Da circa trent’anni l’occidente (e il mondo) sta assistendo alla rinascita di un paese che per secoli aveva sembrato voler dimenticare. Questo paese è la Cina, antica potenza e impero millenario, che pareva essere rimasto, se non certo ai margini della storia, (“quella che conta”, come direbbe qualcuno), confinato al ruolo di potenza regionale, e che invece nell’ultimo secolo è creciuto a tal punto da minacciare la supremazia occidentale (leggasi USA).
La culla della cività cinese fu il Fiume Giallo, all’incirca nello stesso periodo delle civiltà mesopotamiche e nilotiche nel secondo millennio a.C. La cultura degli Han (nome dell’etnia all’origine del popolo cinese), si diffuse gradualmente, assimilando le etnie a lei prossime. La dinastia Qin (da cui deriva il nome Cina) e poi la dinastia Han diedero un’unità al sentimento di appartenenza comune e crearono una Cina imperiale unita. Fu durante questo periodo che si delineò quel reticolo di itinerari terrestri, marittimi e fluviali lungo i quali per molto tempo si sviluppò il commercio fra l’impero cinese e quello romano che oggi tutti conosciamo come Via della Seta. Nel XIV secolo, la dinastia Yuan, il cui fondatore fu Kublai Kan, l’imperatore alla cui corte fu ospite Marco Polo, dominerà il più vasto impero del suo tempo.
Una storia esemplare di come la Cina si sentisse, e fosse, un impero è contenuta nel volume di Paul Strathern “Storia del mondo in dieci imperi”. Si legge nell’introduzione: “All’alba del XV secolo, la Cina era, per certi versi, la civiltà più avanzata del mondo. Era la terra di cui, qualche tempo prima, Marco polo aveva decantato le meraviglie in Europa. Nel 1405 Zhu Di, meglio noto come Yongle, terzo imperatore della dinastia Ming, ordinò all’ammiraglio Zheng He di partire dalla Cina con la sua flotta per esplorare «gli oceani del pianeta»... La flotta annoverava più di trecento grandi giunche di legno a vela progettate per la navigazione oceanica e governate da oltre 28 000 uomini; la nave del tesoro appartenuta all’ammiraglio, di cui oggi è visibile una riproduzione a Nanchino, era lunga 137 metri. Per oltre quattro secoli, i mari del globo non avrebbero visto flotte comparabili a quella di Zheng He, fino alla Prima guerra mondiale”. La flotta dell’imperatore, in sei spedizioni, giunse nell’Indo-Pacifico, navigò dall’India al Golfo Persico, fino all’Africa. Nel settimo viaggio di Zheng He, leggendario e dal quale non avrebbe più fatto ritorno, sarebbero avvenute imprese strabilianti, dalla scoperta dell’Australia e dell’America alla navigazione attraverso il Passaggio a Nordovest. Conclude l’autore: “Negli anni che seguirono la morte dell’ammiraglio Zheng, avvenuta in India nel 1433, a corte avevano preso il potere nuovi ministri confuciani che «erano ostili al commercio e... a ogni cosa proveniente dall’estero». Fu emanata una serie di decreti (interdizione marittima) che vietavano alle navi cinesi di far vela verso paesi stranieri. Le documentazioni ufficiali dei viaggi di Zheng He furono distrutte e la flotta imperiale venne confinata in porto, dove presto cadde in disuso... Questi decreti ebbero come conseguenza indesiderata l’isolamento della Cina dal mondo. La civiltà Ming, un tempo progressista e aperta, iniziò a fossilizzarsi e «una delle principali epoche di buongoverno, ordine e stabilità sociale della storia umana» sprofondò nel declino”. Così la cina, da ambiziosa potenza di mare, si rifugiò sulla terra e in sé stessa, fattore avrebbe influenzato alquanto il suo avvenire. Nel 1912 l’ultimo imperatore abdicò e venne fondata la Repubblica di Cina, alla quale è seguita, dopo la “grande rivoluzione culturale” di Mao Zedong, nel 1949, la Repubblica Popolare Cinese, fino all’attuale presidente Xi Jinping.
