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Cima

Cima

di Jean Michel Effantin

Cima
italiano Cima « cima » proviene del latino cyma « germoglio che spunta da un cavolo, da un vegetale che monta in fiore », prestito dal greco kuma « gonfiore, germoglio ». Per estensione la parola ha preso il senso che conosciamo oggi « estremità superiore (di un oggetto, di un albero, di una montagna) ».

Le varianti di pronuncia evidenziano un interessante fenomeno di conservatorismo fonetico nelle Valli. La consonante iniziale di [simma] (Salbertrand), [simmo] (Val Germanasca), [simo] (Bellino), è identica a quella di simple « semplice », sieis « sei » o sal « sale » . Dal punto di vista fonetico si tratta di una " fricativa alveolare " : l’aria espulsa fa un rumore continuo " fregando " (" fricativa ") nello spazio ristretto tra il palato e la punta della lingua, quasi in contatto nella zona del palato, detta " alveolare ", che borda i denti.
Nell’alta Valle Po, a Ostana, Oncino, Ciampagna di Crissolo, benché si trovi questa normale pronuncia alveolare in simple, sieis o sal, la parola cima viene pronunciata in modo diverso : [çimmo] con una fricativa interdentale. In questo caso la punta della lingua è posta tra i denti. Si tratta di un suono conosciuto in inglese ( thin ), in castigliano ( ciento), ma né in francese né in italiano.
Questo suono [ç] si ritrova generalmente nelle parole che contengono in latino CI, CE, TI, … o in italiano ci, ce, o il suffisso –zione, ... : per esempio a Ostana cinc « cinque » [çinc], jaç « lettiera degli animali, giaciglio » [jaç], glaç « ghiaccio » [guiaç], citacion «citazione » [çitaçioun]. Si tratta di una tappa antica nell’evoluzione fonetica dell’occitano che si è conservata solo in alcune rare parlate montane, nei Pirenei e, all’estremità opposta del territorio linguistico, nelle Valli.
Oltre alla Valle Po la distinzione tra S etimologica (come in sal) e CI etimologica (come in cima) è presente solo in Valle Stura nel comune di Valloriate, in Valle Grana nella borgata adesso abbandonata di Arbona, nel comune di Castelmagno e nella zona del Quié a Fontane.
Ad Arbona la distinzione non si fa tra fricativa alveolare [s] e interdentale [ç], ma tra [s] e labiodentale [f] : cinc [finc], jaç [jaf], caçul [caful]. A Fontane si fa tra [s] e uno stadio [ts] ancora più arcaico dell’evoluzione : cinc [tsinc], cervèl « cervello » [tseivèl], chaucier « scarpa » [choutsé], garçon « ragazzo » [gartsoun].
Per questo fenomeno le Valli sono un conservatorio vivente della storia linguistica dell’occitano : percorrendo qualche kilometro si può fare un cammino di diversi secoli, che va dalla [ts] alla [ç] per arrivare alla più ordinaria [s]. Però le Valli sono anche l’illustrazione del fatto che scegliere, come fa l’ortografia comune dell’occitano, e come ha fatto a suo tempo Mistral, di rimanere fedeli a la tradizione scritta dell’occitano, di distinguere cima e sal è finalmente su questo punto conformarsi alla realtà fonetica delle parlate odierne.

Cima ha sovente come sinonimo la poncha. Per la cima di una montagna, si trova lo ponchut (Bellino), lo crest [crest] (Bellino, Val Grana), [crêt] (Val Germanasca). La linea di cresta è una aresta, una sea (Val Germanasca).
A Bellino quando il sole del mattino illumina la cresta delle montagne : lo solelh encima. A Rochemolles « passar la cima » è attraversare la montagna per andare in Francia.

Nella toponimia dell’Alta Valle Susa si trova cima per indicare una montagna : il punto più elevato del comune di Salbertrand è La Cima dau Valonet a 3217 m, a Exilles La Ronhosa d’Ambin è diventata La Cima dau Sommeiller dal nome dell’ingegnere del tunnel del Frejus.
Cima compare anche per precisare una localizzazione rispetto a un altro toponimo : a Demonte Cima de la Via, a Salbertrand la parte superiore del borgo centrale è la Cima de Viela di fronte al Pè de Viela. L’opposizione cima / pè funziona come i qualificativi toponomastici sobeiran / sotan, o d’amont / d’aval.
In Val Germanasca lo pè è sostituito da la cauç parlando di un campo o di un prato : sapar de la cauç a la cima, rebastar de la cima a la cauç dal prat « rastrellare dall’alto verso il basso del prato » [ërbâtâ dë la simmo a la caou dâ pra].


occitan Cima  « cima » proviene del latino cyma « germoglio che spunta da un cavolo, da un vegetale che monta in fiore », prestito dal greco kuma « gonfiore, germoglio ». Per estensione la parola ha preso il senso che conosciamo oggi « estremità superiore (di un oggetto, di un albero, di una montagna) ».

