Indice.
1-La grafia mistraliana e la grafia dell'I.E.O.nell'Occitania d'oltralpe.
2-La grafia mistraliana nella valli occitane.
3-La grafia dell'Escolo dóu Po o concordata.
4-La grafia semifonetica o fontaniana.
6-La grafia normalizzata o classica.
Il presente lavoro ha lo scopo di orientare il lettore nella consultazione dei testi in lingua occitana archiviati nel Tresór de lenga-Corpus Testuale; si presenteranno i principali sistemi ortografici adottati dagli autori delle valli a partire dagli anni Sessanta fino ad oggi, facendo principalmente riferimento alle pubblicazioni archiviate nel Corpus e con particolare attenzione ai principi fondamentali che distinguono le grafie l'una dall'altra.
Le grafie principalmente adottate sono: la mistraliana, l'Escolo dóu Po (cosiddetta concordata) , la normalizzata (cosiddetta classica) e la semifonetica (detta anche fontaniana). Le grafie che non rientrano in queste categorie sono state definite "personali".
Si è scelto di scrivere nel Corpus Testuale "Escolo dóu Po", adottando la grafia mistraliana (mentre nella grafia concordata sarebbe "Escolo doou Po"), perché l'associazione omonima nata nel 1961 adottò inizialmente questa grafia, battezzandosi appunto con il nome scritto nella grafia del Felibrige d'oltralpe al quale si affiliò al momento della nascita.
Per normalizzata, si intende la grafia dell'I.E.O.proposta nel 1974 da Franco Bronzat su "Lou Soulestrelh", ma dopo il 2008 quella elaborata dalla Commissione Internazionale per la Normalizzazione Linguistica dell'Occitano Alpino, che consiste in un adattamento della grafia classica alla variante dell'occitano cisalpino.
Chi volesse approfondire lo studio delle grafie adottate di volta in volta dagli autori può consultare la "Guida alla lettura" che è stata inserita nella pagina iniziale di ogni pubblicazione del Corpus Testuale. Il lettore tenga comunque sempre presente che gli errori e le incongruenze nei testi sono molti e, nonostante l'intenzione dichiarata di seguire un determinato sistema ortografico, spesso l'ortografia risulta incoerente o altre volte l'autore apporta dei cambiamenti personali al sistema di riferimento.
Prima di addentrarci nell'Occitania italiana, occorre però dare un rapido sguardo all'Occitania francese, perché è qui che sono state codificate le grafie che saranno alla base dei sistemi di scrittura elaborati sul versante italiano.
1-La grafia mistraliana e la grafia dell'I.E.O.nell'Occitania d'oltralpe.
La grafia mistraliana nacque nel contesto del Felibrige, il movimento provenzalista sorto in Francia a metà dell'Ottocento (per approfondimenti si veda: Memoria storica dei movimenti, della lingua e della letteratura occitana delle valli).
Essa è detta "mistraliana" perché fu adottata nelle opere di Frédéric Mistral (1830-1014), ed in particolare nel poema in versi Mirèio, che gli valse il Nobel per la Letteratura nel 1904, e nel dizionario Lou Trésor dóu Felibrige, ou Dictionnaire Provençal-Français. Tuttavia, Mistral ebbe inizialmente molti dubbi sull'adozione di questo sistema ortografico ideato e caldeggiato da Joseph Roumanille, suo insegnante ed editore; le sue perplessità si possono leggere in alcune lettere scritte tra il 1950 ed il 1953 dal poeta al più anziano felibro, in cui egli propendeva per una grafia etimologica ("Conformons-nous, autant qu'il est possible, à la logique et à l'étymologie afin d'être compréhensibles (...) Si tous nos troubadours écrivaient leur composition d'après le dialecte de leur village, ce serait Babel", lettera del 21 dicembre 1850), sull'esempio di quella che Simon-Jude Honnorat (1783-1852) aveva adottato nel Dictionnaire Provencal-Français ou dictionnaire de la langue d’Oc ancienne et moderne nel 1846-1847 (lettera del 9 gennaio 1952), e rinnegava la grafia promossa dal Felbrige e da lui stesso ("si vous saviez combien ridicule me paraît notre orthographe" e poco dopo la chiama "notre détestable orthographe", 9 gennaio 1852) (1).
La grafia cosiddetta, forse impropriamente, "mistraliana", è di tipo fonematico, in quanto si basa sul seguente principio: "n'écrire aucune lettre qui ne se prononçât, écrire toutes les lettres qui se pronon-çaient et les écrire comme elles devaient se prononcer"; il sistema è "applicable à tous les dialectes de langue d'oc, système simple et souple à la fois, qui donnait une règle sans étouffer les libertés nécessaires à telle ou telle région" (2).
I punti essenziali della riforma ortografica di Roumanille prevedevano inoltre: la soppressione della -r finale degli infiniti dei verbi e della -t finale dei participi passati (segnalati invece nella grafia etimologica); la restaurazione di alcune forme dell'occitano del Medioevo per semplificare l'ortografia (au, eu, ou al posto di aou, eou, oou); un sistema particolare di accentuazione per renderla più chiara ai lettori ("aider par un système d'accents le lecteur à prononcer correctement les diphtongues et à faire tomber l'accent tonique en bonne place"); essa ricalca la grafia del francese (ad esempio <ou> per [u], che diventa <u> nei dittonghi; <gn> per [ɲ] ) e, come abbiamo visto, respinge qualsiasi criterio etimologico (prevedeva infatti "la suppression de nombreuses lettres inutiles: h, lettres doubles, diverses lettres étymologiques muettes, etc.").
La grafia mistraliana è ancora oggi usata dal Felibrige, anche se, come spiega Riccardo Regis nel saggio Su pianificazione, standardizzazione, polinomia: due esempi, c'è una profonda differenza di prospettiva tra il modo in cui l'intendeva Mistral e il sistema ortografico odierno (3).
La grafia classica o "alibertina" fu ideata da Joseph Roux sulla base del lavoro di Honnorat, perfezionata da Prosper Estieu e Antonin Perbosc e infine affinata da Lois Alibert nel 1930, il quale pubblicò nel 1935 la Grammatica Occitana e un dizionario francese-occitano; essa fu poi adottata e divulgata dalla Societat d'Estudis Occitans (S.E.O.), fondata nel 1936 a Tolosa, ed è oggi la grafia ufficiale dell'Institut d'Estudis Occitans (I.E.O.).
Per Alibert la lingua avrebbe dovuto essere "la sintesi delle parlate naturali di tutta una nazione e la sintesi degli scrittori antichi e moderni"(4).
Al provenzale rodaniano come varietà di riferimento dei mistraliani egli contrapponeva il linguadociano centrale, essendo il dialetto che "era rimasto il più vicino all'antica lingua dei trovatori" ed "equidistante e centrale fra i vari dialetti occitani" (5).
La grafia classica o normalizzata, che riprende la grafia dei trovatori e rifiuta i prestiti dal sistema ortografico francese, si basa su criteri etimologici e non fonematici, ovvero ha lo scopo di fornire un diasistema grafico che raccolga sotto un unico tetto le divergenze fonetiche e metta in rilievo i tratti comuni della morfologia sottostante (6): una koinè in cui ai singoli grafemi non corriponde una sola possibile realizzazione fonica, ma una pluralità di esiti, una varietà sovralocale che si adatti alla lettura di testi scritti in qualsiasi dialetto occitano.
Quindi, ad esempio, le -r finali degli infiniti e le -t finali dei participi passati si mantengono, sulla base di criteri etimologici: se in una varietà non vengono pronunciate, il lettore le ometterà nella lettura; -a finale può essere letta in diversi modi ([-o] , [ə], [a]) a seconda dei luoghi; non si usa il grafema <ou>, di evidente influenza francese, ma <o> e <ó> per [u]; inoltre, si userà <lh> per [λ] e <nh> per [ɲ] .
2-La grafia mistraliana nelle valli occitane.
La prima grafia ad essere utilizzata nelle valli occitane d'Italia fu la mistraliana, che come abbiamo visto è una grafia fonematica.
L'Escolo dóu Po, l'associazione fondata nel 1961 che diede avvio alla presa di coscienza dell'identità occitana, si pose infatti in continuità con il felibrismo d'oltralpe, sia nella scelta del nome sia nell'organizzazione interna e negli obiettivi che si proponeva (per approfondimenti si veda: Memoria storica dei movimenti, della lingua e della letteratura occitana delle valli).
Il giornale "Coumboscuro" divenne il portavoce dell'associazione, essendo al momento della fondazione dell'Escolo l'unica testata di tutte le valli occitanofone dedicata alla lingua ed alla cultura provenzale (erano infatti già usciti un paio di numeri); anche "Coumboscuro", come l'associazione, ha mantenuto sin dalle origini stretti contatti con la Provenza e il felibrismo.
Dunque la grafia adottata sia dalla redazione del giornale sia dai membri dell'Escolo ricalcava quella usata da Mistral, "lou pu grant pouèto de la Prouvenço e un di pu grant de tout lou mount" (7).
