italianoUna rivisitazione critica della storia delle idee politiche appare quanto mai opportuna in relazione alla ricorrenza dei 150 anni dell'Italia unificata. La riflessione non può che vertere, quindi, su due modelli di organizzazione dello Stato: il modello centralizzato ed il modello federale. La storia ci fornisce parecchi esempi, in tal senso. Dalla Grecia antica alla Roma repubblicana il concetto di foedus è inteso come un "patto" finalizzato a tenere insieme popoli diversi per lingua e cultura, al fine di salvaguardare l'unità dello Stato. In età medievale, tale modello trova nelle Alpi la propria applicazione molto adattabile in realtà geografiche particolari, legate a territori difficili come le montagne. Si tratta di una vera predisposizione alpina a darsi ordinamenti autonomi all'interno di entità più ampie. Così avviene per l'organizzazione cantonale della Svizzera e per altre piccole comunità delle Alpi, dal Delfinato alla Carnia. Ma, con l'avvento dell'età moderna, gli scenari cambieranno nella direzione del costituirsi di entità politiche sempre più accentrate come gli Stati-Nazione. Proprio nella Francia rivoluzionaria si viene a definire con forza l'opposizione fra centralismo e decentramento. Da una parte i Giacobini, cui si deve la definizione di "Repubblica una e indivisibile" ed alla quale si richiama direttamente la Costituzione della Repubblica Italiana all'art. 5. Ma, nello stesso articolo, la nostra Costituzione aggiunge: «La Repubblica ... riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell'autonomia e del decentramento». In un certo modo, i nostri padri costituenti hanno trovato una "terza via" fra centralismo giacobino e forme autonome di decentramento. Tornando alla Rivoluzione francese, la contrapposizione fra Giacobini Montagnardi (centralisti) e Girondini (regionalisti) ha segnato l'affermazione netta dei primi facendo della Francia il prototipo della Nazione "una e indivisibile". Negli anni del Risorgimento, l'Italia conoscerà simili contrapposizioni. Mazzini, Garibaldi, Casa Savoia, pur su posizioni politiche distanti, sembrano caldeggiare il modello centralista francese. Il pensiero federalista, attraverso le figure di Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari e Vincenzo Gioberti (i primi due d'ispirazione laica, il secondo clericale) sostengono il valore delle autonomie. Ma quali sono i contributi che arrivano dalle regioni alpine? A questo proposito, non possiamo ignorare un documento importante come la "Carta di Chivasso", dichiarazione firmata il 19 Dicembre 1943 nella cittadina piemontese di Chivasso dagli esponenti della Resistenza, emissari dell'autonomismo valdese e valdostano. Siamo ancora in piena guerra ed i segnali della imminente disfatta dei nazionalismi sono ben visibili. Le popolazioni alpine hanno sofferto gli effetti devastanti di un centralismo livellatore e di uno sciovinismo linguistico che ha cancellato toponimi e buone pratiche di autogoverno. Nelle Alpi Occidentali, a differenza delle realtà del nord-est trentino-giuliano, non vi sono mai stati nazionalismi contrapposti, irredentismi o sciovinismi. Lingua e nazionalità non venivano percepiti come coincidenti. Resisteva una vecchia consuetudine di parlare liberamente la lingua dello Stato confinante al di là della questione nazionale. Nel Bollettino del Club Alpino Italiano, sino alla fine dell'Ottocento, molti articoli erano pubblicati in lingua francese da parte di Soci patriotticamente italiani ma liberamente francofoni. Con la fine dell'Ottocento e gli inizi del Novecento, sotto la spinta di un malinteso nazionalismo linguistico, gli articoli francofoni non vennero più accettati con la grande delusione di un Socio onorario del calibro dell'abate Amè Gorret. Per essi la