    Le varianti di pronuncia evidenziano un interessante fenomeno di conservatorismo fonetico nelle Valli. La consonante iniziale di [simma] (Salbertrand), [simmo] (Val Germanasca), [simo] (Bellino), è identica a quella di simple « semplice », sieis « sei » o sal « sale » . Dal punto di vista fonetico si tratta di una " fricativa alveolare " : l'aria espulsa fa un rumore continuo " fregando " (" fricativa ") nello spazio ristretto tra il palato e la punta della lingua, quasi in contatto nella zona del palato, detta " alveolare ", che borda i denti.
    Nell'alta Valle Po, a Ostana, Oncino, Ciampagna di Crissolo, benché si trovi questa normale pronuncia alveolare in simple, sieis o sal, la parola cima viene pronunciata in modo diverso : [çimmo] con una fricativa interdentale. In questo caso la punta della lingua è posta tra i denti. Si tratta di un suono conosciuto in inglese ( thin ), in  castigliano ( ciento), ma né in francese né in italiano.
    Questo suono  [ç] si ritrova generalmente nelle parole che contengono in latino CI, CE, TI, ... o in italiano ci, ce, o il suffisso -zione, ... : per esempio a Ostana cinc « cinque » [çinc], jaç « lettiera degli animali, giaciglio » [jaç], glaç « ghiaccio » [guiaç], citacion «citazione » [çitaçioun]. Si tratta di una tappa antica nell'evoluzione fonetica dell'occitano che si è conservata solo in alcune rare parlate montane, nei Pirenei e, all'estremità opposta del territorio linguistico, nelle Valli.
    Oltre alla Valle Po la distinzione tra S  etimologica (come in sal) e CI  etimologica (come in cima) è presente solo in Valle Stura nel  comune di Valloriate, in Valle Grana nella borgata adesso abbandonata di  Arbona, nel comune di Castelmagno e nella zona del Quié a Fontane.
    Ad Arbona la distinzione non si fa tra fricativa alveolare [s] e interdentale [ç], ma tra [s] e labiodentale [f] : cinc [finc], jaç [jaf], caçul [caful]. A Fontane si fa tra [s] e uno stadio [ts] ancora più arcaico dell'evoluzione : cinc [tsinc], cervèl « cervello » [tseivèl], chaucier « scarpa » [choutsé], garçon  « ragazzo » [gartsoun].     
    Per questo fenomeno le Valli sono un conservatorio vivente della storia linguistica dell'occitano : percorrendo qualche kilometro si può fare un cammino di diversi secoli, che va dalla [ts] alla [ç] per arrivare alla più ordinaria [s]. Però le Valli sono anche l'illustrazione del fatto che scegliere, come fa l'ortografia comune dell'occitano, e come ha fatto a suo tempo Mistral, di rimanere fedeli a la tradizione scritta dell'occitano, di distinguere cima e sal è finalmente su questo punto conformarsi alla realtà fonetica delle parlate odierne.

    Cima ha sovente come sinonimo la poncha. Per la cima di una montagna, si trova  lo ponchut (Bellino), lo crest [crest] (Bellino, Val Grana), [crêt] (Val Germanasca). La linea di cresta è una aresta, una sea (Val Germanasca).
    A Bellino quando il sole del mattino illumina la cresta delle montagne : lo solelh encima. A Rochemolles  « passar la cima » è attraversare la montagna per andare in Francia.

    Nella toponimia dell'Alta Valle Susa si trova cima per indicare una montagna : il punto più elevato del comune di Salbertrand è La Cima dau Valonet a 3217 m, a Exilles La Ronhosa d'Ambin è diventata La Cima dau Sommeiller dal nome dell'ingegnere del tunnel del Frejus.
    Cima compare anche per precisare una localizzazione rispetto a un altro toponimo : a Demonte Cima de la Via,  a Salbertrand la parte superiore del borgo centrale è la Cima de Viela  di fronte al Pè de Viela. L'opposizione cima / pè funziona come i qualificativi toponomastici sobeiran / sotan, o d'amont / d'aval.
    In Val Germanasca lo pè è sostituito da la cauç parlando di un campo o di un prato : sapar de la cauç a la cima, rebastar de la cima a la cauç dal prat  « rastrellare dall'alto verso il basso del prato » [ërbâtâ dë la simmo a la caou dâ pra].