«Ogni lingua non conforme alla lingua dominante è una terra di libertà»1
Terra incognita
Se c’è una terra incognita, questa è la letteratura occitanica contemporanea. Se tutti noi conosciamo bene o male la lirica trobadorica per la sua influenza sulla letteratura italiana delle origini, certo non ci è familiare che ne sia stato di quella lingua e di quella cultura dopo il medioevo. Eppure, in occitano si è continuato a produrre letteratura di ogni genere2, ma essa non sempre è (o vuole essere ) tradotta in francese, lingua che l’ha eclissata nei secoli, tantomeno in italiano. Il dato ancora più sorprendente è che in occitano si sia scritto, ormai da quasi un cinquantennio (R. Lafont, Tua culpa, 1974) anche decine di polar, il genere più svincolato dal retaggio trobadorico, e quindi più moderno. Nell’introduzione alla mia traduzione di Vautres que m’avetz tuada, di Joan Ganhaire, ho dunque dovuto ricostruire, almeno per sommi capi, questo tassello di storia della letteratura occitanica. Ho prima scrutato, sotto la coltre della lingua francese, le differenze territoriali e culturali: il commissario Laviolette di Pierre Magnan, per fare solo un esempio, ci parla in francese di Manosque e del suo minuscolo mondo in Provenza. Andrea Camilleri lo omaggia di una citazione lusinghiera…
Ma davvero esiste anche un poliziesco in occitano? E quale ne è la mappa? Chi conosce Joan-Loís Lavit (1959-) o Éric Gonzalès (1964-); Raimond Guiraud (1929-2013); Jòrdi Peladan (1938-), Sèrgi Viaule (1950-); Reinat Toscano (1959-), nizzardo, i cui avi venivano dalle Vallate occitane. E c’è pure una Marsiglia diversa dai soliti Izzo-Carrese-Thomazeau: c’è Romieg Jumèu (1930-) con Embolh a Malamosca. Florian Vernet (1941), tra i più originali, scrive polizieschi ‘alla marsigliese’, ma con storie distorte, sarcastiche e surreali, fra traffici d’organi di clinici Suça-sang, extraterrestri, prostitute e magnaccia e titoli che ammiccano al pulp di Tarantino (Popre ficcion)3. Tutti insieme ci parlano dell’Occitania, dai Pirenei ai confini con l’Italia, dalle città ai piccoli paesi e del suo paesaggio. Insomma, tutto un mondo per noi sconosciuto che vive nell’ombra di una terra incognita, nella più nota Francia.
Non ho dovuto lavorare poco per scovare, dalle avare note biografiche di certuni, questi autori e parlare un po’ di loro e della loro opera a partire da testi rigorosamente in occitano. Sicuramente una strada in salita, per di più con le biblioteche chiuse per mesi nei lunghi tempi della pandemia.
Limosino: lenga maudicha
S’il est un domaine où nous sommes gouvernés sans le savoir et contraints malgré nous à la soumission… c’est bien celui de la parole… On comprend dès lors aisément que ledit pouvoir récuse en principe, par exclusion ou marginalisation, ce qu’il ressent comme un excès de langue, les langues dites régionales évidemment, les dialectes, argots et autres expressions non conformes (Siméon, Par tous les chemins)
E sono così arrivata a parlare di Joan Ganhaire (Agen, 1941-), uno scrittore a tutto tondo, di cui mi ero interessata nel precedente Viaggio in Occitania (Virtuosa-Mente, 2019). Sulla scoperta della sua identità linguistica, lo scrittore risponde a Joëlle Ginestet nel corso un’intervista4. Ganhaire apprese il limosino da adulto; nella sua infanzia, infatti, la lingua locale gli era stata taciuta dalla famiglia, poiché «era dejà una lenga maudicha que faliá pas parlar, que faliá pas parlar aus dròlles». Una lingua ‘maledetta’, interdetta e quindi non trasmessa dai genitori ai figli. Ma, una volta riscoperto il limosino tramite i suoi pazienti (è stato medico di campagna) disseminati nel Périgord dove vive, ha maturato tale convinzione: «n’ai jamai escrich una linha en francés e io pense que podrai pas» (non ho mai scritto una riga in francese e penso che non potrei). In Ganhaire, dunque, la scelta esclusiva del limosino per l’uso letterario esprime una posizione ideologica, condivisa da molti occitanisti, contro il colonialismo interno francese. Il suo uso esclusivo, in questa prospettiva, serve per dimostrare che la sua lingua regionale è capace di dare forma a tutti i generi della letteratura. Poliziesco compreso.