Il giornale era diviso in due sezioni: la prima era riservata agli alunni della Scuola di Santa Lucia che vi pubblicavano i loro scritti e le loro poesie; la seconda, a partire dal N.3 del 1962, ai membri dell'Escolo dóu Po.
LA GRAFIA MISTRALIANA SU "COUMBOSCURO". Sul N.2 del 1962 fu pubblicata la seguente tabella di riferimento per la lettura dei testi: u = u francese e piemontese (es.dur) ou = u italiano (es.uva) ç = s dura (es.borsa) corrispondente alle forme italiane con z (es.speranza) cioun = terminazione di parola con s dura (v.discussione) corrispondente dell'italiano "azione, emozione" qui, que = italiano chi, che j = g italiano (es.gioco) Nel corso degli anni alcuni autori dell'Escolo iniziarono ad adottare alcuni grafemi che si distanziavano dalla tabella sopra riportata; si segnalano in particolare: -<ci>, <c> e <cc> in finale di parola ([ʧ]) passa progressivamente a <ch>: ad esempio da ciansoun si passa a chansoun; in finale di parola da especc, nuec si passa a espech, nuech; -<c> in finale di parola sostituirà la <q> ([k]): ad esempio da bosq a bosc, da stanq a stanc; -emerge l'uso della <z> (per [s] e [z]): ad esempio in tourzù, zut, bezelà, fratelanzo, esperanzo, Prouvenzo; -emerge anche l'uso di <gu> ([g]) al posto di <gh>: ad esempio in auguio; -in rari casi, e soprattutto per gli autori delle valli occitane in provincia di Torino, compare <lh> ([λ]): ad esempio in alcuni testi di Teofilo Pons della valle Germanasca troviamo soulelh, brilhant (Lou garc, 1964), travalhàr (Jan Tranquile e sa maire, 1964); -l'uso di <h> intervocalica per indicare lo iato: ad esempio in meravìho. Sul N.11 del 1965 la redazione aggiungeva alla tabella sopra riportata le seguenti indicazioni: cha, cho, chou = italiano cia, cio, ciu (chabro: ciabro) gue, gui = italiano ghe, ghi ce, ci = se, si (italiano sera) La tabella più completa apparsa su "Coumboscuro" in questi primi anni Sessanta fu pubblicata sul N.16; la redazione spiegava: "per opportune ragioni di omogeneità, nel seno di una più ampia tradizione linguistica, si sono seguiti i criteri ortografici della parlata provenzale del Rodano, adottati da Federico Mistral e dal movimento mistraliano": ou = u italiana u = u francese ch = c dolce palatale (chambro = pron.ciambro) j = g dolce palatale, davanti ad i (journ = pron.giurn) que, qui = it che, chi gue, gui = it. Ghe, ghi ce, ci = se, si dure (silenci: silensi) -Sulle sillabe terminali toniche delle parole uscenti in A non viene segnato l'accento di troncamento (es.verita) -Così pure per le sillabe toniche uscenti in I e U (es.feni: finito; agu: avuto) -L'accento si mantiene invece nei troncamenti di parole in E ed O (es.perqué: perché, acò : ciò) -Le sillabe toniche in corso di parola vengono segnate con accento quando la pronuncia può apparire incerta e nei dittonghi OU (es.iòu= uovo) ed EU (néu = neve). Sul N.20 la redazione aggiungeva le seguenti indicazioni: -é: e acuta (liéch: letto) -è: e grave (vèel: vitello) e sul N.37 precisava che: -vengono accentati i dittonghi OU (es.iòu: uovo) ed EU (es.nèu: neve). Sul N.44 del 1972, in risposta alla Proposta di grafia per la trascrizione delle parlate provenzali d'Oc delle valli cisalpine, la redazione elencò le proprie obiezioni alla grafia che prenderà il nome di "concordata" o "dell'Escolo dóu Po: 1) S sonora: scriveremo, come da anni: BASSO = bassa (e non «baso»); GRASSO = grassa (e non «graso»); BRASSO = bracciata, unità di misura (e non «braso») ecc. |
Le norme per la scrittura e la lettura furono dunque pubblicate a più riprese nel corso degli anni,
e quindi in mancanza di indicazioni precise spesso gli autori si trovavano a dover decidere di volta in volta quale grafema adottare e quale scartare: si riscontrano infatti nei testi numerose incoerenze, a volte anche all'interno del medesimo scritto; in particolare l'uso dei grafemi <ç>, <s>, <ss>, <z>, <ci> e <ce> suscitò non poche perplessità portando ad esiti diversi, più o meno corretti (içì ma anche icì, countenteço, despercioun, coumenço, avanço, ourizount, zout, bezèlo, esperanzo, disciausso, tresses ecc.).
Alcuni autori elaborarono invece delle grafie personali, come ad esempio Amato Bermond, Remigio Bermond (si veda rispettivamente: La darriare rua da Cher 1967; A mei d'un pra, 1968) e Andrea Vignetta (Laz istorja ëd Barbu Giuanin).
Dopo l'introduzione del nuovo sistema elaborato dalla Commissione linguistica dell'Escolo dóu Po, Coumboscuro (sia come rivista che come associazione) continuò ad usare – ed usa tutt'oggi - la grafia mistraliana; molti autori passarono invece alla grafia concordata.
Oltre a "Coumboscuro" sono scritte in grafia mistraliana, salvo alcune eccezioni, le pubblicazioni anteriori alla seconda metà degli anni Settanta e gli scritti di alcuni autori che, avendo iniziato a scrivere con quella grafia vi restarono fedeli anche successivamente, come ad esempio Pietro Antonio Bruna-Rosso – che la adottò nel 1972 ne I figli dei briganti e nel 1980 nel Piccolo dizionario del dialetto occitano di Elva -, Pietro Ponzo – che continuerà ad usarla nei racconti pubblicati su "Valados Usitanos" negli anni Ottanta – Lucia Abello – che la adotta ancora nel 2010 in De pours e de Boufes – e Giovanni Bernard – che la usa nella prima versione del romanzo Steve (1989), tradotto poi nel 2000 in grafia concordata.
Molti altri autori passarono invece, come vedremo tra poco, alla grafia dell'Escolo dóu Po.
3-La grafia dell'Escolo dóu Po o concordata.
Il 20 dicembre del 1970, durante una riunione dell'associazione dell'Escolo dóu Po a Santa Lucia di Coumboscuro, fu nominata una commissione linguistica che aveva il compito di ideare un sistema grafico di segni in grado di servire alla trascrizione di tutte le parlate provenzaleggianti delle Valli alpine del Piemonte.
La creazione di una grafia comune, spiegò Arturo Genre nel 1994 su "La Beidana", era ormai divenuta agli inizi degli anni Settanta un'emergenza indilazionabile:
Fino al 1971, per quanto non fossero mancati nelle valli occitane del Piemonte, e in particolare in quelle valdesi, tentativi diversi di dare forma alla rappresentazione grafica dei dialetti locali, questi sforzi (sui quali non mi soffermo), occasionati dalla necessità immediata di fissare sulla carta una poesia, un canto o una raccolta di proverbi, non portavano con sé la volontà di una sistematizzazione precisa; né d'altra parte c'era stato un interesse per il problema che andasse al di là dell'àmbito del proprio patouà.
La proposta di definire un'ortografia comune per le parlate occitano-alpine presenti sul territorio italiano venne formulata nel corso di una riunione di occitanisti dell'"Escolo dòu Po" che si tenne, alla data sopra indicata, in val Grana. In quel momento si stavano formando o consolidando i vari momenti d'opinione finalizzati al recupero e alla valorizzazione delle tradizioni culturali locali che tuttora operano sul territorio, e la creazione di una grafia in grado di rappresentare le diverse varietà di occitano - di cui i rispettivi fogli informativi davano spesso saggi più o meno ampi - venne configurandosi come indilazionabile, sia per semplificare, attraverso la fissazione di precisi criteri, la trascrizione, sia per agevolare la lettura, dando nel contempo a tutti la possibilità di leggere i testi relativi alle parlate affíni e di prendere coscienza del loro fondo comune (8).
La Commissione linguistica si riunì più volte presso l'Atlante Linguistico dell'Università di Torino tra il marzo del 1971 e l'aprile del 1972; facevano parte della Commissione alcuni docenti dell'università - Giuliano Gasca Queirazza, Arturo Genre, Corrado Grassi – e alcuni rappresentanti delle valli occitane – Sergio Arneodo per la val Grana, Antonio Bodrero, Sergio Ottonelli e Gianpiero Boschero per la val Varaita, Beppe Rosso per la valle Stura -, ai quali si aggiunsero Franco Bronzat, Remigio Bermond ed Ezio Martin della valle Chisone, Attilio Joannas della valle di Susa, Giuseppe Dho della valle Po ed il piemontese Gustavo Buratti che era stato segretario dell'associazione per molti anni.
