Per noi che operiamo nell’ambito della tutela delle minoranze linguistiche, in particolare quella francoprovenzale delle valli alpine piemontesi, è sempre una grande gioia la scoperta di nuove creazioni, di qualsivoglia natura, espressione della vitalità delle nostre lingue. Ciò capita assai raramente ma, quando accade, è bene che venga fatto un lavoro di divulgazione al fine di rendere merito agli autori e di produrre rinnovato interesse intorno a questi temi. Il volume “Cartolénax – Cartoline. Poesie in Francoprovenzale come parlato in alta Val Grande di Lanzo (Torino)” di Giancarla Pinaffo, edito dalle Edizioni dell’Orso di Alessandria e prefato dalla dotta e documentata voce del prof. Antonio Catalfamo, rappresenta un ultimo tassello del mosaico che, anno dopo anno, gli sportelli linguistici cercano, da un lato, di riportare alla luce e, dall’altro, di arricchire con nuove cromie e nuovi riflessi. La raccolta di poesie della Pinaffo, non solo fa emergere l’interessante varietà francoprovenzale della sua terra, ma ci spalanca le porte di un’anima che ha saputo, attraverso la lingua, dare forma e sostanza al suo pensiero e alle sue emozioni. È la lingua che intreccia le trame della vita, del tempo passato, di quelle nitide istantanee del tempo presente, fatto di immagini e ricordi annegati nei profili delle montagne, nell’evanescenza di un profumo, nel piano silenzio, sorgente di ogni suono. “Coume da ‘n patanù inòuxǿnt da cat bàite ou-sà.iat fora, pillìn ëd mùzica granta, lou to qui.œt.” (Come da un nudo innocente da quattro baite erompe, traboccante di musica maestosa, il silenzio), con questi versi si conclude la poesia Lou to qui.œt (Il silenzio) che ben rappresenta la profondità umana e letteraria dell’autrice. In questo percorso emergono le riflessioni sedimentate nel tempo, dalle prime luci dell’infanzia ad un oggi maldestro e dimentico di quel bianconero di una fotografia sbiadita e di quei luoghi sottratti alla delicatezza delle mani contadine e consegnati al frastuono scomposto dell’uomo odierno: “Epœra i-vìntat buratale ël figœrax ‘ndinz la mœnt. Separàlax l’œna da l’à.outa” (Eppure si deve setacciare le visioni impresse nella memoria. Sceverare le une dalle altre…). L’esercizio della memoria diventa necessario per continuare a essere più forti e più consapevoli di prima, senza cedere al nostalgismo, ma traendo vigore dal ricordo. Da esso affiorano i ritratti vividi dei valligiani, i paesaggi trapunti di dettaglio, i sapori già provati dalla Pinaffo e resi parola imperitura. La lingua è quella della Val Grande di Lanzo, con il suo lessico variegato, i suoi tratti fonetici arcaici, i suoi toponimi che danno ancoraggio e verità al poetare. Ci sono tutti gli ingredienti per godere pienamente di questo dono che Giancarla Pinaffo ha deciso di fare a sé stessa e di porgere a tutti noi con questa curata ed elegante edizione. Ne è una conferma, come già rammentato poc’anzi, la ricca prefazione del prof. Catalfamo che ha ben saputo collocare l’autrice nella “schiera dei poeti che hanno preferito scrivere nella lingua della loro «piccola patria»: Pier Paolo Pasolini di Casarsa, Biagio Marin di Grado, Tonino Guerra di Sant’Arcangelo di Romagna, Cesare Zavattini di Luzzara, Albino Pierro di Tursi, Santo Calì di Linguaglossa, Nino Pino di Barcellona Pozzo di Gotto”. Non si può pertanto che consigliare la lettura di queste liriche che cercano di fare emergere i perché della vita e, allo stesso tempo, si fermano di fronte al mistero. Concludiamo l’articolo con la proposta di una poesia, quella che meglio rappresenta il nostro oggi:
OTTOBRE
Dal calice azzurro
un’ultima rosa d’autunno,
dai suoi riccioli di ciclamino,
sussurra messaggi d’amore.
Col cuore teso
di desiderio
m’appresto ad incontrarla,
piacente e sentimentale.
Tra braccia vestite di foglie vigorose
aspiro un profumo inconsistente
che da giorni lontani
mi ritorna.
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