L’infanzia e la fanciullezza nelle comunità dei tempi passati: la nascita, l’alimentazione e l’abbigliamento; le malattie infantili, l’inserimento del bambino nella comunità familiare, la sua partecipazione ai riti e alle festività; le attività scolastiche, di lavoro e ludiche del fanciullo e della fanciulla…. Il tutto rivissuto grazie a tradizioni, documentazioni e ricordi.
Pluriclassi II e III, IV e V
Persone intervistate:
-
Esterina Nurisso, nata a Gravere, di anni 71, ex operaia, residente a Gravere
-
Maria Tonietto, nata a Gravere, di anni 79, casalinga, residente a Gravere
-
Maria Caterina Pellissero, nata a Meana, di anni 78, ex operaia, residente a Gravere
Il giorno 17 aprile 1991 nella scuola di Gravere è venuta una signora di nome Esterina, che ci ha parlato di come curavano le malattie di una volta.
Ella ci ha detto che le malattie le curavano con le erbe e prodotti naturali, per me le erbe e i prodotti naturali fanno più bene e più effetto che i farmaci.
Tutte quelle malattie e rimedi naturali di cui ci ha parlato Esterina, li abbiamo registrati.
Mentre la maestra registrava siamo stati fermi ed attenti perché tutto ciò che Esterina ha detto non lo troviamo sui libri, perciò è stato molto interessante.
Lo scopo di questa ricerca è di sapere come si curavano le malattie di una volta e recuperare una cultura solo orale facendo in modo che non vada persa.
(Davide Gallina)
….Esterina era felice di raccontarci tutte queste cose e noi eravamo attenti e silenziosi, perché molte cose non le sapevamo e quindi, è stato molto interessante stare ad ascoltare.
(Luca Bonino)
…Esterina abita a Gravere e noi tutti la conosciamo: è anziana! È venuta per parlarci delle malattie dei bambini da 0 a 10 anni. Si è spiegata molto bene ed è stata chiara.
(Paola Di Pentima)
Siamo stati molto interessati alle informazioni sull’argomento che alcuni nostri compagni, che hanno i nonni di Gravere, ci hanno fornito.
(Fabio Romanelli)
La maestra ci ha portato delle cassette da registratore contenenti le interviste fatte da lei ad alcune persone anziane che abitano a Meana ed a Foresto.
(Lucia Di Nuzzo)
I neonati venivano lavati nel vino considerato irrobustente e disinfettante.
-
MUGHETTO (in dialetto RISELA)
Termine popolare per definire l’afta, ci viene raccontato che un rimedio per curare questa malattia che colpisce il cavo orale dei lattanti consisteva nel preparare uno sciroppo a base di miele e petali di rosa bianca; il miele veniva fatto scaldare e sciogliere e quindi vi si aggiungeva una manciata di petali; si filtrava e con una garza avvolta intorno all’indice si cercava di pulire la lingua ed il palato del neonato.
Un altro provvedimento poteva essere costituito dalla tintura di iodio, che sempre con lo stesso metodo veniva usata per pulire la bocca del lattante. In seguito a questo trattamento spesso la bocca del piccino sanguinava, questo era comunque considerato un male necessario alla soluzione del problema del mughetto.
(Gravere)
-
LA CROSTA LATTEA (in dialetto RUFA o CRUTE)
Malattia della pelle dei neonati che si manifesta sotto forma di crosticine. La credenza popolare la riteneva dovuta ad una intolleranza al latte.
Anticamente la curavano ammorbidendola con olio d’oliva e grattandola con pettinini dai denti molto fitti. Alcuni mettevano invece foglie di edera sotto la cuffia del neonato. Le croste potevano essere anche unte con la panna del latte.
(Meana)
-
ARROSSAMENTI DELLA PELLE (in dialetto ROUSS)
Venivano curati con olio di iberico; si raccoglievano i fiorellini di iberico e si mettevano in infusione nell’olio di oliva che così diventava rosso. Il fiore non doveva essere lavato e doveva essere raccolto lontano da strade polverose. Questo unguento poteva anche essere usato per ungere le ascelle e le pieghino della pelle dei neonati grassocci che più facilmente in queste zone si irritavano. Poteva essere usato anche per scottature e tagli come antinfiammatorio.
(Meana- Gravere)
-
ECZEMA DEI BAMBINI
Una ricetta antica per curare questa malattia della pelle consisteva nel preparare un unguento con una cera vergine midollo di sambuco e midollo di bue.
Un altro rimedio poteva essere costituito da radici di bardana sminuzzate e messe sopra la zona malata quindi coperta con tela di canapa.