La nuova grafia, denominata dell'"Escolo dóu Po" o "concordata", fu pubblicata per la prima volta nel 1972 sul N.44 di "Coumboscuro" e l'anno successivo su "Lou Soulestrelh"; i criteri seguiti dalla commissione erano i seguenti:
1)costituzione di un sistema grafico di segni in grado di servire alla trascrizione di tutte le parlate provenzaleggianti delle Valli alpine del Piemonte, tale che ogni suono, in una data posizione, sia rappresentato da un solo segno (che può essere formato anche da più di una lettera: v. più avanti);
2)rinuncia, nella scelta dei segni, a qualsiasi criterio etimologico, così come negli esempi: soulei - (SOLICULUS), sinc - (QUINQUE), sino - (COENA), eisam - (EXAMEN), maso - (MA TEA), faiso - (FASCIA), dove consonanti e gruppi consonantici diversi nella matrice latina vengono trascritti con un segno unico (s) che rappresenta l'esito attuale;
3)adozione di una grafia di tipo fonematico piuttosto che fonetico, che tenga conto cioè dei suoni aventi carattere distintivo all'interno dei vari sistemi delle nostre Valli, ma non delle sfumature che caratterizzano le loro diverse realizzazioni foniche. Non occorre per esempio indicare l'eventuale apertura di u o la pronuncia velare di r, ecc., poiché nelle singole parlate non esiste un'opposizione fonematica tra u e u aperta, r alveolo-dentale e r velare, ecc., vale a dire non si dà caso caso di parole che si distinguano tra di loro nel significato per avere, una la u normale (media) e l'altra la u aperta (fermi restando gli altri elementi), ecc.;
4)assunzione della grafia mistraliana come base di lavoro, con la riserva di modificarla e di arricchirla là dove essa sia insufficiente o inadeguata a rappresentare il maggior numero di fonemi presenti in quest'area;
5)rinuncia all'adozione di segni che non siano presenti fra i caratteri di una comune macchina da scrivere, questo per evidenti motivi pratici;
6)rinuncia alla creazione di qualsiasi tipo di "coinè" dialettale, nel rispetto e per la salvaguardia di tutte le varietà in uso, anche quando siano rappresentate da un numero minimo di parlanti.
Nell'uso letterario si ammette la possibilità, quando allo scrivente manchi una parola, di ricorrere ai dialetti circonvicini, poi ai dialetti occitanici in genere, ecc., adattando eventualmente i nuovi termini alla fonetica locale (La nuova grafia del patouà).
Per riassumere in poche parole: la grafia dell'Escolo dóu Po prende la grafia mistraliana come base di lavoro e la adatta con alcune modifiche laddove essa risulti insufficiente o inadeguata; è fonematica e non etimologica, ovvero vi è una corrispondenza biunivoca tra segno e suono, e dovrà essere in grado di trascrivere tutte le varietà locali delle parlate occitane cisalpine.
LA GRAFIA DELL'ESCOLO DÓU PO PUBBLICATA SU "LOU SOULESTRELH" NEL 1973. Diamo qui l'elenco dei segni adottati, con le rispettive definizioni ed accompagnati da un esempio tratto dall'italiano o dal francese. Le articolazioni che si distinguono in sorde e sonore vengono citate in questo ordine. 1-In questo primo elenco sono compresi i segni corrispondenti a quelle articolazioni che essendo comuni a tutte le Valli, assumono un carattere più normativo delle rimanenti (per le quali si veda più avanti) perché pur essendo state scelte anche in funzione di queste ultime, costituiscono il nucleo principale del sistema proposto. a)Quantità vocalica e consonantica. b)Accento tonico e apertura vocalica. c)Dittonghi. d)Consonanti. Occlusive: bilabiali p (it. «pane»), b (it.«bello»); alveolo-dentali t (it. «tino»), d (it. «dire»); velari c/qu (it.«casa, chiesa»); g/gu (it.«gola, ghiro»); c e g davanti a a, o, ou, u, œ, e in posizione finale; qu e gu davanti a i, e, ë. Fricative: labiodentali f (it.«faro»), v (it. «vena»); alveolo-dentali s (it. «sale»), z (it. s in «rosa»). Si badi che tanto s quanto z possono essere semplici o doppie. Es.: pouso «capezzolo» - pousso! «spingi!», mouze «mungere» - douzze «dodici». Affricate: alveolo-palatali ch (it. c in «cena»), g/j (it. g in «giro»): g davanti a i, e, ë, e j davanti a a, o, ou, u, œ, e in posizione finale. Nasali: bilabiale m (it. «mare»); palatale nh o gn, a scelta (it. gn in «sogno»); alveolo-dentale n (it. «nave»), in posizione iniziale e intervocacalica. Lo stesso segno, davanti a consonante velare o in posizione finale, rappresenta la velare corrispondente (it. «ancora, buono»). Laterali: alveolo-dentali l (it. «lana»): rappresenta anche la l faucale o arretrata; palatale lh (it. gl in «figli»). Vibranti: alveolo-dentale r (it. «rana»). Lo stesso segno rappresenta anche la velare e l'uvulare vibrata corrispondenti. e)Vocali 2-Le articolazioni che non sono comuni a tutte le nostre parlate, e per le quali la Commissione ha già stabilito un segno, sono le seguenti. a)Consonanti Fricative: alveolo-palatali sh (it. sc in «scena»), zh (fr. j in «jeu»). In Val di Susa, a motivo della tradizione letteraria locale, le fricative alvoelopalatali continueranno probabilmente ad essere rese con ch e g/j e le affricate alveolo-palatali (v. qui sotto) con tch e dg o dj. Affricate: alveolo-dentali ts (it. z in «azione»), dz (it. z in «zebra»); alveolo-dentale schiacciata th (Val Chisone, Val Germanasca). Es.: unth «unto». Nasali: alveolo-dentale nn, da usarsi in posizione finale, là dove esiste opposizione con la corrispondente velare. Es.: pann «panno», rispetto a pan «pane» (Val Germanasca). Per la Val Chisone il problema è più complesso e per ora non risolto. b)Vocali
si deve sempre tenere presente che ne furono offerte diverse interpretazioni, dovute in parte ai problemi di trascrizione riscontrati durante l'uso ed in parte alla necessità di adattare il sistema di trascrizione alle diverse varietà dialettali. D'altronde, quando fu pubblicata la prima versione ufficiale della grafia concordata – su "Coumboscuro" nel 1972 e l'anno successivo su "Lou Soulestrelh"- essa fu presentata ai lettori come una proposta (Proposta di grafia per la trascrizione delle parlate provenzali d'Oc delle valli cisalpine e La nuova grafia del patouà) che si chiudeva con un appello a tutti i lettori affinché prospettassero "eventuali altri problemi sfuggiti alla Commissione, nella quale purtroppo non tutte le Valli erano rappresentate, o adeguate soluzioni per i problemi che questa non ha risolto". Genre proponeva inoltre per alcuni grafemi una doppia possibilità di scelta, per cui nel corso degli anni successivi si ritrovano entrambe le forme a seconda delle pubblicazioni e degli autori. Si vedano ad esempio i seguenti casi di uso differente della grafia concordata registrati nella Tabella delle corrispondenze tra grafemi e foni: -<eu> (per [œ] e [ø]) è stato usato in La bouno nouvello sëgount Marc, I sarvanot dal toumpi, Muzìques ousitànes, "La beidana", La lenga de ma maire, su "Ousitanio Vivo" accanto all'altro forma, su Ltò almanach, Novanta, La storia dou magou Sabinou, Pinocchio e sui quaderni di Ostana e Oncino; <œ> (sempre per [œ] e [ø]) è stato usato su "Novel Temp", su "Ousitanio Vivo", in Viól d'emousioun, Parisia coumanda lou carnaval, Juraie e batiaie, Poësia Occitana, Voutz de Vermenanha e Gès. Arturo Genre, favorevole al digramma <eu> (adottato nella traduzione della Buona novella), spiegò in L'ortografia del patouà, pubblicato sul N.20 de "La Beidana" nel 1994, il motivo di questa scelta: Al segno eu, scelto in un primo momento, è stato successivamente preferito da molti œ, che tuttavia non sempre si adatta alle nostre parlate occitane settentrionali, dove sono frequenti le vocali lunghe, compresavi questa, la cui maggior durata, se si adotta œ, non può essere segnalata (i 'font' dei PC non lo prevedono) con il previsto circonflesso sovrapposto". D'altronde, ha obiettato Dario Anghilante nel corso di un'intervista da me eseguita, il digramma <eu> verrebbe frainteso nei casi in cui esso rappresenta effettivamente due foni distinti. "La Valaddo" ed alcuni dei suoi collaboratori, pur facendo riferimento alla grafia dell'Escolo dóu Po, scelsero tuttavia di rappresentare [œ] e [ø] con il grafema <ö> (si veda ad esempio Ugo Piton in Guida alla lettura, Setà decaire la flammo dai fouìe). -per indicare lo presenza di iato nel caso di incontro di vocali furono suggerite da Genre su "Lou Soulestrelh" due possibilità: o il segno della dieresi o l'interposizione di una <h> tra le due sillabe. Entrambe le soluzioni furono adottate nelle pubblicazioni scritte in grafia concordata. -spesso, nell'enunciazione delle regole per la lettura, viene indicata dagli autori la seguente regola: "aou, oou, ecc = dittonghi composti da a, o, ecc più ou"; il lettore potrebbe chiedersi il perché, dal momento che questa è una conseguenza logica del fatto che, essendo nella grafia concordata il dittongo <ou> corrispondente a [w], per formare il dittongo basterà anteporre la vocale.al digramma. Gli autori preferiscono specificare per differenziarsi dalla grafia mistraliana, in cui i dittonghi si scrivono <au> e <où>; questo perché ci sono casi in cui l'autore, pur adottando la grafia concordata, preferisce scrivere i dittonghi secondo la regola mistraliana (si veda ad esempio il già citato Ugo Piton in Setà decaire la flammo dai fouìe, il quale prosegue l'uso inaugurato dalla rivista "La Valaddo"). -un altro caso di diversa applicazione della regola è quello di <c> e <ch> (per [ʧ]): la regola apparsa su "Lou Soulestrelh" prevedeva l'uso di <ch> in tutte le posizioni; la regola distingueva invece tra <g> davanti ad < i, e, ë, e> e <j> davanti ad <a, o, ou, u, œ> e in posizione finale. Genre corresse la regola su un articolo pubblicato nel 1974, sempre su "Lou Soulestrelh", laddove propose di sostituire <ch> con <c> davanti ad <i, e, ë, e>, spiegando che in questo modo si darebbe "una maggiore coerenza al sistema, con ci, ce, e cha, cho, ecc., accanto a gi, ge e ja, jo, ecc" (Ancora sulla grafia). Troviamo dunque nel Corpus Testuale entrambi gli usi, pur trattandosi sempre della grafia dell'Escolo dóu Po. -nel corso degli anni si è affermato nell'Escolo dóu Po <nh> per [ɲ]; tuttavia su "Lou Soulestrelh" Genre aveva proposto entrambe le forme, <gn> ed <nh>. Dunque si possono trovare sia l'una che l'altra, a seconda delle pubblicazioni. |
La pubblicazione della nuova grafia su "Coumboscuro" suscitò subito la risposta di Sergio Arneodo, pubblicata in basso nella medesima pagina, che riufiutò il sistema di trascrizione proposto decidendo di restare fedele alla grafia mistraliana: avrebbe quindi mantenuto <ss> in posizione intervocalica (es.grasso, basso), opponendosi a <s> perché ritenuta "esteticamenite una dissonanza non immune da sciatteria, con riflessi negativi nell'armonia d'insieme del sistema"; <ç> nei casi di s preceduta da consonante (es.danço, esperanço); e avrebbe continuato a scrivere i dittonghi con <àu>, <òu> ecc., "non già perché questo è il criterio mistraliano, ma per non cadere anche qui in brutture grafiche" (Proposta di grafia per la trascrizione delle parlate provenzali d'Oc delle valli cisalpine. Commento di Coumboscuro).
Arturo Genre rispose alle critiche di Arneodo sul N.46 affermando che "l'adozione di s per la fricativa sorda e di z per la sonora corrispondente - secondo un uso già affermato altrove - risponde, nel sistema grafico proposto, ad una precisa necessità", ovvero quella di segnalare alcune differenze fonetiche "legate a casi di opposizione fonematica". Inoltre, prosegue Genre, la scelta di Arneodo poteva andare bene per la variante della valle Grana, ma non era in grado "di soddisfare anche alle esigenze dei patois delle altre valli"; l'adozione di ben quattro segni diversi (c, ç, s, ss) per la sibilante sorda e di un segno (s) per la sonora, prosegue Genre, è ambiguo e contrasta con i criteri proposti dalla Commissione secondo i quali non devono esserci, in linea di massima, più segni per rappresentare un solo suono; il medesimo discorso valeva anche per i dittoghi formati da vocale seguita da <ou>.
Infine, all'invito di Arneodo ad adattarsi nell'uso grafico alla grafia mistraliana dei felibristi per "rinsaldare i legami con i fratelli d'oltralpe", Genre rispose:
Il problema comunque non è di " collimare " con i mistraliani «almeno nell'uso grafico», «visto che non possiamo ancora collimare (...) nel lessico». L'uso grafico deve rispettare l'uso parlato, che è quello reale, per salvaguardarlo; e le caratteristiche fonetiche dell'uso parlato sono obiettivamente diverse da quelle oltremontane, quanto e forse più di quelle lessicali. Né, personalmente, mi sento di variarle artificialmente (che significa rinunciarvi) per adeguarle a quelle: sono convinto che l'«unità del mondo d'Oc» ha fondamenti e strumenti più saldi di quelli postulati da una tale unità grafica, che non è realizzabile (per la lettura del testo integrale di Genre si veda Grafia unificata nel provenzale alpino).
La grafia concordata ebbe molta fortuna e fu utilizzata in numerose pubblicazioni e riviste.
"Coumboscuro", come abbiamo visto, è rimasto fedele alla grafia mistraliana che ancora oggi è la grafia ufficiale della rivista.
"La Valaddo" elaborò dapprima un proprio sistema di trascrizione, successivamente (N.11 del 1975; N.16, 1977) accolse alcune mofiche della grafia concordata e alla fine la adottò ufficialmente a partire dal 1979 (N.24), precisando che rimanevano "ancora aperte alcune questioni (specie per il patouà pragelatese) per le quali i singoli autori adottano accorgimenti loro personali".
Nonostante l'adesione alla grafia concordata dichiarata nel 1979, "La Valaddo" continuò tuttavia ad apportare alcune mofiche che saranno enunciate sul N.4 del 1984: <oe> o <eu> ([œ]) viene sostituito da <ö> e il dittongo <aou> viene scritto anche <au> (es.aouro o auro = vento; pòu o poou = paura); come spiegherà sul N.1 del 1985, è la grafia dell'Escolo dóu Po con poche varianti necessarie per adattarla alle particolarità del chisonese. La grafia de "La Valaddo" è stata adottata da alcuni autori che collaboravano con la rivista, originari delle valli Chisone e Germanasca, come ad esempio Ugo Piton di Roure (si veda ad esempio Setà decaire la flammo dal fouìe, in cui l'autore usa, appunto, <ö>).
La grafia concordata fu anche adottata da alcuni autori de "Lou Soulestrelh" accanto alla grafia normalizzata, che come vedremo tra poco fu presentata per la prima volta sulla rivista poco dopo la pubblicazione della nuova grafia dell'Escolo dóu Po.
"Ousitanio Vivo" adottò la grafia concordata nei primi numeri (N.1, 1974/N.16, 1976) e dopo il 1989 insieme alla normalizzata (per approfondimenti si veda: Guida alla lettura).
La convivenza delle due grafie caratterizza anche "Novel Temp" sin dalla nascita, anche se la rivista farà il percorso contrario a quello di "Ousitanio Vivo" approdando nella seconda metà degli anni Novanta all'uso esclusivo della concordata (per approfondimenti si veda: Guida alla lettura).
Numerose pubblicazioni archiviate nel Corpus Testuale sono scritte in grafia concordata.
La scelta è quasi d'obbligo nella trascrizione degli etnotesti, laddove si vuole testimoniare la varietà locale (Parisia Coumanda lou carnaval, Juraie e batiaie, La lengo de ma maire, Oncino voü Rëcourdàou, Novanta, I quaderni di Ostana).
Numerosi poeti e prosatori scelsero la grafia dell'Escolo dóu Po per le loro pubblicazioni.
Arturo Genre applicherà le regole della nuova ortografia nella traduzione de La bouno nouvello sëgount Marc.
Giovanni Bernard tradurrà in Escolo dóu Po il suo romanzo Steve redatto in grafia mistraliana nella prima edizione.
E ancora la grafia concordata è stata adottata in Pinocchio, Martin Querpan, I sarvanot dal toumpi, La storia dou magou Sabinou, La bënno dâ patouà, Chantominà, Viól d'emousioun, da alcuni autori del concorso Poësia Occitana, nella maggior parte dei testi archiviati nella sezione Musica e Danze e infine, insieme alla normalizzata, nel libro Votz de Vermenanha e Ges.
4-La grafia semifonetica o fontaniana.
Un'altra grafia, che all'interno del Corpus Testuale ho definito "semifonetica" ma che alcuni chiamano "grafia k", è stata proposta a partire dai primi anni Ottanta prima su "Valados Usitanos" e poi su "Ousitanio Vivo".
Essa è anche detta "fontaniana" perché l'idea di una grafia fonetica fu promossa da François Fontan (9); in un'intervista del 1967, dopo aver passato in rassegna le grafie mistraliana e classica e averne mostrato le debolezze, Fontan enunciava le caratteristiche fondamentali della grafia da adottare:
Chiunque sia realmente progressista e umanista non può fare a meno di convincersi della necessità di abolire quella persecuzione insensata di cui sono vittima i bambini e che consiste nell'imporre loro una ortografia ingiustificabile e irrazionale. Ciò è tanto più evidente se ci si colloca dal punto di vista dell'efficienza: si perde un mucchio di tempo in fantasie completamente gratuite a scapito dello studio della lingua così come essa è realmente. Proponiamo dunque una lingua totalmente unificata, dotata di una ortografia fonetica. Non si tratta, ben inteso, di adottare l'alfabeto fonetico internazionale, ciò che comporterebbe anche una difficoltà supplementare, né di annotare tutte le sfumature fonetiche così come le trascrivono gli specialisti. Dobbiamo invece, se possibile, utilizzare l'alfabeto latino corrente (ci sono, nell'alfabetO latino, più lettere di quante ce ne occorrano in occitano) per annotare soltanto i suoni significativi della lingua (in modo che ogni lettera corrisponda ad un suono) e non invece tutte le sfumature.
