In occasione della Giornata delle lingue minoritarie che si terrà a Oulx il prossimo 5 ottobre, nell'ambito dei festeggiamenti della tradizionale Fiera Franca, presso l'auditorium dell'Istituto Scolastico Des Ambrois, sarà presentato il lavoro di Riccardo Colturi “Moun paî, ma lëngo e ma gen / Il mio paese la mia lingua e la mia gente” con prefazione di Matteo Rivoira.
Si tratta di una raccolta di poesie del vate di Fenils, frazione di Cesana Torinese, pubblicata da Chambra d'Oc, che cura i Progetti promossi dalla Città Metropolitana finanziati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nell’ambito dei programmi degli interventi previsti dalla Legge 482/99: “Norme a tutela delle minoranze linguistiche storiche”, coordinato dall’Assessorato alla cultura della Regione Piemonte.
Protagonista principale del ciclo di poesie composte da Riccardo Colturi in lingua occitana è il borgo di Fenils, Finioou, villaggio dell’alta Valle della Dora, col suo campanile e il suo orizzonte racchiuso tra il Fraiteve e lo Chaberton. A chi vive, o ha vissuto, i tempi lenti della montagna non sarà difficile ritrovare nella descrizione del ciclico mutare dell’ambiente, o del manifestarsi del sole, del vento e della nebbia, altrettante epifanie della bellezza della natura.
Nei suoi versi, il poeta dell'Alta Valle della Dora canta la bellezza della montagna che reca traccia della vita di un tempo, del lento e sofferto lavorio dell’uomo per trarne di che vivere. Colturi è nell’intimo un contadino montanaro, ultimo di un lignaggio di uomini e donne che con amore e volontà, come descritto nella poesia Clapìe, hanno compiuto, uno dopo l’altro, l’antico gesto di levare la pietra dal prato per non rovinare la falce al prossimo sfalcio. Ma al contempo Colturi è anche il primo di una nuova generazione di montanari, che ha imparato ad apprezzare la montagna guardandola con occhi nuovi. La bianca distesa di neve è per lui, che è stato maestro di sci, anche invito a scivolare veloce e leggero sul manto immacolato, come ci spiega attraverso i versi di Foŕë pisto (Fuori pista).
Nelle poesie appare lo scontro tra due mondi diversi, dove all’uno, quello della montagna tradizionale, è toccato soccombere di fronte al modello di sviluppo orientato su modelli cittadini. Pur non avendo dovuto abbandonare la valle, Colturi vive anche lui la frattura tra il mondo di “prima” e quello di “adesso”.
La lingua occitana, come dice Matteo Rivoira dell'Università di Torino, che ne ha curato la presentazione, «diventa il veicolo per ristabilire un legame con quel mondo. I versi semplici di Colturi restituiscono la parlata dell’Alta Dora – alla quale egli ha dedicato tempo e amore – in modo autentico, senza purismi e senza farsi trasportare dal gusto per la parola ricercata. Temi e immagini sono commisurati a questa lingua, così perfetta e completa nel nominare l’ambiente e così parca nel dar voce ai sentimenti. Leggerli è farsi accompagnare in quell’angolo di mondo che il tempo lento e ciclico espande a dismisura ed è un invito a soffermarsi sulle piccole cose, per alcuni fortunati quotidiane, scoprendovi i ritmi essenziali della bellezza e della vita».
Riccardo Colturi, classe 1939, vive in Alta Valle della Dora a Fenils, Frazione di Cesana Torinese, collabora alla pubblicazione de I mulini cantavano (1994), Il latte non esce dalle corna (1997) e Toponimi del territorio di Fenils nell'antica parlata (2004) curati dall’Associazione Lë Clouchìe ëd lâ sin Bourjâ. Pubblica alcuni articoli sulle tradizioni locali per le riviste Valados Usitanos, La Valaddo e Piemontèis Ancheuj. Maestro di sci e poeta contadino, Colturi canta il suo paese, la sua terra e la sua gente in questa raccolta di poesie che ricopre l’arco temporale dal 1981 al 2019. Con le poesie Patouà e L'aiglo vince il primo premio del concorso letterario di Dolceacqua, rispettivamente nel 2011 e nel 2018.
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