(Foresto)
-
IRRITABILIA’
Se il bambino era agitato o soffriva di insonnia un calmante poteva essere preparato con un decotto di basilico che sicuramente lo induceva alla tranquillità; se il bimbo era molto piccolo lo si poteva immergere in un bagno di acqua e tiglio.
(Gravere-Meana)
-
TOSSE
Per la tosse molte erano le piante che potevano essere usate per infusi o decotti: il tiglio, le violette, le foglie di edera (quella dalle bacche nere) come calmanti. In caso di bronchiti con catarro un ottimo espettorante poteva essere preparato con i fiori di fanfara (in dialetto ounglasse). Anche le foglie di rovo potevano essere usate per curare i catarri che causavano raucedine.
La pertosse poteva essere curata con uno sciroppo a base di rape: queste venivano tagliate a fette e messe a macerare con lo zucchero, in pochi giorni si formava un liquido sciropposo.
(Gravere)
-
MAL DI ORECCHI
Il mal di orecchi poteva essere lenito con olio, camomilla e lauro bolliti affinché la foglia di quest’ultimo diventava nera ed introdotti in piccola quantità, con l’uso di un bastoncino con il cotone, nel condotto uditivo. Il mal d’orecchi veniva curato anche spruzzando nel condotto uditivo latte materno.
(Gravere- Meana)
Un altro rimedio consisteva nel far bruciare semi di finocchio raccogliendone i vapori con un cartoccio a forma conica per convogliarli nell’orecchio.
(Foresto)
-
MAL DI DENTI
Il mal di denti dovuto a piccole carie veniva curato con l’introduzione nel buchino di un chiodo di garofano oppure introducendo un piccolissimo pezzo di cotone imbevuto di grappa. Alcuni sostengono che anche un pezzettino d’aglio avesse effetto anestetico.
(Gravere)
Il mal di denti poteva essere curato con papin di “busa” di vacca (escrementi di vacca)
(Meana)
-
VERMI
Non era conosciuto il problema dell’acetone ma tale alterazione era imputata ai “vermi”. I genitori ne conoscevano la presenza dal caratteristico odore di mele marce dell’alito del bambino o da un particolare modo di accartocciarsi delle palpebre.
Il male veniva curato con coroncine di spicchi di aglio che venivano fatte portare come collane attorno al collo. Oppure con i famosi “stumiet” preparati con incenso di Chiesa e grappa, posati su filacce di canapa coltivata dalle nostre parti. Tali “papin” venivano posati sul petto del bimbo ed in teoria avrebbero dovuto attaccarvisi qualora ci fossero stati i vermi; si sarebbero naturalmente staccati da soli quando i vermi fossero morti.
Di solito lo “stumiet” rimaneva sul petto per una decina di giorni, in questo periodo quando esso si induriva lo si riimpregnava di grappa. I vermi morivano anche facendo bere al bambino una goccia ottenuta strizzando foglie di assenzio.
Altro rimedio erano i clisteri di acqua e miele; la credenza popolare diceva che il dolce avrebbe fatto scendere lungo l’intestino i parassiti.
(Gravere)
Per cacciare i vermi era possibile anche a distanza “meisinè le boie” (letteralmente medicalizzare i vermi); lo si faceva mettendo dell’acqua in una scodella insieme a fili di lana tagliati; si diceva una formula (che non è possibile reperire poiché chi la conosce ne è geloso e la tramanda a persona fidata in fin di vita) pensando al malato, dopo di che i fili immersi nell’acqua si contorcevano. La persona era guarita dai vermi quando i fili si fossero districati).
(Foresto)
Alcuni sostenevano che i vermi potevano essere debellati facendo bere al bambino un cucchiaio di petrolio.
(Sauze d’Oulx)
-
SPINE
Per estrarre le spine si poteva spalmare la resina di larice chiamata in dialetto “pegolla”; essa veniva raccolta soprattutto durante il taglio delle piante.
Per estrarre le spine conficcate nei posti meno accessibili (sotto le unghie) si usava avvolgere il dito con una foglia di rovo girata dalla parte della pagina inferiore, si lasciava tutta la notte fissata con una benda se si notava che la foglia di rovo aveva la proprietà di attirare la spina. Al mattino era sufficiente premere un po’ il polpastrello del dito e la spina fuoriusciva. Lo stesso trattamento poteva essere fatto usando pane e latte.
(Meana)
un altro metodo per far uscire le spine era costruito dal “caias”dei colombi (guano dei colombi) che si metteva sulla parte interessata e che aveva la proprietà di estrarre, tirar fuori.
Le spine fuori uscivano naturalmente avvolgendo la parte interessata con foglie di “plantas” (piantaggine) oppure di cavolo.