Resta ancora da affrontare un problema: come unificare? Come realizzare l'unificazione a partire dall'insieme degli attuali dialetti? Non é pensabile di adottare puramente e semplicemente uno di questi dialetti, perché nessun dialetto vale più degli altri. D'altra parte, data la grandissima varietà dei dialetti e la loro diversità relativa, bisogna cercare di diminuire al massimo queste differenze onde rendere accettabile a tutti i dialetti la lingua unica proposta.
Questa lingua unificata deve dunque mutuare le proprie caratteristiche di tutti i dialetti, al fine di integrarli. (...). (F.Fontan, Conversazione registrata del 1967) .
Fontan proponeva dunque una nuova grafia fonetica, condannava la grafia etimologica dell'I.E.O. e rimandava a tempi futuri l'unificazione della lingua.
Con questa intervista di Fontan pubblicata nel 1981 su "Valados Usitanos" si riapriva sulle pagine della rivista il dibattito sulla grafia da adottare nelle valli per la trascrizione dell'occitano.
Seguiva un articolo di Jean Louis Veyrac sulle Proposte operative per una lingua unificata delle valli Occitane, che sostanzialmente concordava con Fontan, e poi Gli argomenti dell'I.E.O., in cui si difendeva la grafia normalizzata ed infine E la grafia che oggi proponiamo, l'articolo della redazione di "Valados Usitanos" in cui per la prima volta veniva presentata la nuova grafia adottata dalla rivista.
La redazione rimandava l'unificazione dei dialetti ("le grandi scelte linguistiche") al futuro ("perché nelle nostre valli manca ancora - bisogna ammetterlo - una precisa coscienza occitanista") e proponeva provvisoriamente per l'immediato un "codice grafico - semplice e funzionale - che, rinunciando a qualsiasi pretesa di definitività, fornisca all'utente (a tutti i livelli di utenza) uno strumento immediato di espressione, una specie di minimo comune denominatore che permetta la traduzione grafica fedele dei tratti dialettali essenziali, tralasciando le particolarità minime, le inflessioni, etc.". Dunque una grafia simile a quella dell'Escolo dóu Po (che era già fonematica), ma più "integralmente fonematica". In particolare, "Valados Usitanos" proponeva le seguenti modifiche alla grafia concordata:
-l'impiego alternativo dei grafemi qu e gu (davanti ad e, ë, i) e rispettivamente c e g (davanti ad a, o, oe, ou, u) rappresenta una grave deviazione dal principio fonematico. Proponiamo di impiegare rispettivamente k e g con valore sempre velare.
-il fenomeno della palatalizzazione delle vocali ha nelle nostre valli una estensione notevolissima: sotto questo profilo, il sistema grafico mistraliano cui fece riferimento la commissione dell'Escolo dou Po (modellato su un dialetto in cui il fenomeno è limitato ad u) si dimostra inadeguato. Proponiamo l'impiego, molto più semplice e funzionale, della dieresi.
-riteniamo opportuna una notazione delle semivocali y (notazione frequente nella nostra tradizione grafica, soprattutto in campo toponomastico e onomastico), w e ¨w (molto più frequenti e caratterizzanti nelle nostre valli che non nei dialetti di riferimento mistraliano). Sull'impiego e sul valore delle semivocali può essere di preziosa guida il ben noto saggio di C. Grassi, "Correnti e contrasti di lingua e cultura....". Grassi ha adottato, ben prima di noi, questo stesso sistema di notazione delle semivocali.
LA GRAFIA SEMIFONETICA SU "VALADOS USITANOS". Dopo le avvertenze ai lettori ("il sistema grafico che oggi proponiamo, prima di essere un punto di arrivo, vuole essere un momento di sperimentazione. Proviamolo, e poi ritroviamoci a discuterne e magari a modificarlo, semplificarlo o completarlo") veniva pubblicata sul N.8 del 1981 di "Valados Usitanos" la seguente tabella. Ch e j sono occlusive palatali come in "ciabatta" o in "gioco" k e g sono sempre occlusive velari come in "casa" o in "ghiro" zh è sibilante palatale sonora come nel francese "joli" th si usa nelle valli Chisone e San Martino. Es.:"unth"(unto) n finale è faucale. Es.:"pan"(pane) nn finale è palatale. Es.:"pann"(panno) y e w sono semivocali come in "ieri" e "uovo" la dieresi sulle vocali ne indica la palatalizzazione come nelle voci francesi "subir", "oeuf","peser". Lo stesso vale per la semivocale |w. l'accento tonico è sempre segnato se cade sulla e: in questo caso è indica l'apertura ed é la chiusura. L'accento tonico sulle altre vocali è indicato soltanto se cade sull'ultima sillaba o su sillabe precedenti la penultima (parole ossitone e proparossitone: si impiega l'accento grave) l'accento circonflesso serve ad evidenziare situazioni affatto particolari, caratteristiche di determinate zone, come ŕ (nell'originale r con accento circonflesso) intermedio fra l ed r, caratteristico di un'area intorno ad Oulx. |
La pubblicazione della nuova grafia suscitò le immediate polemiche dell'associazione Lou Soulestrelh, che pubblicò sulla rivista "Novel Temp" un editoriale in cui si contestavano le nuove regole in difesa della grafia dell'Escolo dóu Po: in particolare si criticava l'uso della <k> e della <g> (in Escolo dóu Po: <qu> e <gu>), l'introduzione delle semivocali y e w ("fenomeno che non ha bisogno di essere annotato") e l'uso di <ü> per la u palatalizzata (in Escolo dóu Po: <u>) (10).
"Valados Usitanos" rispose con l'articolo Considerazioni e riflessioni sul problema della grafia: dopo aver sottolineato l'importanza che ebbe l'introduzione della grafia dell'Escolo dóu Po nelle valli ("per la prima volta, infatti, si partiva - anziché dal modello mistraliano - dalle singole situazioni dialettali, tentando di dare a ciascuna di esse una risposta grafica coerente") la redazione passava ad esaminarne i punti deboli: innanzitutto, essa è una grafia "soltanto parzialmente fonematica" (11); in secondo luogo, il richiamo alla tradizione dei trovatori nella scelta di <qu> è visto come un riflesso della "marginalità e subalternità in cui la cultura scritta occitana si trovava rispetto alla cultura scritta latina": quindi nella prospettiva fontaniana di "una decolonizzazione integrale in Occitania, una decolonizzazione capace di coinvolgere tutti gli aspetti della vita di relazione", il rifiuto di una grafia frutto dei "comportamenti assimilati perché imposti dalle culture dominanti" è considerato come parte integrante della futura "lotta di liberazione nazionale"; infine, per quanto riguarda le semivocali, la redazione avvisa che la mancata annotazione "provoca una serie di situazioni in cui a grafia identica corrispondono pronuncia e significato diversi": esse devono quindi essere segnalate. In conclusione, dichiarava l'autore, "non ci sentiamo vincolati da grafie latine o francesi o italiane e pensiamo che, in campo grafico, la decolonizzazione passi attraverso il rifiuto di qualunque ipotesi di grafia etimologica" (per vedere il testo integrale si veda Considerazioni e riflessioni sul problema della grafia).
La grafia fontaniana fu adottata, oltre che dal P.N.O.in Francia fino al 1984, prima da "Valados Usitanos" - ed è ancora oggi la grafia di riferimento della rivista, seppur con alcune modifiche - e poi da "Ousitanio Vivo" dal 1981 al 1986 (N.61, 1981/N.115, 1986).
Si tenga presente che entrambe le riviste si avvalevano della collaborazione di volontari che inviavano i propri scritti e le proprie ricerche; la scelta di quale grafia adottare è sempre dell'autore, quindi si trovano anche sulle pagine di "Valados Usitanos" testi scritti in mistraliana (come ad esempio Pietro Ponzo, Giovanni Bernard, Costanzo Rey, Pietro Antonio Bruna-Rosso) e in grafie personali (come Duccio Eydallin in Proverbi e modi di dire di Sauze d'Oulx, che elabora un proprio sistema ortografico per la parlata di Oulx; Clelia Baccon per la varietà di Salbertrand in Proverbi di Salbertrand ed in Frasi idiomatiche di Salbertrand; oppure ancora Angelo Vinai e Mauro Peirano di Fontane per la parlata del kyé, Antichi mestieri di montagna).
Nel Corpus Testuale ho definito "personali" sia i sistemi ortografici elaborati da alcuni autori – che in genere sono premessi al testo o alla pubblicazione - , sia le grafie che ricalcano le regole ortografiche dell'italiano.
