Fernand era uno dei più accaniti cacciatori della valle, di quelli che percorrevano la montagna e la conoscevano come le loro tasche. Conosceva tutti i valloni, tutti i ripari, sapeva dove vi erano le nidiate dei fagiani, delle quaglie, delle pernici di montagna, sapeva dove nidificava l’aquila. E ciò da quando era un bambino. Non parliamo poi degli uccelli, quelli canterini come cardellini, merli, usignoli. Conosceva tutte le razze degli animali che vivevano nei boschi delle sue montagne, volpi, tassi, donnole, marmotte senza parlare poi di quelli più piccoli che popolano le nostre valli.
Di quelli che vivevano un tempo qui da noi come i lupi, gli orsi, le linci ne aveva solamente sentito parlare dai vecchi che raccontavano delle storie fantastiche e alle volte incredibili capitate a cacciatori e a personaggi di un tempo.
Era durante le veglie o all’osteria che si raccontava tutto ciò come la storia del violinista che arrivando da un matrimonio dove aveva suonato tutto il giorno, aveva capito che un lupo lo seguiva. Allora aveva iniziato a buttargli dei pezzi di pane e carne che aveva in un sacchetto. Ma il lupo continuava a seguirlo, sempre più vicino. Il nostro violinista camminando a ritroso non si avvide d’una pietra che sporgeva lungo la strada, urtò questo ostacolo, vacillò e toccò con la mano il suo violino per ripararlo dalla caduta e questo ..suonò. A quel suono il lupo si fermò senza avvicinarsi. Il nostro violinista ebbe quindi l’idea di suonare il violino con le note più acute possibili, che facevano accapponare la pelle e il lupo si tenne ben lontano finché il pover uomo non giunse a casa e chiuse la porta. Salvo. Così raccontavano.
I vecchi del villaggio chiacchierando attorno ad un tavolo e ad una bottiglia di vino buono, ricordavano pure gli orsi e le linci. Una volta ce n’erano, dicevano ma ciò era talmente lontano nel tempo che il ricordo di questi animali s’era perso nelle nebbie del passato.
Degli orsi tuttavia raccontavano che un giorno, un uomo che stava togliendo il pane dal forno, sentendo una presenza si girò e vide qualcosa di peloso dritto sulla porta: un orso. Un momento di paura e poi timoroso prese una pagnotta e gliela buttò dicendo: “vattene e che Dio ti protegga”. L’orso prese il pane e davanti all’uomo, rimasto di sasso, ora vi era un bel giovane tutto ben vestito. “Sono originario dell’altra parte della montagna, disse, e sono di buona famiglia. Sono stato maledetto e trasformato in orso. Sono fuggito e mi sono nascosto nei boschi e girando sono giunto sin qui. Avevo fame e ero ormai disperato per la mia condizione ma un venticello mi ha portato il buon profumo di pane. Perciò mi sono avvicinato. Poi mi avete gettato quel pane dicendomi di andarmene chiedendo a Dio di proteggermi. Il vostro gesto e le vostre parole mi hanno liberato dal sortilegio. Grazie.” Quindi quel giovane prese dal suo borsello tre monete d’oro e le diede all’uomo che restò di legno e quindi se ne andò.
Dicevano pure che non bisognava guardare gli occhi della lince poiché quel grosso gatto poteva stregarti.
Il nostro Fernand conosceva decine di storie su quasi tutti gli animali, il sangue di Gesù del pettirosso, la maledizione del toporagno e della Vergine e la mula, del segno nero sul collo dell’asino ma pensava che un giorno qualcuno avrebbe raccontato le sue imprese di caccia. Un giorno sentì raccontare, qualcuno lo aveva visto, che vi era un piccolo camoscio bianco. Lo avevano visto su a Crestovol, dietro la madre, su per quei valloni che profondi, precipitano verso le Grange, verso Chambon.
Parti pure lui un mattino presto dal suo villaggio per vedere se riusciva a scorgerlo. Era la metà del mese di settembre. Attraversò il fiume Chisone, poi prese il sentiero di Malvicino. Arrivò a Rochier che il sole iniziava appena ad imbiancare le cime dei monti, i più alti. Di qui raggiunse il piano delle Pertiche da dove si poteva vedere il vallone di Bourcét e dove inizia la cresta che porta verso il Becco dell’Aquila. Non v’era bisogna di arrivare sulla punta della montagna ma di lì avrebbe percorso tutti valloni fino ai laghi dell’Alberjan e col cannocchiale avrebbe potuto osservare i pascoli, i valloni, dove potevano esserci dei camosci. Camminava e anche se era abituato le gambe iniziarono già ad avere bisogno di una pausa. Si fermo un pochino e tolta dal suo sacco una borraccia bevve una sorsata di vino e mangiò un pezzo di pane con del formaggio grasso. Per riprendersi dalla fatica ! Ormai il sole aveva invaso la valle. La vista era meravigliosa, l’Orsiera, la Cristalliera, il Rocciavrè, il Robinet e dietro la punta del Rocciamelone. Se prima il cielo era terso, ora qualque nuvola iniziava ad apparire. Verso la pianura un nebbietta grigiastra impediva una buona vista.
