Le parlate valligiane conservano il sostantivo femminile rossë o rosë (da Mentoulles a Sestrieres Borgata) con le varianti roso o rosso (Media Val Chisone e Val Germanasca), rossë (Val Pollice: Bobbio), rosa (Valle della Dora Riparia: Mattie... Lo scempiamento della doppia provoca di norma l'allungamento della vocale precedente), per indicare un qualsiasi animale da soma o in particolare l'asina, mentre il derivato russìe e russié sta per "mulattiere", "asinaio". Con tale significato il vocabolo è riportato, come qualificativo, nei documenti di Mentoulles del 1514 (Transazione per l'alpe del Chardonnet tra le Comunità di Roure e di Mentoulles): bestiae rossatinae e bestias rossatinas, forma corrispondente al nostro sostantivo Roussëtin(s), indicante i minatori delle cave di talco della Rousso. Si noti ancora che il francese ha rosse per "rozza", "cavallo magro e vecchio", "ronzino", derivato dall'antico germanico ross, e roussin per "ciuco, somaro". Tenendo alfine presente che alcuni toponimi valligiani si sono formati su questo sostantivo conservando il significato originario (Pra dla Rossë, Prato dell'Asina: Inverso Porte; Ciënal La Rosso, Canalone dell'Asina: Massello; Kumbâl dla Rosso, Valletta dell'Asina, Praly), La Rosso, per analogia, potrebbe, forse, essere stata la prima denominazione del nostro colle (e del lago, del vallone e della località mineraria), divenuta in un secondo tempo, per quanto riguarda il suono iniziale (l'esito è invece regolare), La Rousso per una probabile influenza fonetica della parlata "davalino", la quale, di norma, tende a volgere in -u- la vocale -o- chiusa. Tale ipotesi, naturalmente, contrasta l'opinione di chi vorrebbe cercare l'origine del toponimo nella natura del luogo (rocce, prati...) dimenticando però che il femminile di roe e rui, "rosso", é rojo e rujo (a Gran Faetto e nella media Valle fino a Villaretto) e rujë (da Mentoulles a Sestrieres Borgata), dove, dal latino ru(b)eus (rubea), la labiale + i(e)
dà esito -j-; mentre la voce rou (e rous), femminile: rousso e roussë, (nella parlata della bassa Valle rus indica il semplice colore rosso; inoltre presenta una recente ristorazione della consonante finale originaria -s- per influsso del piemontese), nella media e alta Valle sta per "fulvo" di. capelli e solo di rado per "arso","arido": la stessa distinZione che si
può riscontrare nei concordanti vocaboli francesi: rouge, "rosso" e roux, "fulvo". D'altra parte, la presenza del toponimo "fayulin" Roussés indicante un'arida e assolata regione prativa, probabilmente derivato da ruís + ittu(i),"piccoli (prati) rossi", o fors'anche costruito sul francese roussir, "abbruciacchiare", participio passato roussi, "arso", "abbruciacchiato", potrebbe giustificare La Rousso nel senso di località arsa per la sua posizione a solatìo o "rossa" in seguito ad incendio; così come nel toponimo Peira Roussa (Praly), espresso al plurale ma di chiara etimologia "Pietre o Rocce Rosse", si potrebbe facilmente trovare una concordanza fonetica e semantica con il nostro La Rousso con riferimento al particolare colore delle pietraie. Purtroppo, solo una fortunata ricerca d'archivio potrebbe dare una qualche risposta a questi interrogativi. Comunque sia,
il valico della Rousso, che si presenta di facile accesso,(2017 metri s.l.m) fu assai frequentato ed ebbe nei secoli scorsi una grande importanza militare (segnò a lungo il confine tra la Francia e gli Stati Sabaudi), commerciale e pastorale (i "Giavenins", etnico degli abitanti di Forno, Coazze e di Giaveno in Val Sangone), fino all'ultimo conflitto mondiale erano di casa nella nostra Valle: fiere, mercati, transumanza,...) e conseguentemente culturale. Anzi, anche per le consonanze che talvolta si riscontrano tra i linguaggi di Gran Faetto e di Forno-Coazze, non è da scartare l'ipotesi che il Colle della Rousso, anticamente, sia stato la via di passaggio di una corrente linguistica provenzaleggiante secondaria della Valle del Chisone, chiusa tra la Valle della Dora Riparia, i Valloni della Chisola (Cumiana), del Noce (Cantalupa e Frossasco), del Lemina (Talucco), la Valle del Chisone e la piana, e quindi stretta tra aree di parlata provenzaleggiante cisalpina e il contado piemontese e senza apertura diretta verso l'area occitanica transalpina, dovette necessariamente accogliere la corrente linguistica provenzale (in parte poi sopraffatta da una successiva fase franco-provenzale) attraverso vie indirette e di arroccamento: la bassa Valle dalla Valle di Susa, il Vallone di Forno e di Coazze dalla Valle del Chisone attraverso il Colle della Rousso, il Vallone .di Maddalena ancora dalla nostra Valle attraverso i varchi del Gran Dubbione.