Continuarono ad usare grafie personali Andrea Vignetta (già in Laz istorja ëd Barbu Giuanin, poi su "La Valaddo") e Remigio Bermond di Pragelato (su "La Valaddo").
Un discorso a parte va fatto per Clelia Baccon, che elaborò un proprio sistema ortografico (nella raccolta di poesie El Tintinponi, nel dizionario A l'umbra du cluchī e sul n.4 del 1990 de "La Valaddo") il quale fu successivamente adottato da altri autori dell'alta valle Susa e sui cartelli stradali dando luogo ad una tradizione ortografica locale; ad esempio Oreste Rey in 'L chinebbu riprende la grafia della Baccon – caratterizzata dall'uso delle dieresi sopra le vocali, dall'uso della <k> e nella quale per influsso del francese <ch> sta per [ ʃ ] (mentre in Escolo dóu Po è [ʧ]) e <j> sta per [ʒ] (mentre in Escolo dóu Po è [ʤ] ) - ma adotta dall'Escolo dóu Po la distinzione tra <s> sorda e <z> sonora.
Clelia Baccon spiegherà gli intenti della sua grafia in un articolo de "La Valaddo":
desiderando scrivere il patuà del mio paese mi sono preoccupata soprattutto di adottare una scrittura fonetica cioè capace di tradurre in segni la pronunzia e le riflesioni dei vocaboli, ho poi meditato a lungo perché volevo che tale grafia fosse la più semplice possibile e questo mi ha indotto a non far uso dei dittonghi apparenti (per cui scrivo patuà invece di patouà) ("La Valaddo" N.4, 1990).
Per quanto riguarda le grafie che ricalcano l'italiano, esse risultano spesso incoerenti dato che non esiste un vero e proprio sistema di riferimento: ogni autore trascriveva il fonema utilizzando i grafemi dell'italiano e, nei casi in cui la lingua nazionale mancava di determinati suoni, con stratagemmi di volta in volta diversi.
Furono adottate delle grafie "italianizzanti" su "Ousitanio Vivo" tra il 1976 - mentre prima era usata la grafia dell'Escolo dóu Po, anche se non da tutti gli autori - e il 1981, anno in cui fu introdotta la grafia fontaniana.
Non potendo esaminare in questa sede ogni singola grafia utilizzata, si delineeranno le principali tendenze seguite dagli autori, usando come termine di paragone la grafia dell'Escolo dóu Po:
<qu> (EDP) [k] diventa <ch> (es.achest, che, achel);
<j> (EDP) [ʤ] diventa <gi> (es.gialino, burgià, giurn);
<ou> (EDP) [u] diventa <u> (es.amur)
<u> (EDP) [y] diventa <ü> (es.cumünes, mürir, carcüno, etc.), in alcuni casi <û>
<ch> (EDP) [ʧ] diventa <ci> (es.tüci, Varacio, cial), ma non sempre
Alcuni autori si allontanarono più o meno dalla grafia dell'Escolo dóu Po, scegliendo di volta in volta di mantenere o meno alcuni fonemi, con decisioni spesso incoerenti anche all'interno dello stesso testo (ad esempio si può trovare nello stesso testo <ch> con valore di [ʧ] e di [k]); altri se ne distanziarono del tutto, altri ancora preferirono ricorrere a segni diacritici per indicare i fonemi particolari non presenti nell'alfabeto italiano (come l'accento circonflesso e la dieresi sopra le vocali: per approfondimenti si veda: Ousitanio Vivo, Guida alla lettura).
6-La grafia normalizzata o classica.
Alla pubblicazione su "Lou Soulestrelh" nel 1973 de La nuova grafia del patouà firmata da Arturo Genre e Gianpiero Boschero rispose Franco Bronzat con la proposta di un'altra grafia, questa volta etimologica ed usata dall'I.E.O. nell'Occitania d'oltralpe: La grafia normalizzata; secondo Bronzat questa grafia era "l'unica in grado di mantenere un legame tra i vari dialetti d'Oc mettendo a suo agio colui che parla per condurlo metodicamente alla pagina scritta, alla coscienza d'una unità relativa, sufficiente allo sviluppo d'una letteratura vivente".
A sostegno della grafia dell'I.E.O. si schierò l'occitanista d'oltralpe Jacme Taupiac, (Alcune osservazioni sulla grafia del patouà), dando il via ad una discussione che si prolungò sui numeri successivi.
Genre rispose infine a Taupiac (Risposta a Jacme Taupiac) e a Bronzat concludendo che le loro posizioni e la sua erano inconciliabili, in quanto portatrici di "un diverso modo di considerare tutta la questione della salvaguardia del nostro patrimonio linguistico": mentre la grafia dell'Escolo dòu Po aveva come "primo e preciso obiettivo il rispetto di tutte le varietà in uso", "rinunciando, a questo scopo, alla creazione di un qualsiasi tipo di coinè dialettale", la grafia normalizzata voleva proporre, continuava Genre,
un modello unico di lingua scritta («una sola e medesima immagine grafica») nella quale dovrebbero riannodarsi tutte le varietà parlate, delle quali peraltro il modello non tiene un gran conto («sottintendendo le varietà fonetiche più caratteristiche dei nostri dialetti»). (...)
Ma io non posso condividere una simile scelta - di cui in verità non comprendo neppure il senso (Per la lettura del testo integrale si veda: Ancora sulla grafia. Risposta a F.Bronzat e C.Rabo).
Come ha messo in evidenza Genre, le due proposte veicolavano due modi diversi di intendere tutta la questione della salvaguardia della lingua; proponendo la grafia normalizzata Bronzat mirava a stabilire un legame con l'I.E.O., mentre fino ad allora l'Escolo dóu Po aveva mantenuto un legame privilegiato con il Felibrige; Bronzat preferiva il glottonimo "occitano" a quello di "provenzale", guardava ad un'Occitania più vasta rispetto alla Provenza dell'Escolo e caldeggiava la creazione di una koinè scritta che riunisse sotto un unico tetto tutte le varianti dialettali.
La grafia normalizzata, anche detta "classica", "comune" o "alibertina" è infatti una grafia etimologica, ovvero si richiama nella scrittura alla radice della parola latina; una stessa sequenza di segni può avere numerose realizzazioni fonetiche: la parola sarà dunque scritta nello stesso modo in tutta l'occitania cisalpina ma letta in modi diversi a seconda del luogo di origine del lettore; come spiega Riccardo Regis, la grafia classica "mette tra parentesi la salvaguardia della varietà diatopica e diventa uno strumento a tal punto trasversale da comprendere in un unico involucro (diasistema grafico) la totalità dei dialetti occitanici" (12).
La grafia classica riunisce dunque sotto una unica veste grafica tutte le varianti dialettali di un'intera regione (quella cisalpina) e in generale di tutta l'Occitania; avendo come base la grafia dell'I.E.O., essa può essere compresa anche oltralpe.
La visione alla base della grafia normalizzata è dunque quella di una lingua unitaria che vada al di là della frammentazione dialettale locale.
Nelle valli occitane, la grafia normalizzata fu adottata per la prima volta in un articolo di giornale sulla rivista "Lou Soulestrelh" nel 1974 – a poca distanza dalla prima pubblicazione delle norme ortografiche - ed in particolare negli articoli Concors Prosa e Poesia en lenga d'Oc Lou Roure e 4en.Concors de Prosa e Poesia en lenga d'Oc Lou Roure.
In realtà già qualche anno prima, nel 1971, Antonio Bodrero aveva tentato l'uso della normalizzata nel Soulestrelh òucitan, una raccolta di poesie divisa in tre sezioni ad ognuna della quali corrisponde l'uso di una grafia (mistraliana, normalizzata e piemontese): tuttavia, l'audace sperimentalismo di Bodrero inciampava in frequenti e comprensibili errori e costituì un caso isolato dell'uso della nuova grafia nei primissimi anni Settanta. Bodrero pubblicò inoltre successivamente delle poesie in grafia normalizzata su alcune riviste (su "Lou Soulestrelh" Justicia e Libretat, su "Coumboscuro" Vuid e Lo cel), ma non scelse mai definitivamente a favore di quest'ultima.
Franco Bronzat rimase invece fedele alla grafia classica a partire dal 1974 – anno in cui la propose su "Lou Soulestrelh" – fino ai giorni nostri (si veda ad esempio su "Coumboscuro" Preiera eissubliaa del 1974, Escrire del 1978 e poi il romanzo Lo darrier jarraç del 2002).
La normalizzata fu poi la grafia ufficiale di "Novel Temp" insieme alla grafia dell'Escolo dóu Po, dalla fondazione della rivista sino a circa gli anni Novanta; nel 2000, con il cambio del nome della rivista in "Lou Temp Nouvel", scritto in grafia concordata, la redazione scelse ufficialmente a favore di quest'ultima rinnegando la normalizzata (per approfondimenti si veda: Novel Temp, Guida alla lettura).
Il giornale "Ousitanio Vivo" l'adottò invece a partire dall'inizio degli anni Novanta, insieme alla grafia dell'Escolo dóu Po (per approfondimenti si veda: Ousitanio Vivo, Guida alla lettura).
