A quei tempi la gente che abitava questi valloni, per tenersi reciprocamente a debita distanza da borgate, boschi, affetti, ecc..., si faceva paura l'uno con l'altro. Venivano usati diversi trucchi quasi sempre celati al destinatario e sovente quando succedeva qualcosa di strano, solo apparentemente inspiegabile, si tiravano in ballo le masche, creature dispettose e maligne che impestavano boschi e casolari.
Ma le loro storie misteriose, non erano destinate a sopravvivere ai tempi moderni, infatti quando la gente ha finalmente avuto la pancia piena ed è arretrata la miseria, non le hanno più viste.
Il mito delle masche era dovuto alla grande ignoranza e alla grande miseria che in un tempo non molto lontano, qui dominavano.
La masca di Montorino
Il vallone che si apre dietro Brignola, piccola frazione di Roccavione, sale fino a lambire il territorio roaschino. Sul confine si trovano i tetti Rive e Chiotti, già appartenenti al comune di Roaschia.
Per tutta l'estate fino all'autunno qui, come dappertutto allora, era consuetudine per i giovani andare a ballare nelle stalle. Si passava da una stalla all'altra dove c'erano sempre dei suonatori con le fisarmoniche e la gente ballava e vegliava fino a tarda notte. I tetti Chiotti e Rive erano fra i luoghi preferiti perché c'erano molte belle ragazze.
Per un certo periodo sette ragazzi di Brignola, avevano preso l'abitudine di salire a ballare ai Chiotti, dove però c'erano solo sei ragazze, quindi uno di loro doveva sempre rimanere alla finestra.
Siccome quello che stava alla finestra era anche il più bello ed il più furbo un bel giorno, senza farsi accorgere prende una zucca, la scava in maniera da ottenere una figura tipo testa da morto e gli mette due lumini dentro. Poi va su a Montorino, la montagna che separa Brignola da Roaschia e l'appende ad un faggio in maniera che fosse ben visibile già da una certa distanza.
Come consuetudine, quella sera d'estate, i sette si mettono in cammino per andare a trovare le sei ragazze dei Chiotti ma, ad un certo punto una visione spettrale, eccola la è lei: "Oh Madonna! la masca! la masca!". Scappano tutti disperati meno che il nostro, che aveva elaborato il piano e che finalmente poteva andare a trovare quella ragazza dei Chiotti che gli piaceva tanto e ballare con lei per tutta la notte.
La masca Drola
Questa masca era davvero strana e imprevedibile, la chiamavano la masca drola non per niente.
Con le sue malefatte era particolarmente dispettosa e fetente.
Si dice che salisse sui balconi e sulle "lobie" delle case dove c'erano i panni stesi. Lì trovava mutande lunghe da uomo, camicie, gilè e vari indumenti e tessuti che si possono trovare stesi ad asciugare in una casa. Si divertiva a prendere le mutande da una "lobia" e le spostava su un'altra in maniera che il giorno dopo quando il marito se ne accorgeva era subito un litigio e lo sentiva gridare alla moglie: "Criste! Ci sono in giro le mutande di Toni!... Mi tradisci con Toni?!...", amava mettere zizzania fra le famiglie.
Ma non si limitava solo a quello, andava anche a succhiare il latte alle mucche. Capitava quasi sempre in piena notte e quando le si sentiva muggire, la gente correva nella stalla e, porca miseria, lei era lì attaccata che succhiava, ma non facevi in tempo a vederla bene che era già scappata via come il lampo. Il suo rifugio era il Limbo.
Il Limbo è un tetto di Roaschia, sotto la Colla, per il vallone che va verso le Goderie, lo chiamano così perché si dice sia l'ultimo tetto che il Signore abbia creato. Il sole non lo vedeva mai, incassato al fondo di una stretta gola. Lì, si dice che il Signore sia passato il settimo giorno in cui si riposò e aveva voglia di, come si dice, posare i pantaloni, poveraccio, e paf! Così era nato il Limbo, secondo la leggenda locale, un tetto che faceva paura solo a vederlo, eppure lì ci abitavano quattro o cinque famiglie.