Si può presumere che già durante l'Età del Ferro la vita dei nostri montanari dovesse svolgersi in piccoli agglomerati a fondovalle o sui versanti della Valle là dove la natura del terreno si prestava ad una stabile dimora. È altresì naturale pensare che la morfologia del suolo, le condizioni climatiche, la topografia e l'esposizione rispetto al sole abbiano via via influito favorevolmente o abbiano ostacolato il sorgere degli insediamenti umani in zone di terrazzo o di pendio, a mezza costa o a fondovalle. Non si può escludere che i primi stanziamenti alpini siano avvenuti sui versanti a solatìo: da qui, spinti dalla necessità di trovare nuovi pascoli e nuove terre da colonizzare, oltrepassando il fondovalle, i montanari si sarebbero poi stabiliti all'inverso, in località più fredde ed ombrose. Comunque sia, è senz'altro accettabile l'ipotesi che i primi villaggi sorgessero in favorevoli condizioni ambientali a terrazzo, su morene, davo i depositi glaciali avevano favorito la "...formazione spontanea di un abbondante strato di humus favorevole...non solo alla rigogliosa vegetazione dei boschi ad alto fusto, ma alla consistenza e alla fertilità della cotica erbosa degli alti pascoli" (ex.: Usseaux; Gran Faetto...); o fossero addossati alla base dei versanti per evitare inondazioni (Mentoulles, Balme...); o su pendii uniformi in posizione marginale e mediana con abitazioni allineate secondo le curve di livello con esposizione al sole e su terreni resi fertili da detriti morenici e alluvionali adatti alle colture agricole (Traverses, Gleisolle...).
Soltanto in un secondo tempo è probabile che la popolazione abbia abbandonato tali zone per insediarsi in località di conca costituenti il bacino d'origine di vallate minori (Le Rue di Pramollo, La Rua di Pragelato, Praly...), lungo gli assi vallivi su conoidi alluvionali elevati rispetto i corsi d'acqua (Pomaretto, San Germano, Villaretto Superiore...) o in vere sedi di fondovalle che, seppure luoghi eccessivamente umidi, dal fondo acquitrinoso, con frequenti correnti d'aria dovute alla confluenza di valloni laterali, spesso in ombra per la immediata vicinanza delle catene montuose, presentavano però terreni alquanto fertili, irrigabili, non soggetti a frane, a smottamenti o scorrimenti morenici, e soprattutto, condizioni climatiche meno rigide o una più facile viabilità.
Che i versanti della Valle fossero anticamente densamente abitati lo provano i dati statistici riportati dal Cot. Lo stato dei capi di famiglia del Comune di Roure (ora Roreto Chisone) trasmesso a S.M. il 20 gennaio 1717 era infatti il seguente:
Parrocchia di Villaret :
-Villaret (et Clèe) : n. famiglie 17
-Flandre et Gleisolle: " 24
-Villaret Damont: " 14
-Petit et Grand Fayet: " 50

Parrocchia di Bourcet : Chasteran, Sapey, Chezalet, Cazettes, Serre Roudet, Serre : n. Famiglie 12

Parrocchia di Château du Bois:
-Balme: n.famiglie 35
-Chargeoir (ora Roreto): " 23
-Château du Bois: " 34
-Garnier: " 10

Da tale quadro statistico si possono trarre lo seguenti conclusioni: la popolazione della Parrocchia di Villaretto era stanziata in grande maggioranza nei borghi di pendio, senza dimenticare che nella voce "Villaret" erano anche incluse le famiglie residenti a Clea, a bacìo e a monte; la Parrocchia di Bourcet comprendeva soltanto famiglie residenti in villaggi di montagna; la Parrocchia di Castel del Bosco, la più popolata a fondovalle, comprendeva alcuni insediamenti di versante che qui non figurano (Les Vignaux, Combal, Chamellier...) e molte sue famiglie erano use fare la transumanza, e quindi trascorrere molti mesi dell'anno, talvolta cinque o sei, alle miande o in paesi di montagna (Gran Fayet, Colet...).
Ancora nel secolo scorso (1845) la popolazione insediata nelle borgate a monte presentava una densità superiore a quella del fondovalle. Ecco, sempre secondo il manoscritto dell'Abate Cot, il numero delle anime dei vari villaggi (alcuni dei quali ora sono disabitati o in via di estinzione) dello stesso Comune:

Villaret: abitanti n.316
Clèe: " 146
Grand Fayet: " 410
Petit Fayet: " 140
Villaret Damont: " 282
Gleisolle: " 170
Flandre: " 202
Cazettes: " 45
Sappè (o Sapey): " 75
Chasteran: " 146
Chezalet: " 69
Serre Roudet: " 21
Balme: " 381
Chargeoir: " 285
Château du Bois e Garnier: " 602

Un'ultima osservazione: i nostri più antichi insediamenti montani si presentano di norma accentrati e compatti: ciò é dovuto a fattori ambientali storici, economici, sociali e soprattutto a motivi di carattere topografico o al frazionamento della superficie coltivata.