Occorre tuttavia fare una distinzione: se a partire dalla metà degli anni Settanta sino alla fine degli anni Novanta per grafia normalizzata si intedeva tout court la grafia tolosana dell'I.E.O. (così come era stata proposta da Bronzat nel 1974 e poi su "Novel Temp"), dopo il 1999 è da intendersi la grafia normalizzata dalla Commissione Internazionale per la Normalizzazione Linguistica del'Occitano Alpino.
Il lavoro di corpus-planning svolto dalla Commissione faceva parte del progetto comunitario Interreg II Italia-Francia, che vedeva coinvolte numerose Comunità Montane e le associazioni Espaci Occitan e Chambra d'òc; lo scopo era quello di elaborare "un metodo di scrittura unico, applicabile ad ogni varietà linguistica e comprensibile in tutta l'Occitania", non "un'imposizione ma una proposta" (13).
La Commissione Linguistica, formata da alcuni esponenti delle valli e coordinata dal linguista catalano Xavier Lamuela, ha codificato la grafia dell'occitano cisalpino prendendo come base di lavoro la grafia classica dell'I.E.O.e adattandola alle varietà locali di tutto il territorio dell'Occitania d'Italia, a partire dai dialetti centrali (Valli Grana, Maira, Varaita e Po) ma tenendo presenti anche i dialetti delle propaggini più meridionali e settentrionali.
Il lavoro della Commissione Linguistica si è concretizzato poi nel 2008 con la pubblicazione del Dizionario Italiano-Occitano Occitano-Italiano (14) che registra circa duemila lemmi tratti dalle diverse varianti dialettali; la prima edizione è scritta interamente in occitano, la seconda comprende anche la traduzione e l'ingresso dei lemmi in italiano; la prima parte della pubblicazione consiste in una sezione introduttiva sulla grammatica e la morfo-sintassi dell'occitano cisalpino normalizzato, segue la sezione lessicografica.
Grafia classica o normalizzata dell'occitano cisalpino pubblicata sull'Eli, Vocabolari a figuras. Occitan, edito da Ousitanio Vivo nel 2002. Pronuncia delle vocali o/ó = u it. ex. morre, gloriós ò = o it. ex. pòst u, ú = u francese ex. mur, música a (finala) = di solito o it., ma anche a, ë a, à, é, è, i, í = come in it. á = o it. ex. aviá, avián, linjariá, batuá (a Blins) Pronuncia delle consonantic = k davanti: a, ò, o, u ex. calinhar, còire, colp, culhier qu = k davanti: e, i ex. quèrre, aquel, quintal qu = k davanti: a, ò (en cèrt’un cas) ex. quatre, quaranta, aquò ch = c(i) it. in tutte le posizioni ex. chauça, crochetar, chissar, pachòc, chocolata, chuchar, uch g = g(h) it. davanti: a, ò, o, u ex. gaire, fagòt, magon, figura gu = g(h) it. davanti: e, i ex. guèrs, guinchar g, tg = g(i) it. davanti: e, i ex. gent, gipar, viatge j, tj = g(i) it. davanti: a, ò, o, u ex. minjar, viatjar, jòus, jorn, jurar s = s sorda a inizio e a fine di parola, all'interno di parola vicino a una consonante ex. solelh, tres, escòla, absent ss = s sorda tra due vocali ex. caissa, rossa c = s sorda davanti: e, i ex. ceba, cinc ç = s sorda davanti: a, ò, o, u e in fine di parola ex. dança, chançon, braç x = s sorda ex. tèxte tz = s sorda in fine di parola ex. dètz s = s sonora tra vocali ex. ase, maison z = s sonora a inizio di parola e in casi particolari ex. zoològic, azur, realizacion x = s sonora nel prefisso ex- davanti a vocale ex. exemple, exercici, examinar tz = s sonora all'interno di parola ex. dotze, tretze, setze lh = gl (it. paglia), /i/j (dell’occitano) ex. palha, filha, familha nh = gn it. ex. anhèl gn = gn it. in parole particolari ex. magnífic, signar, ignorar, dignitat Altre regole di pronuncia dell'occitano cisalpino.(tenendo conto delle differenti pronuncie sul territorio) Viene pronunciata Exemple as (finale) as/es/e/òs/os/aa vachas ai (non tonico) ai/ei/i maison aü aü/eu/ei aüra, maüra ao (tonico) au/òu muraor (da murador) ao (atono) au/òu/o Draonier, paor aoi òi rata volaoira ae aè/ei/è paela, chaena (da chadena) au (atono) au/o auberge ea eà/ià beal, leam eè eè/iè veèl bl, cl, pl, fl, gl bl/bi, cl/qui, pl/pi, fl/fi, gl/gui blanc, clau, plòu, flor, gleisa ble, cle, fle, ple (finali) ble/bi, cle/qui, fle/fi, ple/pi estable, cèrcle, enfle, exemple bl, cl, pl bl/bi, cl/qui, gle/pl, ple/pi blanc, clau, plòu |
La grafia normalizzata è oggi usata da alcuni autori e dalle associazioni Espaci Occitan e Chambra d'òc; quest'ultima pubblica mensilmente la rivista on-line Nòvas d' Occitània, l'unico periodico delle valli interamente bilingue.
Come abbiamo visto, invece, altri autori ed altre associazioni e riviste sono rimasti fedeli alla grafia dell'Escolo dóu Po ("La Valaddo", "Lou Temp Nouvel", "La beidana"; "Ousitanio Vivo" la usa accanto alla normalizzata) o alla mistraliana ("Coumboscuro"), criticando la grafia classica perché secondo loro oblitera le differenze tra i diversi dialetti e annulla le particolarità delle varianti locali.
Per Alex Berton dell'Associazione Culturale La Valaddo la lingua normalizzata "non rappresenta la lingua che parliamo"; egli sceglie quindi la grafia concordata dell'Escolo dóu Po in quanto, spiega, "consente di leggere tranquillamente le lingue delle diverse valli" perché "si adatta in modo perfetto a tutte le parlate nonché alla polinomia del provenzale nello spirito mistraliano" (15).
Per Sergio Arneodo dell'Associazione Coumboscuro Centre Prouvençal, fedele alla grafia mistraliana, la "lingua normalizzata è una forzatura intollerabile"; egli confida in una futura normalizzazione che "verrà da sola grazie agli scambi tra paesi e ai matrimoni tra persone di diverse valli" (16).
Per Giampaolo Giordana del Centro Studi e Iniziative Valados Usitanos la grafia normalizzata, che ironicamente chiama "new occitan" – "moderno e al passo con i tempi e con la globalizzazione" - in contrapposizione all'"old occitan" – "quello che sapeva di fumo e di stalla, incapace di reggere il passo con i tempi moderni" -, eliminerebbe la "grande ricchezza della cultura occitana cisalpina rappresentata soprattutto dalle sue numerose varianti locali" (17); concorda con Giordana anche Sergio Ottonelli, fedele collaboratore di "Valados Usitanos": entrambi continuano ad utilizzare la grafia semi-fonetica proposta sulla rivista "Valados Usitanos" all'inizio degli anni Ottanta e poi adattata negli anni successivi.
Le posizioni dei sostenitori della grafia fonematica dell'Escolo dóu Po coincidono sostanzialmente con quelle dei dialettologi: per entrambi è fondamentale registrare e conservare tutte le particolarità delle varietà dialettali dell'occitano delle valli e non sono interessati alla codificazione ed alla modernizzazione della lingua.
Tullio Telmon, docente di dialettologia presso l'Università di Torino, spiega in un'intervista:
Non sono persuaso dell'esistenza di una lingua occitana né provenzale ma, in quanto dialettologo, dell'esistenza di una lingua in ogni paese. È per questo che trovo assurdo imporre una lingua che non è la lingua né di Sampeyre né di Acceglio... né di alcuno dei paesi occitani o provenzali nelle nostre valli (18).
Al punto di vista dialettologico si contrappone la visione di un'unica lingua che assume caratteristiche particolari a seconda dei luoghi e che accomuna tutta l'Occitania, dalla valle d'Aran al Piemonte, e che quindi ha bisogno di una grafia di riferimento ben codificata come lingua referenziale per una comunicazione più estesa. Rossella Pellerino di Espaci Occitan spiega:
La normalizzazione linguistica propone una grafia con regole precise e una varietà referenziale, da impiegarsi cioè in pubblico, dai mass-media o nelle scuole, soprattutto a livello scritto. Essa perciò ha l'obiettivo non di snaturare o omologare le parlate occitane, ma di rendere la lingua, in quanto viva e dunque in naturale evoluzione, strumento di ampia comunicazione (...). La norma non significa uniformare, poiché le regole ortografiche adottate non vogliono omologare, ma hanno puramente lo scopo di conferire maggior funzionalità alla lingua. Pertanto le varietà iperlocali restano vive e si mantengono, anche e proprio in virtù dell'esistenza di regole. Infine, la norma garantisce la libertà di lessico e di registro e permette di utilizzare tutte le varianti dialettali, dall'occitano "standard" a quello iperlocale del piccolo villaggio. Quindi la normalizzazione propone e non impone (19).
