Il primo numero de "La Valaddo" fu pubblicato nel novembre del 1968; il ciclostilato, definito "organo interno bimestrale del Club Alpino Villaretto e d'informazione per la media e alta Val Chisone", nasceva dall'incontro di un gruppo di giovani uniti dalla passione per la montagna.
La "jouvént dâ Viarét" – così Franco Bronzat chiamava questo gruppo di giovani di cui anche lui faceva parte – spinta "dall'incalzare del livellamento di massa di questa nostra società dei consumi", si proponeva di recuperare le antiche tradizioni della Valle Chisone (1).
Gli obiettivi principali del periodico sono indicati nell'editoriale del N.2:
Vorremmo che questo giornale potesse un giorno, farsi portavoce dell'Alta Val Chisone, sia dal lato cronaca che da quello culturale. In questi ultimi anni in cui l'opera disgregatrice della civiltà di massa ha portato non parecchi sconvolgimenti nella vita montanara, ci sembra più che giusto occuparci di una sua rinascita. Fra la gente, proprio per l'incalzare del livellamento delle popolazioni, ora, và sempre più prendendo piede una consapevolezza di un mondo popolare, ricco di sapore patrio, considerato forse nel passato come una forma inferiore e priva di valore. È giunto così il tempo di una rinascita su basi scientifiche e metodiche, quindi la Redazione di questo notiziario si occuperà sempre più delle tradizioni popolari, della lingua, dei costumi che hanno caratterizzato la dura vita dei notri antenati e vissuti fra questi monti.
Altro fattore da non dimenticare è quello, a mio parere, della salvaguardia della natura che ci circonda e che in un prossimo futuro costituirà per le genti un patrimonio inestimabile.
Combatteremo e denunceremo tutto ciò che causerà rovina alla nostra valle: le speculazioni edilizie, lo sfruttamento irrazionale e disordinato ed è più che necessario, quindi difendere il capitale natura (2).
Nel trattare il problema della salvaguardia della natura, "La Valaddo" dà voce, anche se con toni differenti, a quella che sarà una delle principali rivendicazioni dei movimenti occitanisti negli anni immediatamente successivi, una tematica che ricorrerà anche sulle pagine di "Lou Soulestrelh", "Valados Usitanos" e "Ousitanio Vivo".
Come constatava Bronzat (3), gli anni Settanta erano un'epoca di contestazione ("tutti contestano, e nel più logico dei diritti; quindi perché non si dovrebbe protestare anche noi! (...) Bisogna levare in alto la nostra voce, urlare più forte che si può") e fu in tale contesto che nacquero i movimenti politici occitanisti e le rivendicazioni politiche ed economiche legate alle valli.
E con tali movimenti "La Valaddo" condivideva anche la preoccupazione per lo spopolamento crescente delle valli, per l'emigrazione obbligata dei montanari verso la pianura e le grandi città in cerca di lavoro, per il turismo irrispettoso dell'ambiente (4).
Tuttavia, "La Valaddo" non può essere definita una rivista militante; certo, gli ideali di fondo sono comuni a quelli dei movimenti occitanisti ("attaccamento al paese, alla valle, alle tradizioni, al patois, amore per la montagna e per il suo ambiente" (5)), ma l'approccio alle problematiche valligiane è apolitico e profondamente diverso.
Chiaro è il messaggio dell'editoriale pubblicato sul N.29 del 1980, laddove vengono riassunte le direttrici fondamentali (si veda la nota N.7) dell'omonima associazione costiuitasi legalmente il 28 febbraio 1979, la quale a partire da questa data porterà avanti anche la rivista; dopo le indicazioni programmatiche, la redazione commentava:
Gli scopi dell'Associazione sono, dunque, eminentemente culturali, e ciò la differenzia sostanzialmente da altre associazioni o movimenti similari che, pur affermando di operare in chiave linguistica e culturale, sembrano anteporre ai problemi della lingua e della cultura provenzale i problemi politici e socio-economici delle popolazioni valligiane, operando anche in senso politico vero e proprio. Ciò non significa tuttavia che "La Valaddo" non possa farsi carico dei problemi e delle ansie di riscatto socio-economico delle popolazioni valligiane. Di tali problemi e di tali ansie essa può farsi portavoce e paladina senza che ciò la porti ad operare al di fuori del proprio statuto il quale, all'art.1, chiaramente stabilisce che "l'Associazione non ha carattere politico (in senso partitico) né confessionale" (6).
L'intervista del 2003 ad Alex Berton, portavoce e redattore de "La Valaddo" fino a pochi anni fa, mette in luce, coerentemente con le posizioni della rivista sin dai primi numeri, quali sono stati i rapporti dell'associazione con l'occitanismo militante:
La nostra associazione è apolitica e aconfessionale o meglio biconfessionale perché nella nostra realtà convivono valdesi e cattolici. È una pazzia immaginare di creare una nazione occitana. Non è mai esistita e a mio parere non ha nessun senso di esistere (...). Il rapporto con il M.A.O. lo abbiamo rotto nel modo più totale. Innanzitutto perché il M.A.O. si scontra con le nostre realtà storiche. Noi siamo sì un'associazione apolitica però è chiaro che difendiamo il nostro individualismo e il federalismo mistraliano. (...) Fontan è un personaggio negativo e senza alcun legame con il territorio propugnatore di ideologie nazionalistiche strampalate (7).
