Ormai è terminata da più di un mese la Baïa del 2023 (doveva essere quella del 22 ma quel maledetto virus l’ha bloccata). Ora possiamo riflettere con più calma e tranquillità. Parlerò solo della Baïa di Sampeyre capoluogo che è quella a cui ho sempre partecipato e conosco meglio.
Questa edizione era iniziata con un po’ di rumore. Mi riferisco a queste due questioni e aggiungo una considerazione sulla lingua.
1ª questione - Due ragazze originarie di San Peire che sono pure delle valenti violiniste professionali e ottime conoscitrici del patrimonio popolare, avevano manifestato la volontà e l’esperanza di partecipare come suonatrici di violino alla Baïa. Forse non tutti sanno che, per ragioni storiche risalenti al Medioevo al tempo delle cosidette Compagnie dei Folli, solo i maschi possono partecipare al corteo anche nei ruoli delle donne: spose, vecchie, signorine, .... Quindi era un problema serio per le due ragazze violiniste e infatti gli Abà risposero di no. Naturalmente per la tenacha delle due suonatrici sono usciti degli articoli sui giornali e considerazioni di ogni tipo sui socials. Bisogna aggiungere che la Baïa ha sempre un passaggio necessario: il 6 gennaio ci deve essere “la chiamata”, cioè la gente deve scendere in strada per chiamare appunto a piena voce “Baïa! Baïa!”, suonare e cantare e girare ovunque per manifestare a tutti, ma soprattutto agli Abà, che la gente vuole la Baïa e gli Abà devono organizzarla. Ora, anche per “la chiamata”, gli Abà non hanno autorizzato che le due suonatrici partecipassero con i loro strumenti. Ho potuto constatare che anche fra i suonatori maschi si sono manifestate delle bassezze di cattiveria e maschilismo incredibili: “se arrivano con i loro violini io poso la fisarmonica e me ne vado”, “quando la smettono di rompere le balle quelle due......”.
Cosa ne penso? Su questa questione della “chiamata” non ho dubbi. La Baïa non c’è ancora e ben per questo la gente la vuole. La “chiamata” è una cosa di tutti (uomini, donne, giovani, vecchi) e non sono gli Abà che devono organizzarla e comandarla. È una manifestazione popolare o una falsa cerimonia? Quindi le due ragazze potevano tranquillamente partecipare e suonare i loro violini.
Più delicata è la questione della partecipazione alla Baïa. Bisogna rispettare la tradizione a cui è legata la manifestazione storica. A meno che si voglia fare un ragionamento. I suonatori sono gli unici partecipanti a non avere un ruolo storico come gli altri: Alum, Abà, Usoards, Escarliniers, Sapeurs, Turcs, Grecs, etc... I suonatori esistono anche nella vita normale di oggi e presenti in ogni occasione per creare un clima di gioia e allegria, svolgono un servizio, come ad esempio le bande musicali e per questo vengono anche ricompensati Per questo motivo potrebbero essere considerati come “non personaggi” della storia ma fornitori di un servizio alla Baïa.. Maschi o femmine non ha importanza e la tradizione medievale non viene tradita.
2ª questione – Questa mi riguarda direttamente. Nel 1977 avevo 30 anni e soffrivo che nella Baïa del capoluogo (come anche nelle altre: Rore, Calchesio, Villar) non vi fosse più la presenza del suonatore di violino, lo strumento principe della nostra musica popolare. Era finito il tempo di Jusep da Ros (Giuseppe Galliano) e altri valenti violonaires (soprattutto a Villar) dei quali non ricordo più i nomi e nessuno aveva preso il loro posto. Così lasciai il ruolo di Sapeur che avevo fatto per due Baïe e, pur non essendo un violinista (avevo studiato violoncello), mi sono proposto. Conoscevo bene Jusep da Ros e ogni tanto andavo a trovarlo per imparare qualcosa del suo modo di interpretare la nostra musica popolare. Insomma mi sono buttato! Naturalmente la prima cosa che pensai è stato come vestirmi ma è bastato guardare una fotografia della Baïa del 1930 nella quale in primo piano apparivano Jusèp da Ros col suo violino e Juspin Ceset (Giuseppe Garnero) con il suo semiton (fisarmonica semitonata). Tutti due avevano i pantaloni che finivano al ginocchio (io le chiamo braias a tombarèl ma non sono certo del vero nome) e le calze bianche di lana di casa fino al ginocchio legate con due pon pon pendenti. Ed è così che mi sono vestito anche se i suonatori delle ultime Baïe avessero ormai i pantaloni lunghi. Ognuno è responsabile della sua informazione e coerenza con la tradizione storica ma oggi abbiamo anche le indiscutibili testimonianze fotografiche, basta guardarle. Tutto è passato liscio e nessuno ha protestato. Così ho fatto per tutte le Baïe successive fino a questa. Mi propongo (come abituale) agli Abà come suonatore di violino e qui la grande sorpresa. Uno sprovveduto Abà major mi dice: “d’accordo, va bene, fai pure il suonatore di violino ma non mettere più quei pantaloni alla zuava, ti comperi un vestito nuovo e ti presenti come gli altri suonatori”. Ho risposto inutilmenteche mi ero vestito come i vecchi suonatori per rispettare la tradizione e la risposta è stata “i vecchi suonatori sono morti, non esistono più”. Sono rimasto blu. Come era possibile che gli Abà, garanti della tradizione, non la conoscessero o non la rispettassero? Pensandoci mi sono poi dato una spiegazione. Dopo l’ultima guerra mondiale tutto doveva rinnovarsi e modernizzarsi un po’ e proprio come i vecchi mobili massicci di legno che molti barattavano con mobili di fornmica (con grande contentezza e profitto degli antiquari), così le braias a tombarel e le calze di lana dovevano lasciare il posto ad un moderno vestito ben elegante e alla moda. E le donne (escluse dalla Baïa ma – secondo il ritornello dei più - le vere protagoniste perché custodi dei costumi della manifestazione) facevano a gara per far apparire eleganti i maschi della famiglia. Finalmente con una bella vestimenta. Così li hanno vestiti tutti come degli sposi che è il punto massimo di aspirazione dell’eleganza. I Suonatori, gli Escarliniers, tuti vestiti come degli sposi. Non ho nulla contro l’eleganza e oggi per fortuna nessuno ha più bisogno di rincorrerla ma in tale modo si perdono dei protagonisti della manifestazione e le loro particolarità che renono ogni personaggio immediatamente identificato.