Il poliziesco: genere divulgativo
’Fectivament, los romans policiers fan partida d’una literatura d’aisat legir, çò que manca un pauc en Occitania. Surtir dau "trobar clus" (que practique enquera de temps en temps…) me sembla plan important per ofrir aus jòunes quauquaren de pas tròp einoiós a legir: aventura, misteri, umor, çò que dise "literatura de gara", deu espelir si un vòu apelar lo mai possible de legeires5
Ganhaire, che tiene corsi di limosino da decenni, risponde ad un’intervista circa l’attrattiva del romanzo poliziesco, perché lettura scorrevole e accattivante. Un genere che ha sempre prediletto come lettore, sino alla scoperta, proprio nel 2013, anno di Vautres que m’avetz tuada, dell’opera di Camilleri, con cui sente una fratellanza particolare per l’uso del dialetto siciliano (per quanto reinventato) e per la creazione di un piccolo universo, quello della città letteraria di Vigàta, come ha fatto lui con sua Maraval:
Ai totjorn agut grand plaser a legir daus romans policiers, J. H Chase, Chandler, Rex Stout, John Dickson Carr, Agatha Christie, Boileau Narcejac, Simenon e de segur Conan Doyle an breçat ma jounessa, e pus tard, Sjôwall e Wallö, Fruttero e Lucentini, Mankell, Elis Peters, Fred Vargas e subretot Andrea Camilleri. Dins quel autor sicilian, ai trobat (en tota modestia!) un frair en escritura: usatge dau dialecte sicilian, creacion d’un comissariat improbable dins una vila imaginara lançat dins de las aventuras umanas ente l’umor aida a suportar la sufrença. E ai chausit mon genre: lo de l’enigma policiera, emb sos suspiechs, sas faussas dralhas, sos rebombaments («Anem! Occitans!», cit., pp. 20-21)
Da educatore, d’altronde, vede nei polizieschi un modo di avvicinare quanti più lettori, compresi i giovani occitani, alla scoperta della propria lingua d’appartenenza. È la stessa ragione che mi ha mossa a scegliere di tradurre il suo poliziesco, per conquistare più facilmente l’interesse dei miei giovani allievi.
Quanto alla serie dei suoi polizieschi, dopo una lunga attività di scrittore di racconti e romanzi brevi, dal 2004 si avvia con Sorne trasluc6 (Fosco plenilunio), inventando il commissario Darnaudguilhem e la sua squadra, che sbrogliano casi delittuosi in Alta-Dordogna. L’ultimo nato sembrava fino a pochi giorni fa Vent de sable 7, ma ecco che una lettera di Ganhaire mi annuncia l’uscita in volume di Enquestas de pas creire de Gaëtan Caüsac daus Ombradors (Novelum-IEO Perigòrd). Si tratta di un investigatore spiccato da una costola di Darnaudguilhem, e che aveva preso forma proprio mentre maturava Vautres que m’avetz tuada8. Nel primo episodio, uscito come i successivi sulla rivista «Paraulas de Novelum», lo si presentava così:
« Concertò per pissarata » « Concerto pour chauve-souris », c’est le titre du dernier roman policier du spécialiste occitan du genre qui paraît par épisodes dans la revue « Paraulas de Novelum ». Cette fois, nous suivons l’équipe du Comte Gaëtan Caüsac daus Ombradors, commissaire de police de son état, mélomane et sorte de cousin un peu déjanté du commissaire Darnaudguilhem, dans des aventures qui vont le conduire jusqu’à d’anciennes carrières non loin de Maraval9
Una lingua popolare. Una lingua in pericolo
Il poliziesco mi ha messo di fronte a quella che Micheu Chapduelh, nell’Avant-dire a Vautres que m’avez tuada (p. 6) definisce una lingua popolare: «lo roman policier es un genre popular. Sarra au mai près la realitat lingüistica, l’estat popular de la lenga», anche se maneggiata da una penna magistrale quale quella di Ganhaire.