La rivista focalizzava invece la propria attenzione, come dichiarato nell'editoriale del N.1 del 1972, sulla ricerca e sugli studi aventi come argomenti il folclore, la letteratura popolare, la storia locale e il dialetto:
Il periodico, apartitico e aconfessionale, si presenta al lettore come una rivista di cultura valligiana, ma al tempo stesso vuole essere un giornale aperto ai problemi di attualità vitale per le nostre vallate. Si propone quindi di tutelare e di valorizzare il patrimonio storico e artistico, geografico e naturale delle nostre Valli e di favorire ogni indagine avente per oggetto i caratteri distintivi della regione nel linguaggio e nelle tradizioni popolari; ma anche di promuovere studi, iniziative e ricerche culturali, economiche e socio-ambientali utili ad un'approfondita conoscenza delle comunità alpine. (...) A tal fine la rivista invita alla collaborazione tutti coloro che si interessano a questi problemi (8).
Gli studi sul folclore furono inaugurati da Silvio Berger sul N.4 del 1969, con la pubblicazione a puntate dello studio sulle Danze e tradizioni popolari della Val Chisone; egli sarà un attivo collaboratore della rivista pubblicando numerosi saggi sul folclore e sulla letteratura popolare (Diavoli e streghe nelle leggende delle nostre valli; La Crino-cavilholo di San Martino di Perrero e il Coinchon della Savoia; La velhô e la novellistica popolare valligiana; Le storie non scritte; Personaggi delle nostre leggende; Struttura e forma letteraria delle leggende valligiane).
Numerosi sono anche gli studi sulla storia locale, alcuni dei quali sono stati archiviati nella sezione Testi in lingua italiana; tra i principali autori ricordiamo Remigio Bermond (Sulla religione dei nostri antenati valchisonesi; Antichi villaggi pragelatesi; I nostri antenati del XIII secolo; Il vallone dei morti e il granatiere di Francia; La lunga lite tra il Comune di Pragelato e gli eredi del sindaco Daniele Papon; La revisione catastale del 1699 in Valchisone), Ettore Patria (Cenni sui rapporti commerciali tra il Bec Dauphin e il Piemonte sec XIV-XVI; Fatti d'armi in Val Chisone durante la guerra per il marchesato di Saluzzo 1597; La bountà che si trova nelle milizie della valle di Pragelato; Le barricate di Giaglione; Note sulle antiche monete valligiane; Notizie sulla Castellania di Exilles al tempo delle guerre del conte verde in Piemonte. 1362.1364), Andrea Vignetta (Fenestrelle, immagini del '600 e del primo '700; I saraceni in Piemonte; La Val Chisone e le guerre di successione) ed Ezio Martin (Il Codice Gouthier; Anciennes ordonnances de la Comunauté de Mentoles, 1514; La transazione del Chardounè 1514).
Ezio Martin è inoltre l'autore di interessanti studi sul dialetto parlato a Villaretto e in Val Chisone (Come evolve un patuà; Coumà dire. La degradazione lessicale del patouà; Gli articoli nel patois di Villaretto; Il plurale dei nomi nel patois di Villaretto; Introduzione al patouà; Le varianti maggiori del patois chisoniano; Vocalismo e consonantismo del patois di Villaretto).
Ampio spazio è riservato su "La Valaddo" alla lingua occitana, nella maggioranza dei casi definita patouà (9); "La Valaddo" si affacciò dunque sulla scena delle valli occitane come seconda rivista - dopo "Coumboscuro" – impegnata a promuovere l'uso e la scrittura del dialetto, contribuendo alla presa di coscienza etnico-linguistica avviata dall'Escolo dóu Po nel 1961.
Sin dal primo numero la seconda parte del giornale è riservata all'Angle dou Patois.
Nel N.1 del 1968 Ezio Martin introduceva i lettori alla sezione, definendo il patois "espressione orale di una data civiltà" (10). Dopo aver citato due studi sul patois chisoniano, uno di Alberto Talmon e l'altro dello scrivente, Martin passava a considerazioni sociolinguistiche sull'uso del dialetto: se fino a qualche anno prima il patois era considerato "una manifestazione di arretratezza delle popolazioni montane (i cosiddetti "vitôn d'la môntagna")", e studiarlo era "indice di notevole stramberia, nonchè una perdita di tempo"; e se i patoisanti, quando scendevano per motivi di lavoro verso la pianura, si sforzavano di parlare il piemontese "poichè dava loro un senso di promozione sociale, di evolutezza, di rispettabilità", negli ultimi anni si assisteva secondo l'autore ad un'inversione di tendenza: "la gente lo sente sempre meno come un segno di primitività, ne discute sempre più con attenzione e prende sul serio le inchieste degli studiosi in materia" (11).
Il patois, definito anche provenzale alpino, "rappresenta ormai un patrimonio da salvare, che esso è in grave pericolo" a causa dello spopolamento della montagna e della concorrenza della lingua nazionale: la sezione l'Angle da Patois rappresentava quindi uno spazio in cui i patoisanti potevano scrivere nella loro lingua madre, "eredità gratuita lasciataci dai nostri padri, senza la quale la maggioranza di noi si perderebbe nel gran mare dell'anonimato piemontese o italiano"; scrivere in patois è dunque per Ezio Martin un atto necessario per affermare la propria identità e salvaguardare le proprie radici secolari, oltre che "un semplice atto di dignità umana": "la nostra individualità è quel che è non solo per merito nostro, ma anche per quanto si è depositato in noi come epigoni di vicende secolari"(12).
