La Marteloueira
La marteloueira
di Marco Rey

Ogni valido falciatore era altrettanto bravo a fare il filo al proprio attrezzo, si diceva che il buon falciatore si riconosce dalla martellata.
I falciatori che si avviavano al lavoro normalmente avevano sulla spalla un sacco di iuta con dentro il martello e la marteloueira a fianco la falce smontata e ripiegata su se stessa, dietro la schiena attaccata alla cintura il portacote con un pizzico di erba per fermare la cote ed evitarne il dondolio camminando.
Si falciava tutto a mano, molti prati richiedevano più falciatori, ed era un lavoro che richiedeva capacità ma era ben pagato.
A Giaglione erano rinomati i falciatori di Rubiana.
Si assumevano falciatori solo per i terreni grandi o per il fieno in montagna, in paese normalmente ognuno tagliava i suoi pezzi.
Anche perché in famiglia c'era sempre più di un uomo, il falciatore giungeva sul terreno con la falce già pronta all'uso ed in primo tempo usava la cote per mantenere il filo.
Era indispensabile avere sempre dell'acqua per tenere la pietra a bagno nel portacote, ma a Giaglione questa si trovava dappertutto.
C'erano manici (foutsie) lavorati ma è nel portacote che l'arte del montanaro si sbizzarriva, i portacote di legno lavorati a coltello dai montanari sono vere opere d'arte, come quelli di corno di mucca in svariate forme.
Si usavano due posizioni per molare con la cote, o in piedi con la falce sotto il braccio sinistro saldamente impugnata dalla mano o piegati in avanti con la punta della falce ferma sullo scarpone ed il legno appoggiato sul ginocchio.
Se si molava bene con la cote si allungava il tempo di durata per il filo della falce.
Quando la falce non tagliava più era il tempo della martelouèira, bisognava sedersi un momento, per chi fumava era il momento per rullare la sigaretta di trinciato.
Si sceglieva il posto accuratamente e si stendeva il sacco di iuta, ci si sedeva a gambe larghe e si piantava l'attrezzo nel terreno in mezzo alle gambe avendo cura di tenerla bene in piano , con un'apposita chiave si smontava il ferro dal legno (manico).
Adesso iniziava la musica, battito ritmato per un filo uguale per tutta la lunghezza della falce.
I migliori avevano diversi modi di battere la falce a seconda del tipo di erba da falciare, di tanto in tanto si alzava la falce e con l'unghia del pollice si tastava il filo, più era sottile e più tagliente ma anche più delicato.
Rimontata la falce si posizionava il portacote e via per la successiva andana, appena martellata la falce lavora da sola.
I falciatori non forzavano mai il braccio, lasciavano scorrere la falce, la mano sinistra fungeva da perno e la destra accompagnava il semicerchio, un mezzo passo li portava avanti e cosi via fino in fondo.
Per parecchio tempo si mantiene il filo con lo cote poi bisogna rifarlo.
Ogni falciatore ha la sua martelouèira, di diverse misure e martelli di diverso peso e a forza dell'uso si consumava presto.
Ogni falciatore aveva il suo manico di misura o costruito in proprio o dal falegname, la martelouèira e la falce si compravano al mercato di Susa, la falce poi si usava fino ai minimi termini.
Spesso quando era consumata si tagliava e si costruiva una piccola falce per i bambini ed in questo modo per gioco crescevano dei bravi falciatori.
Adesso nè la martelouèira nè la falce si usano più, abbiamo falciatrici e decespugliatori ma i prati sono sempre più sporchi. A Giaglione non trovavi un filo d'erba fuori posto, l'erba non bastava per tutti, ora pochi puliscono i prati.
Forse sarebbe il caso di riprendere la falce e la martelouèira.
Onhi boun sèitou ou l'ere anque boun a martéle lou dalh, dezioun que in boun sèitou ou se counhet da la martéla.