Più che negli altri racconti, infatti, lo stile di Ganhaire si adegua al genere, ricco dei tratti che imbarazzano la nostra ‘bella’ prosa italiana: una lingua mossa e pulsante, con tutto ciò che l’oralità regala ancora ad una prosa non mummificata. Non è stato facile, traducendolo, rinunciare ai consueti orpelli retorici per aderire ad un’altra grazia, più corposa e materica. E indiavolata: ogni personaggio ha un suo carattere ed un suo modo di periodare; nel romanzo si alternano toni e stili diversi: l’indignazione verso le ingiustizie dell’investigatore, nervoso e malinconico; il macabro un po’ morboso (e beffardo) del medico legale Masdelbòsc, detto Sniffamorte; la scissione identitaria, con la conseguente plateale depressione, dell’ispettore Le Goff, metà còrso e metà bretone, e il tratteggio divertito di certi personaggi grotteschi e marginali quali il barbone Rodilha, strambo informatore della polizia di Maraval. E poi ci sono i termini dialettali, i modi di dire, i proverbi, i nomignoli… Il tutto condito da un umorismo impagabile. E alla lingua del cuore di Ganhaire ho risposto con il patrimonio della mia biografia linguistica, dal mio toscano popolare a qualche stilla del romagnolo della mia terra adottiva. Una manciata di usi regionali che pigmentino una lingua e uno stile di traduzione che, pur non volendo disorientare il principiante, non si arrendano al ‘traduttese’.
Insomma, alle prese con questa delicata ‘ambasceria’ che è la traduzione, si è fatto del nostro meglio per non demeritare troppo. E Joan Ganhaire è stato per me un alleato formidabile10.
Tante sono dunque le questioni che si pongono al traduttore, e non sono solo di ordine teorico, ma di sensibilità, di gusto, di scrupolo; Antonio Prete ne ha parlato in termini di ospitalità offerta ad una cultura e una lingua altra: «Tradurre è accogliere un ospite nella casa della propria lingua »11.
E quando questa lingua altra è in pericolo, in dissolvenza, il compito è ancora più cruciale e delicato:
difendere tutte le specie linguistiche, oggi che la loro sopravvivenza è minacciata, è un compito ecologico, e dunque politico, del traduttore. Ogni lingua sembra attendere il transito in una nuova lingua per potersi rinnovare... Tradurre è forse cercare nel corpo vivo delle altre lingue, e nel respiro del nuovo testo, qualche lontano riverbero di quei suoni, di quei silenzi12
Voi che mi avete uccisa: Vautres que m’avetz tuada
Terzo della serie (2013), narra la vicenda di una donna caduta vittima di una famiglia di militari e della corruzione dei medici. Ganhaire, medico e scrittore, scruta e castiga severo il marcio che alligna intorno a Maraval, una Périgueux sotto mentite spoglie, sin dentro agli organi cariati dei suoi cittadini. E sotto il suo sguardo lucido e penetrante, le miserie di una provincia sordida diventano paradigma della condizione umana13. Perché, come osserva Siméon elogiando l’apertura al mondo dei cosiddetti autori ‘locali’: «L’universel, c’est le local moins les murs»14.
In effetti, tale professione, esercitata per trentacinque anni, ha predisposto Ganhaire all’osservazione ‘clinica’ e minuziosa degli uomini e delle loro fragilità, piena d’orrore e di pietà, riversandola nelle sue opere letterarie. In Vautres que m’avetz tuada, così, la vicenda penosa di Cristòu, figlio handicappato del generale, categoria al centro del successivo poliziesco di denuncia Un tant doç fogier15, s’intreccia con quella della protagonista, vittima a sua volta del malvagio suocero militare. Da piccoli cimiteri, e scartoffie d’archivio, le due esistenze cancellate riprendono vita scortando le indagini verso inconfessate verità.
Tutto parla del passato in questo romanzo: gran parte dei personaggi (vedove, vecchie insegnanti, generali in disarmo) vivono il loro crepuscolo. Ed anche i medici in attività, ancorché con loschi giri di affari ed amanti al seguito, vengono freddati al culmine della loro dorata sessantina. Atmosfera ‘seppiata’ e film in bianco e nero (l’eroe cinematografico di Darnaudguilhem è Bogart) che spandono un alone da Arsenico e vecchi merletti all’ambientazione. E dal passato di una provincia dimenticata dal tempo, ma non per questo idilliaca, riaffiora anche lo spettro che agita l’anziana protagonista, che, ormai condannata da un male incurabile, con le ultime forze si fa giustizia impugnando un’arma-cimelio del 1937.
le pire est que cette histoire est une histoire vraie qui fut racontée à l’auteur par une de ses patientes dépressives dans un moment rare de confiance: «je n’en ai jamais parlé à personne...». Simplement, l’envie de tuer est restée au stade de projet, mais le vieux revolver de son mari avait été soigneusement entretenu, au cas où... L’auteur devait bien à cette dame de l’aider à entreprendre sa vengence...
