Le posizioni teoriche e di principio che stanno alla base delle proposte di grafia per le nostre varietà di provenzale presentate dall'apposita Commissione nel Soulestrelh dell'8 agosto '73 e ora da F. Bronzat nel Soulestrelh del 23 febbraio '74 sono evidentemente inconciliabili: non si tratta qui di una disuguaglianza di vedute sulla scelta dei segni, ma di un diverso modo di considerare tutta la questione della salvaguardia del nostro patrimonio linguistico.
La Commissione ha avuto come primo e preciso obiettivo (si rilegga nel Soulestrelh citato la prima parte della relazione conclusiva sui lavori) il rispetto di tutte le varietà in uso, e, rinunciando, a questo scopo, alla creazione di qualsiasi tipo di coinè dialettale, artificiale e spersonalizzante, ha mirato a elaborare una grafia in grado di servire alla loro trascrizione, e tale quindi da consentire anche a chiunque conosca il valore (univoco!) dei segni adottati di leggere correttamente il testo che ha dinanzi. E tutto questo, grazie a una simbologia di facile apprendimento (alla quale del resto diversi scrittori locali erano già in parte abituati) che costituisce una base grafica comune per tutte le nostre parlate che, come ognuno sa, del tutto comuni non sono e anzi divergono non di rado parecchio. La soluzione di problemi particolari (cioè non comuni) legati a singole parlate (es. della val Chisone o della val Germanasca) è stata affidata a «responsabili» locali, incaricati di comunicare successivamente i loro risultati.
La scrittura proposta ha superato bene la fase iniziale di prova ed ha mostrato di essere effettivamente in grado di fare risaltare anche visivamente il fondo comune delle parlate in oggetto, e d'altra parte ha cominciato a limitare, ponendosi come modello, il fiore disordinato di scelte grafiche soggettive e improvvisate, per le quali si finiva spesso col rappresentare con segni differenti realizzazioni foniche identiche e viceversa, a scapito di quell'unità che la Commissione si è invece proposta di raggiungere.
F.Bronzat, che della Commissione ha fatto parte, vuole ora, al contrario, un modello unico di lingua scritta («una sola e medesima immagine grafica») nella quale dovrebbero riannodarsi tutte le varietà parlate, delle quali peraltro il modello non tiene un gran conto («sottintendendo le varietà fonetiche più caratteristiche dei nostri dialetti»). Il suggerimento viene a F. Bronzat d'oltralpe dove questa "grafia normalizzata" prevede, a quanto mi risulta, che scriva per esempio votz (= "voce") anche chi dice ouès (grafia della Commissione), in cui come si può vedere non c'è un solo fonema che corrisponda all"immagine grafica". Ora, questo non è «usare - come dice Bronzat - una maniera di scrivete comune», ma è parlare una lingua e scriverne un altra. Teoricamente, non c'è motivo che una grafia di questo tipo si limiti a rappresentare le parlate dell'area occitanica; può andare bene anche per il francese, l'italiano o lo spagnolo: scriveremmo votz e leggeremmo chi 'voix', chi 'voce' e chi 'voz'; le tre "pronunce" sono più vicine all'"immagine" di quanto non lo sia ouès.
Ma io non posso condividere una simile scelta - di cui in verità non comprendo neppure il senso - anzitutto perché, per quanto ne so, la scrittura alfabetica è un mezzo con il quale si cerca universalmente di rappresentare ciò che si pronuncia e non qualsiasi pronuncia (altrimenti si può ricorrere più proficuamente agli ideogrammi); in secondo luogo, e fondamentalmente, perché un'operazione intellettualistica come questa sembra fatta apposta per «tagliare fuori» gli interessati, cioè i parlanti, non quelli che usano il patois solo in occasione di incontri o convegni con pranzo finale, ma quegli altri, per i quali il dialetto non è un fatto di colore locale o l'occasione per una monografia o per una poesia, ma l'unico autentico e quotidiano mezzo di espressione. Se, col pretesto di mire politiche di unificazione si vogliono calpestare ancora una volta l'anima e l'individualità del montanaro, disprezzandone anche la parlata, allora piuttosto non se ne faccia nulla: meglio lasciare che questa cultura muoia, ma dignitosamente.
A proposito di Una grafia per la parlata di San Peyre (sempre sull'ultimo numero del Soulestrelh), mi permetto di far presente al proponente, sig.Chiaffredo Rabo, che la scelta di ö e ü (oltre che di ë) per le vocali centrali è altrettanto valida (i segni sono usati anche in grafia fonetica) di quella di eu e u, ma non è priva di inconvenienti poiché quando la vocale deve essere accentata la dieresi costituisce un ostacolo tanto per la scrittura a macchina quanto per la composizione tipografica, dovendosi porre l'accento ad un livello superiore di stampa (e la soluzione è anche esteticamente infelice). Questa è una delle ragioni che hanno consigliato la Commissione a rinunciarvi.
Per s e z rinvio il signor Rabo a quanto detto nel Soulestrelh dell'8 agosto '73 e in Coumboscuro, 46 (febbraio '73), pp. 5-6. Mi limito a ricordare qui che l'uso di z per s dolce (sonora) solo nella posizione post-consonantica non è sufficiente. V. per esempio zinc "zinco" accanto a sinc "cinque"; douzze; ecc.
L'accento in pënàs non è necessario (v. in italiano: caval, andar, andiam, ecc.). È bene che si considerino "tronche", come sin qui si è fatto, "solo le parole che portano l'accento d'intensità (che in questo caso va segnato) sulla vocale finale assoluta, come in agù, pourtà, ecc.
L'uso di -cc e -ch per l'affricata e, rispettivamente, l'occlusiva sorde finali si può giustificare quando si conservino nello scrivere il patois (come fa il signor Rabo) i segni dell'italiano per i suoni comuni con quest'ultimo. Ma non è questo il caso della Commissione.
Mi sembra invece buono il suggerimento di adottare la doppia i in piià ecc. e penso che si possa senz'altro accoglierlo nell'inventario.
Nel concludere, ritengo infine opportuno (certo di interpretare il parere della Commissione) invitare il signor Rabo e tutti i lettori a non proporre in futuro sistemi grafici ad uso strettamente locale, ma a prospettare piuttosto eventuali aggiunte o modifiche ai segni già previsti, tenendo presente che la loro scelta è stata fatta dopo aver considerato la situazione di tutta l'area e non di una località o di una valle soltanto.
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