franco-fonia non si sposava con la franco-filìa. Ritornando brevemente alla Carta di Chivasso va precisato che proprio nella casa del socio del Club Alpino Cav. Matteoda, che ho avuto ancora l'onore di conoscere personalmente in età avanzata, si incontrarono Emile Chanoux ed Ernest Page. Il grande storico valdostano Federico Chabod, professore all'Università di Firenze, inviò un suo documento. Dalle valli valdesi arrivarono personaggi come Osvaldo Coisson, Gustavo Malan, i professori universitari Giorgio Peyronel e Albert Rollier. I punti centrali riguardanti le autonomie alpine ed il federalismo correttamente inteso fanno qui riferimento all'ordinamento amministrativo, all'economia alpina, alla cultura. In particolare, la loro protesta si rivolge contro la distruzione delle identità e tradizioni locali, contro la chiusura ermetica delle frontiere, contro l'insensibilità verso la promozione di un turismo rispettoso e capace di frenare l'esodo dalla montagna, contro la soppressione della lingua locale, contro la brutale trasformazione dei nomi e delle iscrizioni locali, contro la chiusura di scuole e di istituti locali autonomi. L'autonomismo democratico alpino occidentale - profondamente europeista e non localista "strapaesano" - troverà ampie consonanze nell'area trentina attraverso la grande lezione degasperiana. E' proprio per queste ragioni che il dogma centralistico giacobino, di cui anche il nazionalismo italiano era imbevuto, ha potuto trovare una compensazione nel richiamo al decentramento di un federalismo alpino ispirato ad unire nel rispetto delle diversità. Oggi che si parla molto di federalismo in Italia, una rilettura della Carta di Chivasso potrebbe aiutare non pochi sedicenti federalisti ad evitare interpretazioni superficiali ed affrettate di questa importante dottrina politica. Per gentile concessione del quotidiano "L'Adige"
occitanUna revisitacion crítica de l'istòria des ideas políticas pareis mai que mai oportuna en relacion a la commemoracion di 150 ans de l'Itàlia unificaa. La reflexion pòl pas que portar, donc, sus dui modèls d'organizacion de l'Estat: lo modèl centralizat e lo modèl federal. L'istòria nos fornís ben d'exèmples, en tal sens. Da la Grècia antica a la Roma republicana lo concèpt de foedus es entendut coma un "pact" finalizat a tenir ensem de pòples diferents per lenga e cultura, al fin de salvagardar l'unitat de l'Estat. En època medievala, auquel modèl tròba dins las Alps son aplicacion ben adaptabla en de realitats geogràficas particularas, liaas a de territòris difícils coma las montanhas. Se tràcta d'una vera predisposicion alpina a se donar d'ordinaments autònoms en dedins d'entitats mai amplas. Parelh aven per l'organizacion cantonala de la Soïssa e per d'autras pichòtas comunitats de las Alps, dal Dalfinat a la Càrnia. Mas, embe l'avent de l'etat modèrna, lhi scenaris chhambiarèn devèrs la constitucion d'entitats políticas sempre mai centralizaas coma lhi estats-Nacion. Pròpi dins la França revolucionària ven se definir embe fòrça l'oposicion entre centralisme e decentrament. D'un cant lhi Jacobins, ai quals se deu la definicion de "República una e indivisibla" e a la quala se rechama directament la Constitucion de la República Italiana a l'art. 5. Mas, dins lo mesme article, nòstra Constitucion ajonh: : «La República... reconois e promòu las autonomias localas; àctua dins lhi servicis que dependon da l'Estat lo mai ample decentrament administratiu; conforma lhi principis e lhi metòdes de sa legislacion as exigenças de l'autonomia e dal decentrament». D'un certen biais, nòstri paires constituents an trobat una "tèrça via" entre centralisme jacobin e de formas autònomas de decentrament. En tornant a la revolucion francesa, la contraposicion entre jacobis montanhards (centralistas) e girondins (regionalistas) a marcat la neta afermacion di premiers en fasent de la França lo protòtip de la Nacion "una e indivisibla". Enti ans dal Resorgiment, l'Itàlia conoisserè de contraposicions semblablas. Mazzini, Garibaldi, Casa Savòia, mesme se sus de posicions políticas luenhas, pareisson apojar lo modèl centralista francés. Lo pensier federalista, a travèrs las figuras de Carlo Cattaneo, Giuseppe Ferrari e Vincenzo Gioberti ( lhi premiers dui d'inspiracion laica, lo tresen clerical) sostenon la valor des autonomias. Mas quali son lhi contributs qu'arribaon da las regions alpinas? An aqueste prepaus, polem pas ignorar un document important coma la "Carta de Quivàs", declaracion signaa lo 19 de desembre 1943 dins la pichòta vila piemontesa dai membres de la Resistença, emissaris de l'autonomisme valdés e valdostan. Sem encara en plena guèrra e lhi senhals de l'imminenta desfacha di nacionalismes son ben visiblas. Las populacions alpinas an patit lhi efècts devastants d'un centralisme livelator e d'un sciovinisme linguístic qu'a cancelat de topònims e de bònas pràcticas d'autogovèrn. Dins las Alps occidentalas, a diferença des realitats dal nòrd-est trentin-julian, lhi a pas jamai agut de nacionalismes opausats, d'irredentismes o de sciovinismes. Lenga e nacionalitat venion pas percebuts coma coïncidents. Resistia un'anciana costuma de parlar liberament la lenga de l'Estat confinant al delai de la question nacionala. Dins lo Boletin dal Club Alpin Italian, fins a la fin dal Uech Cent, un baron d'articles eron publicats en lenga francesa da part de sòcis patriocticament italians mas liberament francòfons. Embe la fin de l'Uech Cent e lo començament dal Nòu Cent, possats da un melantendut nacionalisme linguístic, lhi articles francòfons son pas pus estats acceptats embe la granda delusion d'un sòci onorari dal calibre de l'abat Amè Gorret. Per ilhs la franco-fonia se mariava pas embe la franco-filia. En retornant brevament a la Carta de Quivàs, vai precisat que pròpi dins la maison dal sòci dal Club Alpin Cav. Matteoda, qu'ai agut encara l'onor de conóisser personalament en atge avançat, se son encontrats Emile Chanoux e Ernest Page. Lo grand istòric valdostan Federico Chabod, professor a l'universitat de Firenze, a enviat un siu document. Da las valadas valdesas son arribats de personatge coma Osvaldo Coisson, Gustavo Malan, lhi professors universitaris Giorgio Peyronel e Albert Rollier. Lhi ponchs centrals concernents las autonomisas alpinas e lo federalisme correctament entendut fan aquí riferiment a l'ordinament administratiu, a l'economia alpina, a la cultura. En particular, lor protèsta s'adreça còntra la distruccion des identitats e tradicions localas, còntra lo barradura ermética des frontieras. Còntra l'insensibilitat vèrs la promocion d'un torisme respectuós e capable de frenar l'exòde da la montanha, còntras la supression de la lenga locala, còntra la brutala transformacion di noms e des inscripcions localas, còntra la barradura d'escòlas e d'instituts localas autònoms. L'autonomisme democràtic alpin occidental, profondament europeista e ren localista "extrapaïsan", trobarè d'amplas consonanças dins l'àrea trentina a travèrs la granda leiçon degasperiana. Es pròpi per aquestas rasons que lo dògma centralista jacobin, dont era embegut tanben lo nacionalisme italian, a polgut trobar una compensacion dins lo recham al decentrament d'un federalisme alpin inspirat a unir dins lo respèct des diversitats. Enquei que se parla un baron de federalisme en Itàlia, una relectura de la Carta de Quivàs poleria ajuar pas gaire se-disents federalistas a evitar d'interpretacions superficialas e coitosas d'aquesta importanta doctrina política.
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