e ancora di più da quella del potere.
Più leggo e mi documento riguardo allo stato di salute del nostro pianeta più riconosco un forte legame tra la devastazione del nostro habitat e la devastazione linguistica alla quale assisto (e contro la quale cerco di combattere) ogni giorno.
Infatti, così come le specie animali (e non solo) si stanno estinguendo, lo stesso destino seguono molte lingue nel mondo e, per quello che ci riguarda più strettamente, potrebbe essere la stessa sorte delle nostre lingue madri in Italia e in Piemonte, in particolare. Quindi a una gravissima perdita di biodiversità corrisponde una altrettanto gravissima perdita di diversità culturale, dovuta alla progressiva scomparsa di centinaia di lingue o alla graduale perdita della loro funzione comunicativa.
Quindi tigri, orsi, lupi e lingue di minoranza faranno la stessa fine?
Non necessariamente biodiversità e diversità culturale-linguistica devono seguire lo stesso destino. Tuttavia hanno percorsi paralleli, purtroppo simili: infatti se da un lato l’ONU (6 maggio 2019) allerta che nel prossimo ventennio si assisterà all’estinzione di massa di 1 milione di specie e al contempo avverte che la riduzione di massa della biodiversità supera il 60%; dall’altro lato, quello linguistico, almeno 3000 delle 6000/7000 lingue del mondo si perderanno prima del 2100. Sembrano solo numeri e statistiche, però non deve sfuggire il dato sconcertante che su circa 6.000 lingue esistenti nel mondo, più di 200 si sono estinte nel corso delle sole ultime tre generazioni: 538 sono in situazione critica, 502 seriamente in pericolo, 632 in pericolo e 607 vulnerabili. I numeri, da soli, non rendono l’idea. Tradotto, ciò significa che ogni anno scompaiono 25 idiomi ed almeno 2500 sono a rischio estinzione nei prossimi tempi, tant'è che nel giro di un paio di secoli le uniche tre lingue a essere parlate nel mondo saranno solo inglese, spagnolo e cinese. Basti pensare che nel caso dell'italiano (per noi lingua nazionale, imponente, così possente da aver schiacciato le nostre lingue di minoranza storica), il numero di lemmi (250.000 circa) si vedrà ridotto della metà entro il 2050.
Per essere ancora più diretta, forse brutale, secondo l’UNESCO, in Italia le lingue a rischio sono ben 31 e di queste 12 sono lingue alloglotte, cioè le lingue che lo Stato Italiano considera lingue di minoranza storica, le nostre lingue. Volendo sintetizzare al massimo: siamo di fronte alla quarta estinzione di massa dopo quella dei dinosauri, ma questa è un’estinzione ancora più pericolosa perché silenziosa, senza scalpore, senza foto shock, ma che rende muti interi popoli per sempre.
Purtroppo però ci accorgiamo dei danni sempre quando ormai è troppo tardi. Faccio mie le parole di una giovane scienziata applicandole alla lingua: “Più che una specie distruttiva siamo una specie distratta. Non riusciamo a credere di avvicinarci all'abisso finché non ci siamo caduti dentro”.
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