(Meana)
-
TRAUMI AL TORACE
I traumi al torace erano curati con il “bigioun”. Esso è un liquido appiccicoso secreto dall’abete bianco per difendersi dai parassiti. Lo si può recuperare poiché sulla corteccia dell’albero compaiono caratteristiche bolle, che, bucate, lasciano uscire una gocciolina di questo “bigoun”. Questa sostanza appiccicosa veniva applicata sulla parte dolente, ricoperta di tela e lasciata per diversi giorni. Oggi è severamente proibito recuperare questa secrezione poiché si danneggia la pianta. Per le ammaccature veniva usato un “papin” di lardo rancido e prezzemolo.
-
PROBLEMI INTESTINALI
Il mirtillo era un ottimo regolatore dell’intestino, soprattutto evitava il meteorismo, veniva dato ai bambini dopo una malattia, si credeva fosse anche un ricostituente della vista ed aiutasse a vedere meglio di notte.
La dissenteria (cagtta) si curava con bacche di rosa selvatica.
Se il bambino aveva mal di pancia il rimedio poteva essere questo: appoggiare sul ventre un foglio di carta da zucchero con il bianco dell’uovo sbattuto.
(Meana)
-
MALATTIE ESANTEMATICHE
Tutte le malattie esantematiche venivano curate tenendo il bambino al caldo.
La varicella causa prurito al momento delle crosticine: le manine del neonato venivano perciò coperte con pacchettini di tela legati ai polsi, soprattutto di notte, per evitare che grattandosi, facessero cadere le croste e rimanessero le cicatrici.
Quando il bambino aveva il morbillo (le risole) si mettevano panni rossi davanti a fonti di luce e addosso a lui perché si credeva che, in tal modo il rossore della malattia fuori-uscisse più facilmente.
(Meana)
-
IL RAFFREDDORE
Una volta curavano il raffreddore dei neonati raccogliendo in una cuffietta i vapori e il fumo dello zucchero bruciato; tale cuffietta veniva poi messa sul capo del bambino.
(Gravere)
Un altro rimedio al raffreddore era mettere qualche goccia di essenza di menta su qualche vecchia maglia di lana fatta poi scaldare su un tubo della stufa e quindi messa sul petto del bambino. Nella notte i vapori balsamici della menta gli avrebbero permesso di respirare più facilmente.
(Gravere – Meana)
Se il neonato veniva allattato al seno, il nasino chiuso veniva liberato spruzzandogli qualche goccia di latte materno.
Si potevano anche ungere le tempie ed il naso con il burro.
(Gravere)
-
STITICHEZZA
Per la stitichezza erano consigliati clisteri a base di olio d’oliva o sapone bianco di Marsiglia.
Noci di burro erano usate per la “brusarola” (bruciore dell’ano) dovuta al freddo preso sedendosi su pietre gelate. La “brusarola” era detta a Meana “brusavira”.
L’infiammazione intestinale era curata con bagni nell’acqua bollita con malva. Il sofferente si sedeva in questo liquido ed espelleva i metabolici tossici accumulati (a petava)
(Meana)
-
I PORRI E LE VERRUCHE (POURET)
Venivano curati con il latte che fuoriusciva dai fichi verdi, al momento della raccolta. Un altro liquido usato era la secrezione della celidonia in dialetto “sironia”
(Gravere)
Per eliminare i porri si usava legarli strettamente con un filo di seta in breve tempo il filo li avrebbe recisi e ciò senza alcun dolore.
Un’altra terapia contro i “pouret” consisteva nel gettare alle proprie spalle tanti chicchi di riso quanti erano i porri, cercando di centrare la concimaia. Questo era un gesto “magico” al quale si ricorreva poiché le verruche erano terribilmente restie a guarire.
(Sauze d’Oulx)
-
GELONI
Se il bambino aveva i geloni (tignole in dialetto) veniva fatto camminare sulla neve scalzo e quando rientrava lo si copriva con una coperta di lana scaldata perché facesse reazione cioè la bollita. I geloni si curavano anche con decotti di foglie di noce e con la cenere delle sigarette.
(Gravere)
-
LE FRATTURE
Le fratture venivano ingessate con bianco d’uovo montato a neve. Quando si sbendavano i piccoli pazienti venivano massaggiati con sapone e grappa o arnica e grappa.
(Meana)
-
POLMONITE
La polmonite veniva curata con le polentine che si mettevano sul petto per far sudare il bambino. Esse spesso provocavano ustioni. Dopo il settimo giorno si cominciava a sperare che il fanciullo sarebbe sopravvissuto.
(Meana)
Un rimedio contro la febbre alta della polmonite era costituito da successive immersioni del bambino in acqua gelida, quindi il malato veniva riscaldato con coperte di lana.
(Gravere)
In alta valle le polentine erano preparate con farina di lino, perché si credeva che il caldo umido fosse benefico.