Ogni tanto i fischi delle marmotte segnalavano il suo passaggio. Era sottovento e così gli animali non potevano avvertire il suo odore. Camminava piano, traversando sui sentieri degli animali che ogni tanto si perdevano, per riprendere dopo dei massi, dopo una pietraia, dei nevai dove si dissetava con l’acqua che filtrava tra le pietre. Aveva trovato delle fatte di camoscio, non troppo fresche per la verità. Mentre camminava aveva fatto innalzare un volo di pernici bianche, aveva visto molti gracchi ma di camosci non c’era il segno. Eppure in quella zona ce n’erano sempre stati! Mezzogiorno. Il sole riusciva ancora a rischiarare ma tra pochi giorni la parte alta di quei valloni, che sono all’opaco della valle sarebbero restati senza sole. Era ora di tornare. Tra poco sarebbe iniziata la stagione della caccia. Come tutti gli anni riuscirono a catturare, con i suoi compagni i tre camosci che spettavano ai cacciatori del suo comune ma in tutta la stagione nessuno vide il camoscio bianco e sua madre.
Passò un inverno e nuovamente sentì parlare di questo camoscio bianco. Qualcuno lo aveva visto verso il Guinivert, il Barifreid, Tutti gli anni faceva qualche passeggiata in montagna ma quest’anno con la speranza di poter vedere.
A Fenestrelle , un giorno trovò un pastore che con le sue vacche e le sue pecore saliva all’alpe dell’Alberjan il quale gli disse di aver scorto quell’animale : “ è tutto bianco, con i suoi corni neri ricurvi, un maschio sicuramente; l’ho visto un pochino sopra i laghi dell’Alberjan, l’ho visto da lontano con il mio binocolo mentre cercavo le mie pecore che sono al pascolo”. Tra un bicchiere di vino e l’altro si chiacchierò di campagna e di caccia. Quel camoscio bianco ormai s’era incuneato nella sua testa. Doveva trovarlo e farlo suo. Il giorno dopo andò proprio dove gli aveva detto di averlo visto il pastore e ebbe fortuna. Un po' sotto il Chabertas, vi sono dei pascoli molto ripidi, tra due colate di pietrisco grigio che si riuniscono in basso. Da lontano sembra vi sia disegnato un cuore e in quel cuore vi crescono le più belle stelle alpine che vi siano. Si quel giorno riuscì a vederlo. Era con altri giovani maschi che pascolavano tranquilli ma al fischio di una marmotta smisero di brucare e in un attimo risalirono e scomparvero alla sua vista Lo cercò ancora col binocolo. Ma nulla. Ormai l’aveva visto, non era solamente una chimera ma il camoscio bianco esisteva per davvero. Era felice e contento di averlo visto. Che animale, una meraviglia !
Fernand immaginava già di averlo sulle spalle, di portarlo a valle e di agganciarlo per le corna sulla piazza della sua borgata. Sarebbe divenuto il cacciatore più famoso della valle; della valle, cosa dico, delle Valli !
Avrebbe fatto imbalsamare la testa e l’avrebbe piazzata nel tinello dove aveva già una bella collezione di animali: una testa di cinghiale dai denti lunghi una spanna, una volpe, una faina, uno scoiattolo e poi il suo camoscio bianco!
Ma la caccia è la caccia. Un buon cacciatore non può sopportare di stare fermo l’autunno arrivato. Con gli amici cacciatori avevano fatto una buona caccia e portato a casa molta selvaggina. Avevano pure fatto festa, lepri e cinghiali al civet, polenta e quanto vino!
Ma del camoscio bianco nessuna traccia ! Nessuno l’aveva più visto. E nessuno lo vide per tutto l’inverno ne la primavera o l’estate dell’anno seguente.
Ormai il camoscio doveva aver tre anni ma a dire la verità gli aveva quasi messo una croce sopra sul prenderlo e farlo suo.
Quell’anno l’inverno arrivò in fretta. Già nei primi giorni di ottobre le cime si erano imbiancate. L’aria era fredda. Presto la neve sarebbe giunta pure in basso. Sembrava ci sarebbe stata una stagione molto difficile sia per gli uomini che per gli animali. .
A Fernand piaceva molto andare andare a caccia da solo, senza cane , girare per i boschi e se alle volte qualcosa si faceva vedere...sparava. Un giorno era su per la selva di Chambon, quasi in cima, quando ai suoi occhi apparve un gruppo di camosci. Brucavano l’erba secca, quella fine che cresceva in mezzo alle rocce e usciva dalla neve gelata. Rimase stupito, in quel gruppetto di maschi vi era il suo camoscio bianco. Subito non se n’era accorto, bianco com’era. Sapeva di poter sparare ai camosci poiché la quota non era ancora stata raggiunta. Sarebbe tornato con il suo camoscio bianco e tutti l’avrebbero celebrato come il più grande cacciatore della valle. I camosci brucavano tranquilli. Era a qualche centinaia di metri accquattato dietro ad un roccione, prese la mira, la croce del cannocchiale del fucile inquadrava il petto dell’animale.Come era bello. Ora una macchia di sangue avrebbe tinto di rosso pure la neve, immacolata. Il dito sul grilletto era contratto pronto allo sparo ma qualcosa lo fermò. Per la prima volta nella sua vita una voce gli parlò e gli disse di lasciarlo vivere. Di lasciarlo libero su quelle montagne. Un momento, poi una nebbia giocherellona coprì i camosci.
Da allora Fernand non andò più a caccia ne vide più il suo camoscio bianco. Ora è il più grande fotografo di animali della valle.
commenta