Sin dal primo numero compaiono dei testi in patois: nel primo numero vi è soltanto una poesia, On maison i li morto di Franco Bronzat; successivamente, e grazie alla proposta di un sistema ortografico per la trascrizione del patois (13) la sezione diventerà man mano sempre più ricca.
Nell'Angle da Patois, accanto alle poesie, si possono leggere racconti, traduzioni, proverbi, filastrocche.
Oltre a Franco Bronzat, erano presenti già a partire dai primi numeri alcuni degli autori più rappresentativi de "La Valaddo": Ezio Martin, curatore dell'Angle da Patois e autore, oltre che di poesie, dei saggi di linguistica sul patois sopra citati; Ettore Merlo, anch'egli già citato; Sandro Cirillo Gay, autore di numerose poesie e di una serie di divertenti racconti che hanno come protagonisti dei suoi amici di gioventù, riuniti in quella che veniva chiamata la Società dei François (Lâ badinadda dë la Società de François; Lâ doua pel de feino; Li tre benout per li filhet dei notari; Lâ paca d'un bousëtin; Lou cerchaire dë client per l'Albergian Hotel; Un notari e un mëdesin ei leit d'un fantoch dë palho; Lou moujoun a l'opital; Lou journ dë Sant Ziene; Li möbble marcà aboù lou pounsoun; Lou Trezor eicoundù sou tero); Andrea Vignetta di Fenestrelle, autore, oltre che di studi sulla storia locale, anche di racconti ambientati nel suo paese (El malatte).
Nell'editoriale del N.4 del 1969 la redazione avvertiva i lettori che il giornale si stava diffondendo nelle altre valli e riportava il commento del giornale Coumboscuro, che definiva La Valaddo "voce nuova della nostra famiglia provenzale" (14).
La collaborazione con gli autori provenzali provenienti dalle altre valli inizierà a dare i suoi frutti nei numeri successivi: nel N.9 l'ultima pagina è riservata a La voû dë li frairi dë lengo, con poesie di Sergio Arneodo di Santa Lucia di Coumboscuro, Sergio Ottonelli di Chianale, Beppe Rosso della Valle Stura ed una preghiera raccolta da Fredo Valla della Valle Varaita.
A partire dal numero successivo, "La Valaddo" cominciò a pubblicare anche testi inviati da alcuni autori delle valli Germanasca, San Martino e alta Susa, nella speranza che, "groupant lâ mêma caracteristica dë loû diferens patouà locaus e chousént lâ forma gramaticola plù pura, së poueriò aribô â la creacion d'uno «koiné» entre lâ valadda dë San Martin, Cluzon e Auto Sèuzo, quë î douneriò un vizagge plù omogene â la litteraturo an lengo d'Oc dë notro pëchotto patriò mountanhardo" (15); come annunciato nel N.1 del 1972, una delle intenzioni de "La Valaddo" era infatti quella di essere "preminentemente l'espressione dell'area e della popolazione provenzaleggianti nelle valli del Chisone, della Germanasca e dell'Alta Doria Riparia" (16). Iniziarono a scrivere sul giornale in lingua occitana Osvaldo Peyran di Perrero, giornalista de L'eco dâ Cluzon, Remigio Bermond di Pragelato, Ernesto Odiard des Ambrois di Oulx; nell'ultima pagina erano di nuovo pubblicate delle poesie di Sergio Ottonelli e Beppe Rosso, segno che la collaborazione con autori provenienti da altre valli era ormai consolidata (ad essi sarà riservata la sezione intitolata La voû dë loû notrij frairi dë lengo nel N.11).
Nel 1970 "La Valaddo" invitava anche i Valdesi della valle San Martino a collaborare con la rivista, per "sauvegarder, aussi longtemps que possible, l'héritage de civilisation qui nous a été transmis par nos ancêtres ed dont le patois est une des expressions les plus marquantes".
Nell'appello rivolto ai Valdesi, la redazione insisteva sul fatto che la trasmissione dei valori del passato, e quindi del "patois provençal" che ne è espressione, costituisce un importante contributo al progresso e alla civilizzazione dell'umanità:
Honorez votre père et votre mère (...). Le respect des parents et des ancêtres est donc étroitement lié a l'idée de patrie; et ce qui forme l'idée de patrie ce n'est pas seulement la civilisation de la nation en tant qu'unitée politique, mais aussi l'amour de la vallé, du village, des gens et du parler d'origine, bref: la fidélité au terroir. L'Italie est et doit rester notre patrie bien aimée: c'est là un sujet sur lequel nous n'accepterons jamais d'être tiraillés par qui que ce soit. Mais il est vrai aussi que des milliers de soldats de nos vallées sont tombés pour elle au champ d'honneur en prononçant les derniers mots de leur existence dans leur langue maternelle: le patois provençal. C'est dans l'esprit de cet amour pour les choses de chez nous que nous vous prions, chers amis Vaudois du Val Saint-Martin, de ne pas oublier que le Club Alpin du Villaret s'intéresse particulièrement à la civilisations de nos vallées, sous toutes ses formes, et qu'il serait heureux d'obtenir votre collaboration (17).