(Sauze d’Oulx)
-
I PIDOCCHI
I pidocchi si eliminavano con frizioni di petrolio. La biancheria veniva bollita per eliminare le uova del parassita.
(Gravere – Meana – Foresto)
-
GLI ORZAIOLI
Gli orzaioli si curavano guardando in una bottiglia di olio con l’occhio malato.
(Meana)
-
EPILESSIA
L’epilessia veniva curata prendendo la polvere del fieno che rimaneva sotto i mucchi di fieno, lo si faceva scaldare e poi lo si metteva in una coperta dove di avvolgeva il malato. Dopo venti minuti lo si immergeva nell’acqua fredda perché facesse reazione.
(Meana)
-
MAL DI GOLA
Il mal di gola poteva venir curato avvolgendo attorno al collo calze sporche, o somministrando olio di ricino.
Un emolliente antinfiammatorio delle mucose della bocca e della gola era un decotto con il quale si facevano sciacqui e gargarismi.
(Meana)
-
CONGIUNTIVITE
Per la congiuntivite sera consigliabile umidificare l’occhio con la saliva del mattino.
(Gravere)
La polvere delle tarme era usata come talco per asciugare i bambini, anche se la segatura era terribilmente irritante.
(Meana)
-
EPISTASSI
Per fermare le emorragie nasali era consigliato fare lavaggi o applicare batuffoli di cotone imbevuti di un infuso di coda cavallina.
Per disinfettare le ferite un tempo si usava la pipì oppure l’acqua salata. Nelle infezioni erano anche usate le ragnatele.
-
FERITE
Per la cicatrizzazione delle ferite poteva essere usato con successo un infuso di isoppo.
La pipì era efficace anche contro la morsicatura delle api.
-
FARFARA (Tussilago fanfara)
È una pianta erbacea provvista di un rizoma coperto di scaglie e lungamente strisciante sul terreno anche fino a due metri. I fusti che portano i fiori si sviluppano prima delle foglie e sono rivestiti da un tomento bianco e da numerose foglioline trasformate in squamette ovali – oblunghe.
-
ASSENZIO ( Artemisia absithium)
È una pianta erbacea perenne con un rizoma legnoso ramificata dal quale si sviluppano le foglie basali in rosetta e i fusti fioriferi alti anche fino a 2 metri e variamente ramificati nella parte superiore, di colore bianco per la presenza di peli fitti e chiari.
ARNICA (Arnica montana)
È una pianta erbacea vivace con un rizoma obliquo o verticale, il fusto semplice o talvolta appena ramificato, è alto fino a 60 cm, tutta la pianta è coperta da peli e ghiandole.
-
LINO (Linum usitatissimum)
È una pianta erbacea totalmente glabra e normalmente annuale; alcune varietà sono biennali o perenni.
Le foglie sono alterne lungo il fusto. L’infiorescenza è un corimbo formato da pochi fiori portati da un lungo peduncolo; il calice è composto da 5 sepali, i 5 petali sono di colore azzurro.
-
LIQUIRIZIA (Glycyrrhiza glabra)
È una pianta perenne con un rizoma da cui si sviluppano stoloni lunghi fino a due metri e radici altrettanto lunghe. Rizoma e radici hanno la corteccia marrone e l’interno di colore giallo e di gusto dolce. I fusti, alti fino ad un metro, sono semplici o ramificati solo in alto.
-
CODA CAVALLINA (Equisetum arvense)
È una pianta erbacea perenne con un lungo rizoma sotterraneo dal quale sorgono i fusti fertili alti 15-30 cm semplici e senza rami, più tardi spuntano i fusti sterili che sono ramificati con numerosi rametti che partano da ciascun nodo e sono di colore verde.
-
ISOPPO (Hyssopus officinalis)
È una pianta perenne con la porzione basale significata dalla quale si sviluppano numerosi fusti eretti legnosi in basso ed erbacei in alto, a sezione quadrangolare e scarsamente pelosi.
-
ABETE BIANCO (Abies alba Miller)
È un grande albero sempreverde, a portamento piramidale, che può raggiungere i 40 – 50 metri; i rami sono disposti con molta regolarità in piani successivi.
-
IPERICO (Ipericum perforatum)
È una pianta erbacea vivace con un corto rizoma sotterraneo che produce numerosi fusti, alti fino a un metro, significati alla base e abbondantemente ramificati in alto. I fusti sono cilindrici, ma presentano due linee salienti per tutta la lunghezza.ù
-
SAMBUCO (Sambuco nigra)
È un arbusto o un piccolo albero alto alcuni metri; i rami giovani sono verdi, quelli degli anni precedenti hanno la corteccia bruno-cenere in cui spiccano le lenticelle prominenti. La parte centrale dei rami è formata da un midollo spugnoso bianco.
commenta