È stato dato alle stampe nei giorni scorsi il volume Clau de viola, Spartiti di danze della tradizione occitana, realizzato da Espaci Occitan con il contributo delle Regione Piemonte, curato da Gabriella Brun e Rosella Pellerino ed edito da Fusta Editore.
La musica tradizionale, eseguita filologicamente o reinterpretata in chiave moderna, si è rivelata infatti negli ultimi quarant’anni eccezionale veicolo empatico di riappropriazione culturale, identitaria e linguistica in tutto il territorio su cui è presente la minoranza occitana.
Questa pubblicazione, lungi dall’essere un lavoro di etnomusicologia, intende colmare un vuoto editoriale delle valli: proporre un “piccolo canzoniere occitano” dedicato alle danze più suonate e praticate nel territorio alpino d’òc, ad uso degli studenti di strumenti tradizionali e di tutti coloro che, appassionati di ballo o musica occitana, vogliano scoprire origini di strumenti, stili e simbologia del repertorio coreutico. Un piccolo repertorio iconografico a colori e una breve storia della lingua e della musica occitana, dai trovatori ai nostri giorni, completano il volume, per dare un quadro più completo della ricchezza e varietà della cultura nelle terre di lingua d’òc.
Obiettivo non secondario del volume è poi stimolare, nei lettori e nei suonatori, una riflessione sulla nascita, interpretazione e rinnovamento della musica popolare, poiché essa non si cristallizzi, limitandosi a divenire semplice riproduzione di brani tradizionali o emulazione dei principali musicisti contemporanei.
Nella società rurale non c’era evento della vita che non fosse associato alla musica: dalle ninne nanne alle filastrocche per l’infanzia, dalle canzoni d’amore a quelle di lavoro, dalle nenie funebri alle formule ritenute magiche per la guarigione. Non occorreva attendere, come spesso accade oggi, un tempo speciale, quello della festa, per cantare e suonare. La musica tradizionale in quanto essere vivente era soggetta a cambiamenti; trasmessa oralmente (non ci sono ad esempio trascrizioni di danze delle valli occitane prima del 1970), ogni esecutore la interpretava differentemente, e anche le danze non erano eseguite così come le balliamo oggi. L’acquisizione di tecniche strumentali, vocali o coreografiche era basata esclusivamente su osservazione e imitazione, ma soprattutto su fatto di vivere “intrisi” di cultura tradizionale.
Il ruolo della musica era allora espressione reale e veritiera di una società. Quando questa società, fisiologicamente, muta e si evolve (si pensi al capovolgimento economico e culturale della fine dell’Ottocento, con la scolarizzazione e spesso l’imposizione di una nuova lingua, l’emigrazione), è naturale che anche la sua musica si modifichi e gli stilemi antichi siano abbandonati.
La prima Guerra Mondiale determina inoltre la scomparsa di quasi un’intera generazione, con i suoi saperi, usanze e costumi sociali. Da questo momento la società tradizionale si destruttura, con la fine della trasmissione orale della cultura locale, in modo particolare di quella musicale, da parte dei genitori verso i figli e dei suonatori o cantori più anziani verso i più giovani. Nelle società tradizionali tutti sapevano cantare e danzare, e non vi erano grandi differenze tra pubblico e musicisti. Ma oggi si può ancora parlare di creatività folklorica? Completato il ciclo “naturale” della musica popolare è inevitabile che subentri quello del folklorismo?
Il folk music revival è stato un fenomeno complesso, nato in Gran Bretagna e diffusosi in Europa e negli USA con forme, stili e finalità differenti ed una forte implicazione ideologica e politica. Dalla fine dell’Ottocento studiosi e folkloristi hanno iniziato a raccogliere e trascrivere melodie popolari altrimenti destinate a scomparire, e appartenenti a culture percepite come moribonde. Ma per quanto meritevole sia stato il loro lavoro, possiamo essere certi che abbiano notato e soprattutto compreso appieno non tanto le melodie, quanto l’insieme dell’essenza musicale popolare? La trascrizione delle musiche ha garantito la loro conservazione, ma non ha forse appiattito l’antica varietà? Il revival di fine Novecento ha rischiato in alcuni casi di condurre, più che a una riappropriazione, addirittura alla ricostruzione o invenzione della cultura del passato.
Chissà se ciò che suoniamo oggi rispecchia fedelmente ciò che ascoltavano e danzavano i nostri avi?
Il volume Clau de viola, è acquistabile nelle principali librerie e presso Espaci Occitan a Dronero al costo di 12 €, è stato presentato il 15 dicembre a Dronero nell’ambito della rassegna Re-sòna, che si chiuderà venerdì 2 marzo 2018 alle ore 18 con Gianpiero Boschero e la presentazione del cd Muzique ousitane 3.
Fa da sfondo a questa rassegna la mostra di antichi strumenti musicali della tradizione popolare occitana Liero d’armoni, collezione privata di Celeste Ruà, visitabile ad ingresso gratuito fino al 3 marzo negli orari di apertura dell’Istituto di Studi Occitani di Espaci Occitan: mercoledì 15-18, giovedì e venerdì 9-12 e 15-18, sabato 9-12, e in altri orari su richiesta di gruppi e scolaresche.
Per informazioni sulla pubblicazione, sulla rassegna e sulla mostra, Espaci Occitan, Tel. 0171.904075, segreteria@espaci-occitan.org, www.espaci-occitan.org, Fb @museooccitano, Tw @espacioccitan .
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