Da sempre noi italiani (ma non solo, guardandosi attorno) percepiamo nei francesi, con davvero poche eccezioni, quella sorta di “grandeur”, quel sentimento di grandiosità e in fin dei conti di superiorità, quando non altezzosità, che possiede questo popolo, nato, come spesso accade, dalla dominazione di una comunità sulle altre attraverso l’imposizione della propria cultura, con la successiva “fusione” e “normalizzazione”, lenta ma inarrestabile, di genti che abitavano lo stesso territorio o aree geografiche prossime fra loro. Sentimento purtroppo insito spesse volte anche in cittadini appartenenti alle minoranze linguistiche presenti anticamente sul suolo francese, antecedenti alla nascita del regno di Francia (bretoni, baschi, occitani, catalani…). La ragione, naturalmente, è di carattere storico, politico e sociale, e può essere utile talvolta osservare la politica portata avanti dallo stato francese riguardo a tematiche non strettamente legate alla questione occitana per comprendere questo senso di grandezza percepito da molti nei nostri cugini d’oltralpe.
Il tema in questione è la battaglia condotta in modo convinto e sistematico dall’Eliseo contro il cosiddetto “islamo-gauchisme”, influenzato dal movimento Woke, ideologia che stride ampiamente con i principi del potere passato e presente che ha governato questo paese.
Lasciamo, a tal proposito, la parola a Dario Fabbri, giornalista, esperto in geopolitica e collaboratore della rivista Limes: “È in atto da qualche tempo una guerra della Francia contro il movimento Woke, ossia il tentativo da parte dell’amministrazione francese di limitare la diffusione di idee (definite americane e basta, di nascita, dall’Eliseo) che riguardano la battaglia, di moda anche in Italia, contro ogni discriminazione razziale, sessuale, ecc., e che, a differenza di quanto capita in occidente, in Francia è considerata altamente negativa. Battaglia interna che il governo sta conducendo contro le derivazioni (dal loro punto di vista, d’influenza) nei confronti degli imam presenti sul territorio francese. C’era e c’è ancora la volontà del governo francese di formare internamente secondo i valori della repubblica gli imam affinché questi non siano influenzati dal wahabismo o da altre ideologie di estremismo islamico provenienti dall’estero, o finanziate anche da paesi esteri, o formate da potenze antagoniste (su tutte la Turchia), affinché gli imam seguano direttive vidimate dall’Eliseo e dallo stato francese. Questa battaglia di tipo strategico si inserisce nel tentativo di assimilare quella parte di popolazione francese di origine magrebina, o semplicemente di religione musulmana, che rappresenta il vettore principale di crescita demografica del paese, ma che vive in una sorta di “separatismo” (neologismo creato da Macron), cioè vive separata dal resto della società e non vuole assimilarsi: forse si è integrata, ma non assimilata.
L’assimilazione è un perseguimento della potenza in quanto tale, diversa dall’integrazione, che consiste nell’accogliere semplicemente nuovi cittadini di origine straniera facendo loro acquisire gli strumenti della cittadinanza (la lingua, il rispetto delle leggi, ecc.). Al contrario, l’assimilazione consiste nello spogliare i cittadini di ogni alterità senza mantenerne nessuna differenza con il resto della popolazione. Si tratta di un movimento, quello assimilatorio, tipico di tutte le grandi potenze, egemoni o antagonistiche, che prevede una notevole violenza culturale nei confronti di chi deve essere assimilato e che è sempre pensato per ragioni militari. L’assimilazione viene pensata da quelle potenze che credono di dover fare prima o poi la guerra e che hanno necessità di essere sicure che tutti i cittadini o quasi (ma tutti è l’obiettivo finale) vedano il mondo allo stesso modo per poi poter andare in battaglia insieme.
Il movimento Woke (che ha origine Negli Stati Uniti) diffonde una mentalità di matrice post-storica, che induce la popolazione ad accettare “dolcezze” di importazione straniera così da dimenticare il massimalismo. Un ambito tipicamente minimalistico, ossia concentrato sulla qualità della vita, sul benessere e sui diritti. Le grandi potenze ritengono questo tipo di battaglie un lusso che spesso non possono concedersi perché abituate invece ai sacrifici al fine del perseguimento della potenza nei confronti degli altri. Da sempre l’egemone diffonde questo tipo di ideologia nei suoi satelliti, ma un paese come la Francia, che si immagina grande verso il futuro, prova da sé a respingere questo tipo di movimento, anche attraverso un antiamericanismo diffusissimo da sempre in Francia. Questo atteggiamento di chiusura nei confronti di un movimento ritenuto a tutte le latitudini occidentali il progresso o quasi si manifesta, quindi, in ragione del suo atteggiamento minimalistico, che impedisce l’assimilazione degli stranieri o dei discendenti di stranieri musulmani in Francia, che è il primo obiettivo strategico dell’Eliseo.