Alla fine il mio caso è stato bonariamente risolto perchè gli Alum hanno fatto notare che avevo ragione ed è stato deciso che per questa Baïa ogni suonatore poteva vestirsi come ormai era confezionato il costume ma dalla prossima tutti avrebbero indossato las vielhas bràias a tombarèl e le calze di lana al ginocchio. Evviva! Spero che la promessa venga mantenuta.
3ª questione che riguarda la lingua. Che l’occitano (ognuno la chiami come vuole: “a nostra moda”, patois, non ha importanza, è la lingua d’òc) sia la lingua storica dei nostri paesi delle valli è una evidente e banale verità che nessuno può contestare. È naturale che in alcuni comuni (per es. a Sampeyre) per la loro posizione e importanza sociale ed economica nella valle, si siano insediati dei forestieri come medico, farmacista, veterinario, notaio, commercianti, ecc (la mia famiglia è una di quelle, arrivata a Sampeyre verso il 1870). Così è successo nel recente passato (recente nella storia vuol dire anche 100 o 200 anni) e questo ha cambiato la situazione linguistica del paese perché in quei tempi i nuovi arrivati non hanno pensato minimamente di imparare la lingua del posto ma è la gente del posto che si è adeguata a loro. In mancanza di resistenza si è passati all’adattamento. Così si è giunti al fatto che il piemontese conviva con l’occitano, pur presente ancora in molte famiglie del capoluogo e naturalmente nella totalità delle frazioni. Negli anni ’60 e ’70 del secolo scorso è avvenuto un fenomeno importante: nelle valli si è presa coscienza che questa lingua d’oc non era isolata ad una valle o una piccola area ma si estendeva su un grande territorio che arriva fino all’oceano Atlantico e ai Pirenei. Un terzo della Francia parlava questa lingua che era stata la prima lingua letteraria dopo il latino, la lingua dei trovatori dei secoli XI e XII, che Dante Alighieri era la sola lingua straniera che aveva ospitato nella Divina Commedia (Canto 26 del Purgatorio). Insomma una lingua che ha espresso una grande ricchezza letteraria. Da quegli anni ’60 e ’70 c’è stato un risveglio graduale. Oggi chi la parla non ha più disagio ma orgoglio. I giovani vogliono impararla, chi arriva da fuori la rispetta ed è ansioso di apprenderla. Il territorio delle valli sempre di più si è qualificato come occitano, portatore di una ricchezza culturale importante da rispettare e valorizzare anche dal punto di vista economico.
La Baïa è una di queste ricchezze e nella manifestazione si respira questo sentimento descritto sopra. L’occitano è la lingua naturale della manifestazione. In questa edizione 2023 vi era pure una presentatrice che conosce bene la lingua e la valorizzava. Tutti cercano di parlarla, chi bene perché è la sua lingua di tutti giorni, la lingua della famiglia, chi con più fatica ma con tanta volontà e voglia di dimostrare che è quella lingua che rende vera la Baïa. Tutto questo finché non arrriva il giovedì al momento del processo al tesoriere e lì si cade nella schizofrenia generale perche il processo viene fatto in piemontese. La lingua naturale della Baïa lascia il posto alla lingua della involontaria ma reale sopraffazione del passato. Il fatto che nel recent passato il processo al Tesoriere venisse fatto in piemontese è fin troppo facile da capire. Chi lo stilava se non un notabile, sovente venuto da fuori, che aveva pratica con la scrittura? E con quel sentimento di poca considerazione che si aveva della lingua locale come si sarebbe potuto farlo “a mosto modo”? Bisogna dire che, tra l’altro, i vecchi processi non erano certo grandi composizioni poetiche bensì la ripetizione di un formulario banale e piuttosto schematico. Mio padre Masino che di processi ne ha stilati sei cominciando dal 1957, aveva cercato (quando il tesoriere di turno era favorevole) di potenziare la parte in occitano ma nel 1987 il tesoriere si era lamentato che il processo era troppo in occitano e mio padre rinunciò. Vist quel che è avvenuto nel passato è completamente assurdo appellarsi alla fedeltà storica. Ora la sensibilità linguistica è completamente diversa e abbiamo tutti maggior rispetto per le lingue degli altri senza operare una classificazione di merito. Gli Alum, occitanofoni da lungo tempo o no, sono tutti del paese, sanno parlare bene o quasi bene la lingua e sanno che le cose stanno così. È comunque evidente che per il processo tutto dipende dalla volontà e sensibilità del tesoriere di turno ma bisogna aver la forza e la capacità di prendere coscienza del passato e risolvere le cose.
In fondo la Baïa è una gloriosa cerimonia di commemorazione del passato e pure la lingua dovrebbe essere una lingua cerimoniale come lo è per tutta la manifestazione.
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