L'apertura alle altre valli provenzaleggianti fu affermata esplicitamente dalla redazione nel N.12 del 1971 e l'organizzazione del concorso "Lou Roure" ne fu la conferma; nell'introduzione alla sezione dedicata al patouà, Ezio Martin individuava nella fondazione dell'Escolo dóu Po la rinascita della coscienza etnico-culturale valligiana:
L'Angle dâ Patuoâ qu'al à toujourn ouspità d'articli, de proza e pouezia din loû lengatgi de lâ valada dâ Nort, da caque numre al a decò prezentà de coupozicion de loû patouazans de lâ Valada de Couni e eiquen, pouen e volen lou dire, per fa saber a noûtriz amî de "La Valaddo"
que lh'a de gent qua parlo e penso a la memo maniero d'elli. Se coumpren que de vê lh'a de parolla diferenta, ma la basto pensô qua noûtri lengatgi nort-oucitan il an jamè agù unitô per lou simple moutiu que la naisenço de uno counsienço etnico-coulturalo, entre noûtra gens remonto a l'an 1961, aboù la fondasion de "L'Escolo dou Po. "La Valaddo" e en particoular "L'angle", il a coumensà sâ ativitô qu'al î pa d'gaire e se pol dire que coumenço meque èuro a culhî loû prumies frus. En efet la Pro Loco dâ Roure il a voulgù bandî e ourganizô lou prumiè Councours de Prozo e Pouezio en lengo d'oc noumà "Lou Roure". La partecipasion il i îta aboundanto e particulierament bouno.
Seguivano i testi premiati al primo concorso "Lou Roure", ovvero, per la prosa, L'aprentissatge di Sergio Ottonelli e El countrebandia di Remigio Bermond, per la poesia Auro di Lucia Abello e Rumiage di Janò Arneodo. (Si veda anche la recensione del concorso su "Coumboscuro").
Nel N.3 del 1972 era riportata la classifica degli autori premiati al "II Concours de prozo e pouzio en lengo d'Oc – Lou Roure": per la poesia, nell'ordine, Masino Anghilante, Remigio Bermond e Lucia Abello; per la prosa Tavio Cosio, Ugo Piton e Franco Bronzat.
Il III ed il IV Concorso si svolsero a Balma di Roure. Tra i premiati del IV Concorso emergeva Giacomo Bellone di Limone (Valle Vermenagna), autore che pubblicherà anche alcune poesie su "Ousitanio Vivo".
Si aggiunsero a partire dal N.1 del 1972 nuovi autori, alcuni dei quali divennero dei fedeli collaboratori de "La Valaddo": Attilio Joannas di Chiomonte; Ugo Piton di Roure e Mario Borgarello di San Germano. I testi di questi autori erano preceduti da un articolo di Ezio Martin contenente le indicazioni sulle norme grafiche da seguire per coloro che si accingevano a scrivere in occitano. Tale articolo risulta particolarmente interessante perché rivela l'approccio de "La Valaddo" alla lingua:
(La lingua) deve essere genuina, deve rispondere alle capacità espressive del patois, sia pure con adattamenti o perfezionamenti che l'autore può effettuare nel rispetto del sistema fonetico, morfologico e sintattico originari. Gli adattamenti più opportuni sono quelli che riguardano il lessico. Se il nostro patois manca di un qualche termine o espressione, nulla ci vieta di sceglierli altrove adattandoli al caso. Quest'arricchimento dev'essere però ricercato anzitutto nelle parlate più affini alla nostra, dando la preferenza nell'ordine: ai dialetti dello stesso gruppo settentrionale, agli altri dialetti provenzali alpini, al provenzale letterario, alle altre lingue occitaniche. Solo in caso estremo si ricorrerà al franco-provenzale, al francese, all'italiano (...). Ciò che si deve assolutamente escludere è l'adozione di un linguaggio arbitrario, ovvero l'uso arbitrario di forme forestiere o straniere o arcaiche o addirittura artificiali che snaturano ed umiliano la parlata. Nessun motivo, nessun mito giustifica il ripudio della nostra realtà linguistica o del genio espressivo della nostra gente. O si scrive in vero patois, o si sceglie un'altra lingua che sia lingua e non un'insalata occitanica. Se intendiamo difendere la nostra parlata contro i colpi d'ariete che le vengono inferti da tante parti, dobbiamo anzitutto non minarla noi dall'interno, dobbiamo rispettarla nella sua essenza, dobbiamo salvaguardarne la naturale bellezza espressiva che – sia ben chiaro – non è inferiore a quella di nessun altro dialetto (18).
Alla luce delle dichiarazioni sopra riportate, non stupisce che, dopo un primo tentativo di elaborare una propria grafia – sempre molto fedele alle varietà locali - , "La Valaddo" approdò poi alla grafia fonematica dell'Escolo dóu Po e si oppose tenacemente alla grafia normalizzata (19).