Come parlarne oltre senza svelarne il plot?
1 La frase («toute langue non conforme à la langue dominante est une terre de liberté») è tratta dalla prefazione a Par tous les chemins. Florilège poétique des langues de France. Alsacien, basque, breton, catalan, corse, occitan, sous la direction de Marie-Jeanne Verny & Norbert Paganelli, préface de Jean-Pierre Siméon, Lormont, Le Bord de l'eau, 2019.
Per l’Italia: Sergio Lubello, Carolina Stromboli (a c. di), Dialetti reloaded. Scenari linguistici della nuova dialettalità in Italia, Quaderni di LeGIt, 3, Firenze, Franco Cesati editore, 2020.
2 Fausta Garavini, La letteratura occitanica moderna, Firenze, Sansoni; Milano, Accademia, 1970.
3 Una mia allieva, Costanza Amato, si sta cimentando con Metaf(r)iccions a Collisioncity di Vernet ([Puylaurens], Institut d'estudis occitans, 2020), che sta collaborando generosamente alla supervisione del suo lavoro.
4 « Entrevista de JOAN GANHAIRE per Joëlle Ginestet (genièr 2009, en preséncia de Michèu Chapduèlh) (traduction et transcription: Joëlle Ginestet), in canal-u.tv, https://www.canal-u.tv/video/universite_toulouse_ii_le_mirail/entretien_avec_jean_ganiayre_joan_ganhaire.5060.
5 Marçau de l’Oliu, Entrevista Joan Ganhaire e lo roman policièr, «Anem! Occitans!», revista trimestrala de l’institut d’estudis occitans, n. 145, sett-nov 2013, pp. 20-21, citato da p. 20.
7 Joan Ganhaire, Vent de sable, [Puylaurens], Institut d’Estudis Occitans; [Marsac sur-l’Isle], Novelum-IEO, 2020.
8 «Dos autres romans policiers son (presque) prestes e la literatura occitana s’apresta a descrubir emb orror las aventuras de pas creire dau comissari (enquera un…) Gaëtan Caüsac daus Ombradors dins de las aventuras trasfòlas, per tot vos dire, una de sas enquestas lo mena drech dins un poema de Rimbaud… Aprep, trobarem plan quauquaren mai!», «Anem! Occitans!», cit., p. 21.
9 «Concertò per pissarata », nouvelle de Joan Ganhaire, par Denis Gilabert, Publié le 21/10/2013, https://www.sudouest.fr/2013/10/21/concerto-per-pissarata-nouvelle-de-joan-ganhaire-1205755-1522.php?nic.
10 Sul rapporto tra autore e traduttore si leggono pagine molto interessanti nel volume di Ilide Carmignani, Gli autori invisibili, Nardò, Besa Editrice, 2008. Sul mio rapporto privilegiato traduttore-autore, e sulla traduzione ‘partecipata’ del poliziesco in questione, ho appena tenuto un intervento all’Università di Tolosa (Colloque - Relire Jean Boudou, 27-28 octobre 2021); Joan Ganhaire e sua moglie Françoise erano puntualmente là.
11 Antonio Prete, L’ospitalità della lingua. Baudelaire, Rimbaud, Mallarmé, Valéry, Rilke, Celan, Machado, Bonnefoy e altri, San Cesario di Lecce, Manni, 2014 (quarta di copertina).
12 Antonio Prete, All’ombra dell’altra lingua. Per una poetica della traduzione, Torino, Bollati Boringhieri, 2011, pp. 12-13.
13 Sull’opera di Ganhaire si veda un’imponente tesi di dottorato: Fabienne Garnerin, Jean Ganiayre/Joan Ganhaire: entre rire et désespoir, un regard occitan sur l’humaine condition, https://tel.archives-ouvertes.fr/RESO/tel-03325888v1.
14 Citato ancora dalla Préface a Par tous les chemins, cit., p. 10; Siméon mutua la frase da Miguel Torga.
15 Vi si indaga sugli abusi e i crimini perpetrati ai danni di handicappati ricoverati in un istituto. In proposito, in Vautres non si può non cogliere la citazione di un film-culto, Freaks, di Tod Browning (1932).
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