Comunque sia, durante il giorno, la masca Drola si nascondeva al Limbo perché sapeva che lì nessuno sarebbe andato a cercarla. Ma la notte usciva e andava a combinare malefatte in giro. Smontava le ruote dai carri e le appendeva ai frassini, apriva le stalle e faceva uscire capre, pecore, mucche e soprattutto i porcellini d'India. Era consuetudine per ogni stalla averne almeno quindici, venti, trenta, si diceva che disinfettassero l'ambiente, ma cosa vuoi che facessero quelle bestiole e comunque si racconta che in una delle sue malefatte, una sera aveva aperto un portico e che questi porcellini d'India hanno iniziato ad uscire uno dietro l'altro tutti in fila, ne ha contati fino a 333 poi si è stufata e ce n'era ancora che uscivano.
Un'altra cosa che la divertiva era aprire i sacchi della segale, prenderne i chicchi e spargerli ovunque, ad ogni passo che faceva mollava una grana per sapere dove era passata.
Il "casòt" della mola
Al "casòt" della mola si davano appuntamento le masche.
Sette masche del vallone, erano sette settimine, nate di sette mesi. Di giorno erano ragazze normali e la gente andava dalla settimina per farsi curare i vermi, l'orzaiolo, una bruciatura, il fuoco di Sant Antonio e tutti quei malanni piccoli e grandi che di tanto in tanto affliggevano la vita di tutti i giorni.
Di sera, alle nove, si radunavano tutte insieme al "casòt" della mola e qui facevano festa. Indossavano un vestito lungo con dei bottoni argentati. Quando la luna passava Montorino, andando verso Roaschia, quei bottoni si illuminavano e la gente dei tetti, che da lontano li intravedeva, diceva: "Guardate lassù! Guardate Lassù! Le masche...". Si vedevano come dei lumini accesi che ondeggiavano fra i boschi, sembravano i fuochi fatui dei cimiteri. La gente aveva paura.
Una sera queste sette masche avevano invitato sette ragazzi del vallone a mangiare cena. I sette accettano l'invito e portano da bere e tutto il resto. Giunti al casot, hanno messo un barilotto di barbera in mezzo, hanno ammazzato una capra vecchia e hanno mangiato cena. Poi hanno iniziato a suonare la fisarmonica e il clarino e fra una danza e un racconto, dopo mezz'ora queste sette donne sono diventate sette gatti neri.
Questi gatti hanno iniziato ad infastidire i ragazzi finché Toni, uno di loro, ad un certo punto sbotta in una bestemmia, si gira verso uno dei gatti e grida: "Hai finito di rompermi le scatole!", prende un bastone dalla baracca delle fascine e gli sferra una bella bastonata. Il giorno dopo Guitin aveva il braccio rotto.
Il prete
Un tempo la gente aveva timore dei preti. C'era un detto che diceva: "i carabinieri con i fermi ed i preti con gli infermi ti fan veder l'inferno."
Una sera, uscito dall'osteria piuttosto allegro, mio nonno stava venendo su in bicicletta.
Era alla "barma" appena prima di Brignola quando ad un tratto vede rotolare giù dal fianco della montagna sopra di lui una palla di fuoco accesa. Sembrava un ginepro infuocato.
Questa gli piomba proprio dietro alla bicicletta e continua a rotolare verso di lui. Mio nonno preso dall'affanno si mette a pedalare a più non posso, ma pedala e pedala la palla continuava a seguirlo, quasi lo stava per raggiungere. Ad un certo punto, rendendosi conto che non gli sarebbe sfuggito, si ferma e si gira di brutto imprecando. Era proprio uno di quei cristiani che chiamava il Cristo trentamila volte al giorno, come quando martellava la falce e si schiacciava un'unghia, lo chiamava subito e se non bastava chiamava anche sua madre, comunque ad un certo punto si gira verso la palla di fuoco e con tutto il fiato che aveva in gola le grida: "hai finito di rompermi le balle!" e gli molla un bel calcio.
Un botto e tutto d'un tratto il ginepro di fuoco sparisce nel nulla.
Il giorno dopo il parroco di Roccavione aveva il braccio al collo.
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