Già nel 1972, in occasione della proposta di legge N.41 al Consiglio Regionale del Piemonte per la "Tutela del patrimonio linguistico e culturale" delle comunità locali, la redazione esprimeva le proprie perplessità riguardo la creazione di una koiné occitana:
Non si deve dimenticare , come giustamente afferma un nostro antico detto, che ogni famiglia ha il suo modo di dire e che ogni villaggio ha il suo linguaggio: di conseguenza una koiné patois potrebbe forse accentuare e accelerare il processo di decadenza, purtroppo già in atto, delle caratteristiche peculiari delle varie parlate locali, ottenendo risultati in contrasto con lo stesso spirito della legge (20).
La fedeltà assoluta al patouà è uno degli imperativi de "La Valaddo", e lo resterà fino ai nostri giorni (21).
In un saggio del 1983 (Coumà dire: la degradazione lessicale del patouà), Ezio Martin constatava con rammarico la "degradazione lessicale del patouà, dovuta all'uso e all'adozione di parole forestiere" che ha portato "all'abbandono di termini consolidati da una luna tradizione", all'impoverimento e alla decadenza delle parlate minori; tutto ciò è imputabile, secondo Martin, a "pigrizia mentale e a poco amore per la propria lingua".
Il desiderio di vedere la propria lingua depurata da inutili influssi esterni risponde al bisogno intimo di conservare con rispetto un patrimonio ereditato dagli avi, E' insieme un atto d'amore e un'espressione di cosciente cultura, così come sono un fenomeno d'incultura la trascuratezza e il disinteresse nei riguardi della lingua madre. Beninteso, una lingua è in perenne evoluzione; è questo un fatto indiscutibile e inevitabile; niente di strano o di scandaloso, quindi, se, a un dato momento, i soggetti parlanti sentono la necessità di adottare termini nuovi presi da altre lingue, specialmente da quelle più affini, per esprimere concetti inconsueti o per denominare oggetti finora inesistenti in una data tradizione. Per questo le lingue nazionali sono le più innovate, specie dal punto di vista lessicale, poiché, avendo la necessità di esprimere il massimo di concetti possibile in tutti i campi, imbarcano in abbondanza gli apporti provenienti da altre lingue per poter far fronte alle varie necessità espressive.
Ciò che è meno ammissibile è l'adozione di termini stranieri (impropriamente chiamati "prestiti") o forestieri, i quali vengono a soppiantare parole già esistenti, di significato identico o forse ancor più preciso, e consolidate da una lunga tradizione. Questo fenomeno si dilata talvolta in modo eccessivo, come sta accadendo nei nostri patouà, sia per moda, sia per pigrizia mentale, sia per poco amore verso la propria lingua.
Da molti anni sto spiando questa degradazione, specialmente nel lessico del patouà; e la sto osservando in modo particolare nella variante di Villaretto, che è la mia, e dalla quale trarrò la maggior parte degli esempi che seguiranno. Perciò potrà accadere che certe osservazioni non tocchino altre varianti chisonesi o germanasche; ma credo che il medesimo discorso possa farsi in genere anche a proposito delle altre nostre varianti provenzali.
Seguiva una lucida analisi delle nuove parole introdotte nel patouà, messe a confronto con i termini soppiantati del dialetto.
L'ampio spazio concesso alla lingua, e soprattutto alla prosa, almeno nei primi anni di pubblicazione, rispondeva proprio a quest'esigenza di conservazione della lingua; nessun'altra rivista nè periodico ha mai pubblicato così tanti racconti come "La Valaddo".
Vanno annoverati, tra i principali autori di prosa, i già citati Sandro Cirillo Gay, Ugo Piton, Remigio Bermond, Attilio Joannas, Andrea Vignetta, Mario Borgarello, E.Tron e sua figlia.
La preoccupazione de "La Valaddo" per l'emergente grafia normalizzata, che fu proposta per la prima volta nel 1974 (si veda "Lou Soulestrelh", 1974), è argomento dell'editoriale N.12 del 1975; la preoccupazione riguardava anche l'operato dei movimenti politici occitanisti, i quali costituivano, secondo la redazione, "dei pericoli di natura vera e propria minacciando, specie in Francia, l'unità nazionale", rischiando "di creare una enorme confusione anche nel campo linguistico e letterario":
In Francia, ad esempio, con grande "battage" pubblicitario, alcuni trusts dell'editoria linguistica stanno diffondendo dei "metodi rapidi" per lo studio di un preteso "occitano" fondato sulla parlata della Linguadoca in cui le locali popolazioni, che conoscono bene la loro lingua, sono i primi ad essere violentemente indignati.
Queste pubblicazioni non sono altro che il prolungamento e l'estensione dei perniciosi tentativi, da tempo perseguiti (anche in Italia!) da un piccolo gruppo di intellettuali, o pseudo tali, i quali rischiano di distruggere i dialetti, sole autentiche e popolari forme della lingua d'Oc, a vantaggio di una lingua unificata i cui scopi oltrepassano di molto il solo piano culturale. (...) Grazie a siffatte iniziative, i nostri dialetti, con tutte le loro sfumature e con tutta la loro ricchezza, rischiano di essere abbassati una volta di più al rango di vernacoli veri e propri, mentre il disastroso complesso che già li opprime ne viene ulteriormente aggravato.
