Perché una lingua muore o si estingue (no non è la stessa cosa ora lo sappiamo)? Chi o cosa uccide le lingue?
Come sempre è importante ricordare che le lingue non sono organismi biologici, quindi si tratta di un concetto figurato. Inoltre bisogna ricordare che tutti i fattori che determinano il fiorire o la decadenza di una lingua si riferiscono alla comunità che di quella lingua si serve, e non alla lingua stessa.
Generalizzando e semplificando una lingua è morta quando non è più soggetta ad alcuna evoluzione linguistica, non viene più parlata da nessuna comunità, non viene più usata da nessun parlante.
Tale processo di diminuzione di competenza linguistica può riguardare qualsiasi idioma: lingue nazionali, lingue tetto ma anche soprattutto i cosiddetti “dialetti”.
La causa più brutale ed eccezionale è senza dubbio il “Linguicidio”: è un termine poco usato che descrive l'induzione volontaria dell'estinzione di una lingua. Forse l'esempio storico più vasto fu la distruzione delle lingue native americane nella colonizzazione spagnola delle Americhe
Tra le molteplici cause di decesso più “consuete”, certamente la più drastica, e fortunatamente decisamente rara, è la morte fisica improvvisa: un evento catastrofico, come una guerra, un genocidio, una grave calamità naturala o una pandemia, causa la morte di tutti i parlanti. Per esempio nel 1815 l’eruzione di un vulcano falcidiò gli ultimi parlanti della lingua “tambura” in Indonesia. Benché si tratti di casi certamente straordinari, di questi tempi forse occorrerebbe una riflessione su un caso così ipotetico, ma così attuale oggi: la pandemia che stiamo vivendo che effetti potrebbe avere sulle nostre lingue di minoranza storica? Potrebbe arrivare fino alla morte fisica improvvisa?
Al di là di simili lugubri pensieri, tuttavia, il Killer più letale e più efficiente, la causa più comune e più frequente è il bilinguismo: una comunità di locutori diventa bilingue, parla e usa correttamente e indifferentemente con pari competenza due lingue. Gradualmente, però, la comunità linguistica inizia a utilizzare, per varie ragioni, con maggior frequenza ed efficacia la seconda rispetto alla prima (originaria), ma mano diventa sempre più fedele alla seconda, relegando la prima a contesti sempre più marginali, fino a che l’intera comunità cessa di utilizzare la prima lingua. Naturalmente tale processo di assimilazione può essere volontario o forzato, consapevole o meno: i locutori di alcune lingue (specialmente regionali o minoritarie) possono “decidere” di abbandonarle per motivi economici o utilitaristici, in favore di lingue che essi stessi considerano più utili o prestigiose.
Solitamente non si tratta di un evento improvviso e traumatico. Al contrario è un processo lento, apparentemente insignificante, spesso poco consapevole, in cui ciascuna generazione impara sempre meno delle sottigliezze della lingua, finché, quando va bene, questa resta solo nella poesia e nella canzone. Spesso capita, quindi, che gli adulti di una famiglia parlino una lingua nativa più antica, ma quando hanno figli, non la trasmettano più, perché “inutile” se non addirittura “nociva” rispetto alla cultura dominante. Perciò la lingua muore in quella famiglia e in tutte le famiglie come quella, e, infine, nell’intera comunità. Sono certa che in molti abbiamo ben presente diversi esempi di una situazione simile: è il caso di molte lingue parlate in Italia, diverse dall’italiano e marchiate come “dialetti”, quindi rozze e svantaggiose, perciò non più degne di essere trasmesse alle nuove generazioni, se non in modo limitato e insufficiente.
Naturalmente vi sono molte altre cause di morte, come l’estinzione graduale, l’estinzione dall'alto verso il basso (top-to-bottom) o ancora l’estinzione radicale o per evoluzione in una lingua nuova e diversa. Tuttavia la causa che più spaventa e mette in pericolo la vita delle nostre lingue di minoranza è proprio riconducibile al bilinguismo in una situazione “bottom-to-top” che, come abbiamo visto, parte dal basso, dalle persone, dalle famiglie.
Quindi l’unico modo per invertire la tendenza, per allontanare l’assassino, è partire dalle persone, dalle famiglie, è utilizzare le lingue in un vero e completo bilinguismo: non relegare le lingue di minoranza ad un uso strettamente affettivo e colloquiale, composto di qualche frase fatta o modo di dire, ma utilizzarle realmente nel quotidiano scambio all’interno della comunità (anche a livello alto) senza dimenticare che il primo luogo di trasmissione linguistica è proprio il singolo, la famiglia. Perciò i primi responsabili della morte o della vita delle nostre lingue siamo noi, noi nei confronti dei nostri nipoti e figli. La vita delle nostre lingue è nelle nostre mani, meglio sulle nostre bocche. A noi la scelta.
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