“Chi l’avrebbe mai detto?” Sono in tanti a porsi questo interrogativo guardando alla Valle Grana degli ultimi anni. Incastrata tra le valli vicine, priva di passaggi diretti verso la Francia, negli ultimi cento anni la valle ha vissuto una forma di isolamento geografico e sociale, acuitosi con lo spopolamento progressivo coinciso il boom economico dell’Italia del secondo dopoguerra. Frazioni e borgate si sono letteralmente svuotate a seguito di migrazioni in origine pensate come temporanee e che si sono poi rivelate definitive. Contadini e allevatori hanno abbandonato la medio-alta valle per fornire manodopera alle industrie della pianura cuneese e torinese o per lavorare in attività produttive di diverso genere al di là delle Alpi, alimentando catene migratorie consolidate negli anni.
In questi ultimi due decenni si assiste ad un’inversione di tendenza: gradualmente borgate abbandonate vengono ristrutturate e abitate in progetti socio-imprenditoriali che uniscono alla promozione di un prodotto tipico lo sviluppo di un turismo ambientale ed enogastronomico. Gli investimenti economici provenienti da altri territori evidenziano non solo le potenzialità di paesaggi e patrimoni invidiabili, ma sono il segno della vitalità e dell’ “effervescenza sociale” che sempre più contraddistingue la valle Grana e diventa vero e proprio “fattore d’attrazione”.
E’ su questa scia che nasce e si sviluppa il progetto “Saperi e Sapori di Valle”, promosso dall’Ecomuseo Terra del Castelmagno guidato da Barbara Barberis e Claudio Luciano. Al centro ci sono 5 prodotti tipici, a loro volta centro e vero e proprio motore della vitalità e dell’effervescenza di cui sopra: si tratta di realtà significative che si sono distinte con percorsi storici e sociali differenti: il formaggio Castelmagno, l’aglio di Caraglio, la patata Piatlina e la patata Ciarda della Valle Grana, il tartufo nero della Valle Grana, lo Zafferano di Caraglio e della Valle Grana.
Barbara e Claudio, con la collaborazione preziosa di “Noau – officina culturale” nell’ideazione e nella realizzazione del progetto, mi hanno coinvolto nel progetto affidandomi la ricerca antropologica e la produzione di cinque documentari, uno per ogni prodotto. Mi sono buttato a capofitto in queste realtà agricole e sociali fortemente legate al territorio e ai saperi che lo contraddistinguono, ma proiettate verso il futuro, consapevoli che può esserci valorizzazione di un patrimonio agro-alimentare solo quando ad essere valorizzate sono anche le singole esperienze dei coltivatori e soprattutto la loro capacità di unirsi per degli intenti comuni. Ad ogni prodotto corrisponde infatti una rete solida ed in espansione, che unisce soggetti diversi che nel corso degli anni e in diversi modi si sono ritrovati a promuovere i prodotti in ogni loro aspetto, dando vita a vere e proprie filiere. Esempi di questi soggetti sono singoli coltivatori professionisti e non, piccole e medie imprese impegnate nel settore agricolo, laboratori dedicati alla trasformazione e al confezionamento dei prodotti, cuochi, ristoranti e attività alberghiere che pensano e propongono vecchie e nuove ricette a partire da uno o più ingredienti locali, esperti di comunicazione che raccontano il prodotto e la sua storia, diffondendone immagini e contenuti, associazioni che si pongono come obiettivo il recupero e l’utilizzo delle terre abbandonate e la loro ridistribuzione... l’elenco si ferma qui ma potrebbe andare avanti. Spesso e volentieri buona parte di questi soggetti sono concentrati in un singolo individuo, capace di mettere insieme più competenze, in grado di avere una vera e propria visione del prodotto nel suo territorio e fuori di esso. Sono persone dotate di grande creatività, capaci di inventarsi e re-inventarsi, di guardare lontano e vicino insieme, di costruire reti sociali che contribuiscono al consolidamento delle comunità sul territorio. “Comunità” è forse un termine prima passato di moda e ora ritornato un poco in auge, e viene spesso utilizzato all’interno di quelle iniziative che sono volte alla creazione di comunità laddove queste sono in crisi.
Con i miei cinque documentari ho provato a dare voce ai produttori, mi interessavano le storie che riguardano i consorzi e le associazioni che nel corso degli anni hanno difeso e promosso questi prodotti, mi interessava l’esperienza delle persone, le ragioni per cui determinati prodotti sono entrati nelle loro vite. Ho scoperto che le cinque reti relative ai cinque prodotti sono a loro volta legate tra di loro, e che alcuni coltivatori ad esempio appartengono a più realtà consortili che collaborano tra di loro, rinsaldandosi reciprocamente. Nessuno di loro nelle tante interviste che ho fatto ha mai pronunciato la parola “comunità”. Perchè? Forse una risposta c’è: non ne sentivano il bisogno.
In questo momento storico la val Grana appare dunque come una fucina, un laboratorio in cui si realizzano imprese ed esperimenti, in cui crescono saperi, si definiscono e finiscono per contagiarsi, entrando in relazione e aprendo le porte ad altri saperi ancora. Non si tratta esclusivamente di saperi produttivi e alimentari, ma della diffusione e dello sviluppo delle volontà di soggetti singoli e collettivi che non risparmiano energia, incanalandola in molteplici progettualità a medio e lungo termine sul territorio. Ricordiamoci che se è vero che “non di solo pane vivrà l’uomo” è anche vero che il pane dobbiamo metterlo sulla tavola: in questi anni le nostre società hanno compreso l’importanza del cibo, non solo in termini nutritivi. Oggi diamo nuovo valore all’alimentazione, ed è bene continuare a farlo con un certo equilibrio.
Le parole dell’intervista di Lucio Alciati (caragliese, attivo nella scoperta e nella riproposta di prodotti tipici) possono forse ben concludere un articolo dedicato al progetto Saperi e Sapori in valle Grana: “Il contadino è un imprenditore, ed è il più importante di tutti, perché tutti i giorni noi mangiamo. Mangiamo la mattina, mangiamo a pranzo, mangiamo a cena. E non possiamo mangiare bulloni. La valle Grana sta vivendo questo momento qua. Speriamo che duri. La speranza è quella”.
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