Seguiva il manifesto pubblicato dalla Confederazione delle Associazioni Culturali e degli Insegnanti d'Oc (C.A.C.E.O.) costituito in quell'anno presso l'Istituto di studi provenzali dell'Università della Sorbona di Parigi; la redazione criticava apertamente l'idea di una lingua occitana normalizzata e "comune" a tutte le regioni:
I-non esiste nessuna lingua occitana "comune" o standardizzata, sotto nessuna forma, e non può esservi nessun consenso degli occitani delle regioni d'Oc ad una tale lingua;
II-la lingua d'Oc è formata di grandi dialetti, di eguale valore e dignità ed avvenire, ognuno di essi rappresentando la lingua d'Oc o occitano nella sua reagione e di cui i principali sono: il limousin, l'alverniate, il delfinese, il provenzale, il linguadociano, il guascone, ecc.;
III-ciascuno di questi dialetti deve essere coltivato nella sua forma autentica e popolare, confermata dalle parlate contemporanee e da una letteratura antica di secoli e ricca di opere di grande valore;
IV-per non privarsi delle sue radici popolari, la nostra lingua deve continuare ad essere scritta secondo dei principi adattati alle realtà dialettali, semplici e rapidamente accessibili.
Il manifesto pubblicato e sottoscritto da "La Valaddo" definiva in modo chiaro ed inequivocabile quali erano, e sono ancor oggi, le posizioni della rivista sulla lingua e sulla questione occitana: innanzitutto, l'opposizione all'azione politica nazionalista e separatista dei movimenti neo-occitanisti e la promozione di iniziative prettamente culturali, linguitiche e folcloristiche (22); in secondo luogo, e in conseguenza del primo punto, il rifiuto dell'idea di una nazione occitana (23); infine, la promozione della tutela della lingua d'Oc nelle sue diverse realtà dialettali, in contrapposizione ad "una lingua standardizzata, uniforme ed artificiale, senza radici tra le popolazioni" (24).
Tali posizioni saranno le linee guida della rivista fino ai giorni nostri; l'opposizione alla normalizzata è ancora dichiarata in un'intevista del 2003 da Alex Berton, allora figura di riferimento dell'Associazione culturale La Valaddo:
Noi abbiamo cominciato a dimostrare il nostro dissenso nel momento in cui, uscita la legge 482 che ci riconosce come minoranza etnico linguistica e quindi riconosce il bagaglio storico alle nostre spalle, si è tentato di imporci una lingua normalizzata che non rappresenta la lingua che parliamo arrivata a noi in modo orale. (...) Noi usiamo la grafia dell'Escolo dòu Po, quindi quella usata da Genre, che ci consente di leggere tranquillamente le lingue delle diverse valli. Si adatta, infatti, in modo perfetto a tutte le parlate nonché alla polinomia del provenzale nello spirito mistraliano (25).
Per quanto riguarda il glottonimo "occitano", nella medesima intervista Berton affermava che tale termine è improprio: "per questo noi usiamo la definizione di occitano-provenzale alpino", anche se "l'ideale sarebbe stato lingua d'oc, perché avrebbe compreso tutte le lingue appartenenti a questo ceppo linguistico"; entrando nei particolari, Berton spiegava che "patouà, dialetto, lingua minoritaria, ecc., per noi hanno tutti uno stesso identico valore, purché si intenda con tali termini la lingua del posto" (26).
Se già nel 1977 la rivista constatava con rammarico la regressione del patouà a vantaggio del piemontese e dell'italiano (27), alle soglie del duemila le previsioni di Berton riguardo la sopravvivenza della lingua in Val Chisone erano tutt'altro che ottimiste; da un lato l'emigrazione dei valligiani verso la pianura, con il conseguente spopolamento dei paesi e delle borgate, e l'immigrazione di stranieri hanno eroso la struttura tradizionale della comunità; dall'altro lato la lingua, già messa a dura prova dall'emigrazione, non è riuscita ad aggiornarsi alla vita moderna, rimanendo ancorata alla cultura ed al mondo dei decenni passati.
Le persone che scrivono in patouà sono ormai pochissime ("nelle valli saranno in tutto venti persone") e tra i pochi che lo parlano molti lo storpiano.
Lo scopo che si propone attualmente la rivista è quello di "raccogliere quello che c'è", per salvare la cultura e la lingua delle Valli Chisone, Germanasca ed alta Dora.
Per quanto riguarda il futuro della sopravvivenza della lingua, il problema è delegato agli studiosi e rimandato a tempi migliori (28).
NOTE.
(1)Franco Bronzat, Le Jouvént dâ Viarét, "La Valaddo", N.1, 1968, p.15.
(2)"La Valaddo", N.2, 1969, p.2.
(3)Franco Bronzat, Salviamo la natura, "La Valaddo", N.2, 1969, p.8-9.
(4)Si vedano ad esempio il sopra citato articolo di F.Bronzat, Salviamo la natura e del medesimo autore Montagna: ieri e oggi, in "La Valaddo", N.3, 1969, p.4-5; Bruno Peyronel, Rispettare la flora alpina, ivi, p.2-3; Indagine sul piano di sviluppo delle valli, "La Valaddo", N.5, 1973, p.1-2; Mauro Perrot, Uno sguardo al passato e Verso la fine?, "La Valaddo", N.17, 1977, p.2 e p.7; si veda anche l'articolo citato nella nota seguente.