Oggi la Cina sta cercando di ritrovare il suo passato di grande potenza. Per fare questo, oltre all’evidente progresso economico, scientifico, tecnologico e militare, un altro aspetto fondamentale è la pedagogia nazionale. Spiega Giorgio Cuscito, esperto in geopolitica e collaboratore della rivista Limes: “Oggi il governo cinese ha chiarissima l’idea, il piano con cui forgiare la propria identità nazionale e lo declina in tantissimi modi. Lo scopo finale è il cosiddetto “risorgimento della nazione”, formula ufficiale utilizzata da Pechino per stabilire quello che è il progetto di ritorno della Cina al ruolo di potenza. Poiché la Cina si sente un impero. Concezione presente anche nel nome: Cina viene da Chung Quo, significa “impero del centro”. Per fare questo Pechino ha bisogno di una popolazione fedele, cioè che creda nei dettami del Partito Comunista... Ha poi bisogno di una popolazione giovane, entusiasta e fiduciosa nel futuro... Nella pedagogia cinese si identificano questi tre elementi fondamentali: il mito, la predestinazione e il trauma. Riguardo al mito, la pedagogia cinese vuole che gli abitanti della Repubblica Popolare siano di etnia Han, e quindi eredi in qualche modo di questa dinastia, una delle più grandi della storia cinese... Andando a ritroso si giunge all’Imperatore Giallo, uno dei sovrani mitologici che hanno fornito ai cinesi i principali fondamenti. Quindi i cinesi sono tali perché sono di etnia Han e quindi figli del Dragone, dell’Imperatore Giallo. Riguardo alla predestinazione, essa è legata al ruolo che un tempo aveva la Cina, che si percepiva centro del mondo, non come centro geografico, ma come centro culturale. La Cina si sentiva una civiltà superiore al resto del mondo dal punto di vista morale, culturale, al punto che non sentiva neanche l’esigenza di cartografare i propri confini, perché l’impero era il mondo, il resto erano “barbari”... cartografare i confini avrebbe significato limitare la portata dell’impero. Riguardo al trauma, esso è più recente. Quando a cavallo fra il 1800 e il 1900 i cinesi capiscono di non essere più al centro del mondo, lo capiscono perché subiscono l’invasione da parte delle altre potenze straniere... C’è un nesso molto forte fra il trauma di aver perso il mandato celeste e la necessità di ricuperarlo”. Quando si hanno le idee chiare...
In quest’ottica di ritorno a potenza globale, che vista dal lontano l’Occidente suona così terribilmente vicina (se si pensa a quanti nostri stati, non ultima la Francia, hanno coltivato tali miti), la Cina sta cercando di diventare una potenza marittima, estendere la propria influenza economica e politica e mantenersi unita. Molti sono i problemi che il paese deve affrontare al suo interno, alcuni dei quali nodali: il divario di ricchezza fra la costa e l’interno; il divario etnico e culturale fra il centro e la periferia, dove vivono etnie con usi e costumi molto diversi dal nucleo del paese, compreso grosso modo fra le città di Pechino, Shanghai, Guangdong e Yunnan; il problema di Hong Kong e di Taiwan. Il governo sa che nel futuro, almeno fino al 2049, centenario della Repubblica Popolare Cinese, anno fino al quale giungono per ora le previsioni ed i progetti dei governanti, dovrà affrontare grandi sfide, sia all’interno che dal punto di vista estero. Cercando di assicurarsi la fedeltà delle minoranze che abitano le parti periferiche del paese, poiché le periferie servono come cuscinetto a protezione del nucleo Han, il governo cerca di assimilarle, imponendo l’apprendimento delle tradizioni, della lingua Han (il cinese mandarino) e della storia nel modo che giudica corretto.
Ad oggi, la popolazione della Cina è costituita per il 90 per cento da cinesi han, mentre il rimanente 10 per cento è formato da minoranze. In ogni caso, la Cina è talmente popolosa che solo gli uiguri, popolo turcico musulmano, ammontano a oltre 11 milioni di persone. Purtroppo per gli uiguri, Urumqui, capitale dello Xinjiang, regione in cui abitano e perciò di etnia turca e a maggioranza musulmana, è una delle città designate come snodo in territorio cinese della Nuova Via sella Seta, progetto economico, ma non solo, che il paese ha intrapreso da ormai qualche tempo e che dovrebbe aiutare la Cina ad espandere la propria influenza in Europa e nel mondo. In particolare, Urumqui fa parte della cosiddetta Via della Seta Terrestre, che attraverso l’Asia giunge fino alla Spagna. Altri percorsi sono la Via Marittima, che costeggiando l’Asia Orientale e Meridionale giunge al Mar Mediterraneo attraverso il canale di Suez, e il corridoio economico Cina-Pakistan, che dalla città di Kashgar, sempre nella regione dello Xingjang, giunge al porto di Gwada, dal quale si collega con la Via Marittima.
La minoranza uigura, come le altre presenti in Cina, si troverà di fronte alla grande sfida di riuscire a conservare la sua identità. Il problema, tuttavia, è più grande. Se è vero che molte comunità e popoli hanno da sempre minacciato la libertà altrui cercando di imporre la propria volontà, che la Via della Seta è molto antica (Urumqui ne è stata sempre stata un importante luogo di passaggio), che la Cina comunque si sente minacciata dall’egemonia americana e dagli stati che le sono ostili nel proprio continente, come l’India, la Thailandia, o la Corea del Sud, la filosofia che si è data questo paese a lungo termine potrebbe essere così pervasiva da rivelarsi infine “inadeguata” alle esigenze di convivenza fra le comunità umane, non solo nello Xingjang, ma nel mondo intero.
Perseguendo l’obiettivo di divenire una potenza marittima, di estendere la propria influenza attraverso l’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta e attuando una “adeguata” pedagogia nazionale, dopo il secolo americano (e forse scampiamo il prossimo, quello nuovo), esemplare, la Cina pensa forse di giungere all’era di un nuovo Impero Celeste? Possibile che ci debba sempre essere il secolo o l’epoca di qualcuno? Eppure un antico detto di Confucio dice, a chiare lettere, “Quello che non vuoi che venga fatto a te stesso, non farlo agli altri”. Non c’è dubbio, Confucio aveva ragione. Chissà se i cinesi sapranno ascoltarlo.
commenta