Te vaia li sèitou que se varioun aou travalh, bèin souveun aioun in sac de térlo tsu l'èipala ave la martelouèira d'in, a flan dou dalh pleia desù lou foutsie, darie lou crepioun an brandan a la cinguia lou couie, ave in blus d'erba anfila d'in per fermee la cou que lhe soupatise pa an tsaminan.
Se siaave tot a man, carque praa ou l'avet anque dis sèitou, se te ieřa boun te pagavoun bèin.
An Dzalhoun se parlave bèin di sèitou de Rubiaouna, na venet bien e travalhavoun bèin.
Li sèitou se prenioun maque per li pra gran o per lou fèin an mountanha, an pai onhidun se talhave si tooc.
Anque per quei an familha ieřoun deloun doue o pi omeun, lou sèitou ou l'arivave tsu lou travalh avé lou dalh dzo preust, ou coumansave si andalh e onhi tan ou l'anouvrave la cou per manteni lou fil.
Fountave deloun ave in bleuc d'èiva da bitee d'in lou couie, ma a Dzalhoun se na trouvave dapertot.
Iavet de foutsie travalha ma et d'in li couie que la man di moutagnin lhe triounfave.
Iavet de couie an booc tot travalha a coutél, de couie an corna de vatsa de onhi forma.
Se moulave lou dalh an douveus pouzisioun, o da dret apoudzan lou bras èitsot desu lou dalh è bèin ampinha da la man èitsota ou se tenet freum.
O plia, ferman la pouèinta dou dalh desù la pouèinta dou tsousie avè lou foutsie desù lou dzenolh, se te èimoulaveus bèin te avansaveus coume.
Can lou dalh ou talhave papi, aloura fountave astese in moumeun è martelee, qui fumave péiet roulese in sigareta de trinciato.
Se tsartsave in post an plan e se pousave lou sac de terlò, se setave a pia èivert è aou mielh di pia se plantave d'in tèra la martelouèiřa, tchenanla bèin an plan, apre avè ina cla aposta se dèimountave lou dalh dou foutsie.
Et alouřa que coumansave la muzica, fountave faře in fil tot lou loun mèimo per la louèindzou dou dalh.
Li pi bravo martelavoun anque a seconda de l'erba que deivioun siee, per martele lou dalh ie alavee in bél moumeun, onhi tan se levave lou dalh è apre ave l'oungla dou poudzo se tastave lou fil, pi ou l'eře fin pi ou talhave, ma pi ou l'eře delicat.
Livro de martelee se mountave lou foutsie è anfila lou couie se tacave in'aoutro andalh, ařò sé! que se avansave, pèina martela lou dalh ou vét da souleut.
Li sèitou forsoun mai lou bras, lèisoun travalhee lou dalh, la man èitsota lhe fét da perno è l'aoutra lhe viře l'antort, apre in mès pas nou porte avanti, è deloun pařie fin aou fun.
Se èimole fin a can se det torna martelee.
Onhi sèitou ou l'ot sa martelouèiřa, nhavet de diverseus mezureus, e forse d'èitre anouvra se counsumavoun, anque per li martel onhoun a secounda dou gueust.
Onhi sèitou ou se vezet soun foutsie de mezuřa o loué mèimo o lou menuzie, lou dalh ou se tsitave queme la martelouèiřa aou martsaa de Souiza, è ou se anouvrave fin a venii pesteu petseut.
Souveun can ou l'eře counsumaa, ou se talhave è se vezet in petseut dalh per li mèina, ave soun petseut foutsie è pařie per dzouva se venet de boun sèitou.
Ařo ne lou dalh ne la martelouèiřa se anovroun pa pii, iot le falchiatris, li dechespoulhatou è pi cool, ma ave tot seun li pra soun deloun pi sporc.
A Dzalhoun si an pasa te trouvaveus pa ina butsa, nhavet pa per touit, ařo caze pi noun poulide li pra.
Per trouve li pra sìia è poulid mangařa foot torna ampaře ad anouvre lou dalh è la martelouèiřa.
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La Marteloueira
L'arte del falciatore in Val Susa, dove "Ogni falciatore ha la sua martelouèira" [continue]
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