(5)"La Valaddo", N.6, 1970, p.1. La difesa della lingua si intreccia con la difesa dell'ambiente montano e della sua civiltà, come nota Mauro Perrot nell'articolo La riscoperta delle nostre tradizioni: "Se si vuole far sopravvivere una lingua si deve certamente conservare una civiltà, un habitat culturale ed umano al quale siamo profondamente legati da grande affetto. Si deve quinid tener presente che la civiltà delle nostre valli riunisce in se stessa un modo di vivere, di agire, di pensare che devono essere conservati. Non si può accademicamente difendere un patuà che ormai non abbia più legame alcuno con la realtà circostante", "La Valaddo", N.15, 1977, p.4.
(6)Scopi e finalità de La Valaddo, "La Valaddo", N.29, 1980, p.1.
(7)Luisa Pla-Lang, Luisa Pla-Lang, Occitano in Piemonte: riscoperta di un'identità culturale e linguistica?, Ed.Peter Lang, Francoforte, 2008, p.151.
Nell'editoriale del N.30 del 1980, il quale riporta le parole di Ezio Martin come rappresentative delle posizioni de "La Valaddo", la redazione spiega che "un errore del movimento è quello di essersi avviato senza una preparazione di coscienza a livello nazionale, che, invece, è necessaria prima di parlare di politica", p.1; la redazione, in seguito alle critiche di alcuni lettori a questo articolo, specifica: "Il risveglio etnico e culturale risulta, per noi de La Valaddo, essere fattore indispensabile a supporto di tutte le iniziative capaci di provocare la crescita della nostra gente e delle nostre valli, comprese quelle tendenti a favorirne lo sviluppo socio-economico (...). La posizione de La Valaddo è di cristallina limpidezza: provocare il risveglio etnico e culturale dei valligiani perché ogni iniziativa di promozione socio-economica poggi su delle reali e ferme convinzioni e non sia invece frutto di scelte altrui, o, peggio, di neo colonialismi soffocanti gli ultimi aneliti delle popolazioni autoctone", Ancora sull'autonomia delle valli provenzali, "La Valaddo", N.31, 1981, p.2.
(8)"La Valaddo", N.1, 1972, p.1. Con questo numero, dopo l'uscita dei primi 12 numeri, inizia la nuova serie de "La Valaddo": da bollettino inerno del C.A.V. essa diventa una vera e propria rivista di carattere culturale con un Comitato Promotore apposito (il sottotitolo recitava: "periodico di vita e di cultura valligiana"); si accennava al cambiamento già nel N.9 del 1970, quando la redazione annunciava di voler affidare la sfera editoriale ad una equipe dipendente dal Consiglio in carica: "l'attività alpinistica sarà libera dal peso della nostra pubblicazione, e La Valaddo sarà finalmente libera di esprimere meglio se stessa, per intraprendere finalmente il compito che si era prefissata fin dalla nascita, cioè giornale di informazione e di cultura valligiana".
Il Comitato Promotore, formato il 12 febbraio 1972, era costituito da Silvio Berger, G.R.Bermond, Mario Borgarello, Livio Brun, Alessandro C.Gay, Arturo Genre, Ezio Martin, Beniamino Peyronel, Guido Ressent, Andrea Vignetta. Il 26 gennaio 1974, entra a far parte del Comitato anche Ugo Piton; come si può vedere dall'elenco, la maggior parte dei membri costituisce anche il nucleo degli autori patoisanti della rivista. Secondo le definizioni date dal Comitato Promotore, "La Valaddo è l'espressione dell'area e della popolazione provenzaleggianti o patouasanti, nelle valli del Chisone, della Germamansca e dell'Alta Dora"; in secondo luogo, "esclude qualsiasi strumentalizzazione a fini partitici e confessionali", in "La Valaddo", N.7, 1973, p.2.
L'Associazione La Valaddo, di cui il periodico divenne emanazione, fu costituita il 28 febbraio 1979. Le direttrici fondamentali sono: "1) diffusione nell'area delle valli Chisone, Germanasca e alta Dora Riparia della conoscenza della lingua, della cultura e della civiltà provenzali proprie della zona, a mezzo di conferenze, manifestazioni e pubblicazioni; 2) valorizzazione delle parlate provenzali e del patrimonio linguistico che caratterizza le vallate stesse; 3) promozione e organizzazione di corsi scolastici e post scolastici tesi all'insegnamento dei dialetti e della cultura provenzale locale", "La Valaddo", N.23, 1979, p.1.
(9)Nell'Introduzione al patouà, Ezio Martin spiega: "Abbiam dunque situato geograficamente l'occitano, nell'ambito del quale, come abbiamo detto, assume particolare rilievo il provenzale; in esso il provenzale alpino è il nostro dialetto le cui varianti sono dette patouà", "La Valaddo", N.14, 1976, p.7.
(10)Ezio Martin, Introduzione al patois, "La Valaddo", N.1, 1968, p.10. L'articolo sarà ripubblicato, con alcune revisioni, nel N.14 del 1976 e nel N.16 del 1977: lo si può leggere nella sezione del Corpus Testuale intitolata Testi in lingua italiana: folclore, lingua, storia).
(11)Ivi, p.11.
(12)Ezio Martin, nell'introduzione a L'angle da patois, "La Valaddo", N.2, 1969, p.10.