La Francia si immagina, tra qualche decennio, grazie alla crescita demografica garantita proprio dagli stranieri e dai propri discendenti, una grande potenza sul piano demografico e mediamente “più giovane di altri paesi europei, e dunque incline a fare la guerra o almeno immaginare di doverla fare come extrema ratio, quando ad esempio gli altri paesi occidentali non riescono nemmeno a sopportare questa idea, se non l’egemone statunitense. Per questo motivo è necessaria l’assimilazione. In questo contesto la cultura Woke è considerata, invece, minimalista e pericolosa perché conduce nel post-storicismo ulteriormente la popolazione e crea divisioni, cioè nella sua sofisticazione, nel suo riconoscere i diritti di tutte le minoranze, impedisce al governo francese quell’azione violenta che è la spoliazione culturale, che è alla base dell’assimilazione.”
In un altro intervento, il giornalista, l’esperto in geopolitica e collaboratore della rivista Limes Federico Petroni, di fronte alla domanda se la dissoluzione degli imperi come il Regno Unito o la Spagna sia applicabile anche alla Francia, cioè se le popolazioni che non sono di origine, di ceppo franco, come i bretoni, i baschi, ecc., possano spaccare la Francia, delinea la questione in termini molto chiari: “È molto difficile che questo accada, perché la Francia è il paese dell’assimilazione per eccellenza, un paese che ha distrutto letteralmente, ha violentato le proprie minoranze per imporsi nello spazio che riteneva proprio, canonico, quello delimitato dai mari, dalle montagne come le Alpi e i Pirenei e poi dal Reno, e lo ha fatto proprio distruggendo queste minoranze, creando, inventando i francesi. Oggi il livello di maturazione, di consapevolezza dei baschi, dei bretoni, degli occitani neanche a parlarne, o dei franconi, è nettamente inferiore a quello invece dei catalani, dei galiziani, persino degli andalusi...”.
La Francia non è cambiata e forse non lo farà mai. Il seme di questa ideologia è ben radicato nel tempo e difficilmente verrà estirpato. “Quod fuit, quod est, quod futurum est”, direbbero i latini, ma forse il detto che meglio si adatterebbe è quello, assai noto, del lupo, del suo pelo e del suo maledetto vizio. La politica di assimilazione attuata dal governo francese nei confronti di idee, per dirla alla Macron, “separatiste” provenienti dall’esterno, ovvero non appartenenti alla cultura storica del paese, a maggior ragione è perseguita nei confronti delle minoranze presenti storicamente all’interno del proprio territorio. La Francia, che si dice “Nation”, vuole dei cittadini francesi, ma nel senso più stretto del termine. Quale speranza, dunque, per esse, di essere ascoltate e di ottenere un giorno maggiori tutele e diritti, se lo stato francese da sempre persegue questa politica e intende farlo anche in futuro?
Certamente la questione identitaria è al centro di tutto: se gli occitani riusciranno a serbare la loro (benché mutata nel tempo), un ruolo fondamentale sarà giocato dalla lingua, poiché essa ne è il perno, il fattore primario che crea il senso di unione fra noi delle Valli e gli occitani d’oltralpe (aggiungendo di cuore anche i catalani, con i quali è facile sentirsi fratelli e per noi, senza dubbio, chiaro esempio da seguire). Ma non bisogna credere che il pensiero di uno stato come quello francese, che a torto o a ragione si sente così grande, muti di netto. Così, d’istinto, bisogna fornire una risposta “geopolitica”, chiara e senza timore: se i francesi continueranno a fare la Francia, gli occitani continueranno a fare l’Occitania. Per cambiare serve animo, ma è altresì consapevolezza del mondo in cui si è immersi e degli eventi a cui si è in qualche modo ancorati, prendendo conoscenza delle idee alla base del pensiero collettivo e dei limiti dei propri mezzi.
Se il percorso sarà arduo (e gli esempi non mancano, come quello tristemente noto dei nativi d’America, le cui lingue e culture sono pressoché scomparse, o comunque minacciate, sotto l’effetto della pervicace politica di assimilazione perpetrata dai popoli che hanno conquistato il continente, imponendo le proprie), non dobbiamo perdere la speranza, la storia è stata testimone di ogni evento e il mondo è pieno di comunità che, malgrado tutto, non hanno ancora voluto assimilarsi a una cultura dominante e continuano a resistere. “Lhi arribarèm”, ma essendo consapevoli di questo elemento, tutt’altro che marginale, radicatosi a tal punto nella mentalità dei francesi da condizionare persino i più convinti e irriducibili occitanisti.
L’intervento del giornalista Dario Fabbri è disponibile sul canale Youtube al seguente indirizzo: #LapprofondimentodiDarioFabbri #geopolitica #woke
L’intervento del giornalista Federico Petroni è disponibile sul canale Youtube al seguente indirizzo: #domande #Limes #geopolitica
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