(13)Sistema grafico per la trascrizione del patois di Villaretto, "La Valaddo", N.2, 1969, p.11-12. La grafia è riportata nella sezione denominata Le grafie.
(14)"La Valaddo", N.4, 1969, p.1.
(15)Introduzione a L'angle dâ patouâ, "La Valaddo", N.10, 1971, p.9.
(16)Ezio Martin, Letteratura dialettale, "La Valaddo", N.1, 1972, p.3.
(17)Ezio Martin, Aux Vaudois du Val Saint-Martin, "La Valaddo", N.6, 1970, p.14.
(18)Ezio Martin, Letteratura dialettale, op.cit., p.3-4.
(19)Per approfondimenti sulla grafia dell'Escolo dóu Po e sulla normalizzata, si veda il capitolo ad esse dedicato Le grafie.
(20)La proposta di legge fu presentata al Consiglio Regionale il 14 settembre 1972 dai consiglieri Calzolaro, Fonio, Nesi, Simonelli, Viglione. Le lingue piemontesi da tutelare erano, secondo la legge: il piemontese, la lingua d'oc, il francese ed il walser. Il testo della proposta di legge è stato riportato integralmente su "La Valaddo", N.3, 1972, p.1.
(21)Nell'intervista sopra citata, alla domanda "Il patouà è parlato anche dai giovani?", Berton risponde: "Sì. Molte volte storpiato o usato con delle pronunce che a noi suonano grossolane. Il nostro parlare è molto fine, usiamo per esempio il voi. Si tratta quindi di una lingua molto rispettosa e siccome a monte non c'è più questo tipo di cultura, essa si è modernizzata nella volgarità. Noi abbiamo l'impegno di correggere questa tendenza. (...). Il problema principale è che la lingua parlata resista in futuro senza le storpiature delle nuove generazioni. Una cosa è parlare patouà pensando in italiano e quindi traducendo e un'altra è parlare patouà ragionando in patouà", Luisa Pla-Lang, op.cit., p.152-154.
(22)Come ho già messo in evidenza, "La Valaddo" si dichiara più volte apartitica e aconfessionale. Nell'editoriale N.12 del 1975, dopo il manifesto della C.A.C.E.O., la redazione spiega che "la rinascita delle terre occitaniche non deve avvenire per mezzo di azioni e iniziative che suscitano il separatismo politico o tensioni ed ostilità tra i differenti gruppi etnici.Viceversa deve avvenire tramite iniziative il cui ruolo deve essere quello di permettere a quanti finora si sono trovati in stato di inferiorità, cioè alle minoranze , di esprimere in pieno le loro peculiari particolarità linguistiche o culturali", "La Valaddo", N.12, 1975, p.2.
(23)"La terra d'Oc è un insieme di regioni le quali hanno una loro storia, delle loro tradizioni, una loro lingua ed una loro civiltà ben caratterizzate. Esse non possono quindi accettare ed ammettere una concezione uniforme e centralizzata che per la civiltà occitanica avrebbe effetti profondamente mutilanti", ibid.
(24)Ibid.
(25)Luisa Pla-Lang, op.cit., p.150-151.
(26)Dal momento che le posizioni de "La Valaddo" potrebbero sembrare in linea con quelle della rivista e dell'associazione "Coumboscuro", Berton prende le distanze: "Sul termine non ci siamo mai fossilizzati. Non condividiamo in pieno il comportamento di Coumboscuro, in quanto guerra contro i mulini a vento", ibid., p.150-152.
(27)Nell'articolo Italiano, piemontese o patuà? comparso sul N.16 del 1977, Mauro Martin presentava i risultati di un questionario proposto nel 1976 da un gruppo di insegnanti dell'alta Val Chisone a 151 famiglie da Rio Grevo sopra Perosa Argentina fino a Pragelato. Martin, dopo aver riportato i dati, commentava: "Ci troviamo così frequentemente nella seguente situaizone tipo: i nonni parlano il patouà tra di loro e con i figli; questi parlano in piemontese tra di loro ma a loro volta in italiano ai propri figli. (...) Dalle risposte alle ultime due domande del questionario appare altresì che ormai poco più della metà dei bambini della valle capisce il patouà; solo 34 sembra siano in grado si parlarlo", p.15-16. Nell'articolo Parlèn patouà, Remigio Bermond commenta con sconforto i risultati del questionario: "Essi dimostrano, senza ombra di dubbio, come il patouà provenzale proprio della Val Chisone sia paurosamente in regresso, a vantaggio del piemontese e, soprattutto, dell'italiano. Quella che fu per secoli la parlata di intere generazioni valchisonesi si avvia rapidamente a diventare la lingua di una sempre più ristretta minoranza di persone e pare pertanto destinata a scomparire o a sopravvivere solo in pochi illusi o in qualche dotto linguista", "La Valaddo", N.18, 1977, p.1.
(28)"Adesso bisogna raccogliere quello che c'è dopodiché gli studiosi a livello accademico avranno modi e sistemi per far sì che questo avvenga (sott.: l'uniformità della lingua). Il problema si porrà tra dieci, venti anni e cioè nel momento in cui saremo sicuri di aver salvato la nostra cultura e la nostra lingua e che avremo cominciato a scriverla", Alex Berton in L.Pla-Lang, op.cit., p.154.
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