L'uso della grafia normalizzata è, secondo Ines Cavalcanti della Chambra d'òc, un passo fondamentale soprattutto dopo l'approvazione della legge 482 che riconosce l'occitano come lingua minoritaria; la grafia classica è fondamentale come lingua referenziale da usarsi in ambito pubblico e istituzionale, nelle pubblicazioni e nella didattica; secondo Cavalcanti l'uso della grafia classica non entra in conflitto con l'uso della grafia concordata, in quanto possono essere utili entrambe a seconda del tipo di testo che si vuole scrivere e a seconda del pubblico a cui ci si rivolge: per testimoniare la parlata locale sarà adottata la grafia fonematica dell'Escolo dóu Po, per redigere il giornale mensile che viene letto in tutte le valli e anche nell'Occitania d'oltralpe la grafia classica.
Alcuni esempi di traduzione sia in grafia concordata/mistraliana sia in grafia classica sono la raccolta di poesie Votz de Vermenanha e Ges e i dizionari Lou Vërnantin. Lo Vernantin. Il Vernantese. Dizionario occitano di Vernante e Disiounari ousitan. Roubilant-Roucavioun. Diccionari occitan Robilant-Rocavion. Dizionario occitano Robilante-Roccavione, tutti editi dalla Chambra d'òc e consultabili on-line.
A questo proposito è interessante riflettere sulle considerazioni che fece Sergio Ottonelli nel 1982 sui diversi usi contestuali delle grafie; l'autore spiega il motivo che lo ha spinto in quell'occasione ad adottare la grafia dell'Escolo dóu Po:
La scelta della grafia dell'Escolo dóu Po è dovuta al fatto che questa grafia si adatta benissimo alla parlata di La Toureto di Casteldelfino. Del resto, sono convinto che, per quanto riguarda la ricerca, questa sia l'unica grafia ad avere un senso nelle Valli Occitane d'Italia.
Mi rendo anche conto che generalmente noi Occitani d'Italia siamo diventati un popolo di analfabeti nei confronti della nostra lingua; quindi secondo me, il primo passo verso la riappropriazione della lingua scritta si attua attraverso la grafia "italiana".
Ritengo però che la grafia della nazione occitana non sarà nè quella italiana, nè quella dell'Escolo dóu Po. Sicuramente ci si dovrà proiettare verso l'unitarietà grafica, e quindi verso la grafia "classica" (quella dell'I.E.O.), che è l'unica che parte da questo presuppsto.
Quindi, se dovessi scrivere per i miei pro-nipoti userei la grafia "classica"; se invece, oggi, dovessi scrivere per le persone di La Toureto scriverei in grafia "italiana". Poichè il Novel Temp è una rivista che si occupa della ricerca nell'area occitana alpina, in particolare nelle valli d'Italia, ho utilizzato la grafia dell'Escolo dóu Po (20).
Ovvero, nel momento in cui l'autore si accinge a scrivere, egli deve tenere in considerazione tutto un insieme di fattori che lo indurranno a scegliere un sistema ortografico piuttosto che un altro; a testimonianza della riflessione metalinguistica che precede la scrittura di un testo - soprattutto quando si tratta di una lingua minoritaria – si possono consultare le Guide alla lettura che accompagnano tutte le pubblicazioni del Corpus Testuale.
Il problema fu esposto chiaramente dalla redazione di "Valados Usitanos" nell'articolo del 1981 E la grafia che oggi proponiamo:
È indubbio infatti che il discorso sulla grafia porta lontano, perché non si può fare una scelta definitiva sulla grafia senza aver prima fatto una scelta altrettanto definitiva sulla lingua che si vuole parlare (oggi, ma soprattutto domani e cioè quando i dialetti locali avranno esaurito la loro funzione). E cioè: una lingua di tipo regionale per il nostro versante, modellata su una variante dialettale centrale e conservativa, come potrebbe essere, ad esempio, quella di Argentera? Oppure una lingua unica per tutta l'Occitania, modellata sul linguadociano o sul provenzale mistraliano del basso Rodano? O altro ancora? Ma a sua volta, una scelta linguistica di questo tipo suppone altre scelte di carattere politico: e cioè, dove vogliamo andare, a tempi lunghi? Verso una reale unificazione, e quindi verso la creazione di una cultura nazionale occitana, oppure pensiamo che il lavoro di documentazione e riproposta esaurisca in sé stesso le proprie finalità. Vogliamo dare un domani alla cultura occitana, oppure pensiamo che l'oggi (e più ancora l'ieri) non abbia prospettive di sviluppo?
La situazione attuale, stando alla ricerca condotta da Matteo Rivoira e Silvana Allisio nel 2009, pare essersi assestata su una "pacifica convivenza" delle due grafie, con un aumento negli ultimi anni delle pubblicazioni in grafia classica dovuto soprattutto all'attivismo delle associazioni Chambra d'òc e Espaci Occitan (21).
Se è vero che la grafia normalizzata e la grafia concordata veicolano, come ha constatato Arturo Genre, un diverso modo di intendere tutta la questione della salvaguardia della lingua, è anche vero che in realtà, come ha osservato Naoko Sano, le due correnti sono meno in opposizione di quanto appaia:
Perché scrivere la lingua, in qualsiasi grafia si voglia, costituisce un atto "politico" che è in grado di operare dei cambiamenti sulla società, lo spazio, i tempi ed i locutori. È un atto di "politica linguistica" cercare di riunificare l'occitano per assicurare un'intercomprensione fra le valli, ma allo stesso tempo è una "politica linguistica" scrivere in modo variabile questa lingua al fine di mantenere le varietà orali.
In questa situazione, la corrente favorevole all'Escolo dóu Po e quella favorevole alla grafia "normalizzata" sono meno in opposizione di quanto sembri (22).
(1)Per leggere le lettere integralemente si veda: http://sites.univ-provence.fr/tresoc/libre/integral/libr0574.pdf
(2)Ivi, lettera del 1955. La regione a cui fa riferimento è quella del Basso Rodano compresa tra Arles e Avignone.
(3)"La posizione provenzalista odierna si distanzia in modo significativo dall'approccio di Mistral e del Felibrismo. Il poeta di Mirèio vedeva nel provenzale (basso-rodaniano) una sorta di primus inter impares, senza che per questo egli trascurasse le altre varietà occitaniche. Per rimanere all'esempio del referente «luna», il Trésor pone sì come entrata la forma provenzale luno, ma attesta anche, come termine di paragone, le varianti luio (linguadociano quercinese), luo (guascone), lue e libe (guascone bearnese); l'opera di Mistral è difatti un dizionario Provençal-Français che, nel frontespizio, viene qualificato come «embrassant les divers dialectes de la langue d'oc moderne». Il provenzalismo moderno ha invece preferito abbandonare l'approccio «affluente» di Mistral assegnandosi l'obiettivo precipuo di tenere distinto il provenzale dall'occitano comune", R.Regis, Su pianificazione, standardizzazione, polinomia: due esempi, p.20.
(4)L.Alibert, Grammatica Occitana, Societat d'Estudis Occitans, Tolosa, 1935, p.XXXIX.
(5)S.Salvi, Occitania, Luigi Colli editore e Ousitanio Vivo, Torino, 1998, p.36.
(6)Cfr.Luisa Pla-Lang, Occitano in Piemonte: riscoperta di un'identità culturale e linguistica?, Peter Lang ed., Francoforte, 2008, p.55.
(7)Sergio Arneodo, Per la glori dou terraire, "Coumboscuro", N.2, 1962, p.1.
(8)A.Genre, L'ortografia del patouà, "La Beidana", N.20, 1994.
(9)François Fontan spiega in Ethnisme: "Une écriture est supérieure à une autre dans la mesure où elle reproduit plus aisément et plus exactement la parole, dans la mesure où elle se rapproche davantage du phonétisme alphabétique, dans la mesure où chasque son est toujours représenté par le même signe, et où chasque signe représente toujours le même son. L'introduction dans l'écriture d'éléments autres qu'alphabétiques-phonétiques constitue une difficulté parfaitement inutile et immotivée (...). Toutes adjonctions étymlogiques, simples produits du pédantisme et du passéisme, sont totalement étrangères au rôle fonctionnel du langage écrit; il est d'ailleurs à la portée de chacun de s'en persuader rapidement par l'usage d'une ortographe phonétique adaptée à sa propre langue", F.Fontan, Ethnisme, II ediz., Librairie Occitane, Bagnols-sur-Cèze, 1975, p.45-46.
(10)"Per cercare di porre ordine a tale stato di confusione, il 7 dicembre 1980 e l'8 marzo 1981 si sono tenute a Frassino due giornate di studio, promosse da Valados Usitanos e Lou Soulestrelh. Erano assenti, seppur giustificati, Coumboscuro (ma vi era Bep Rous), La Valaddo e alcuni linguisti dell'Università di To. In queste riunioni i discorsi si sono svolti correttamente e pacificamente; si è esaminato, come nodo principale e vero problema di fondo, quello della scelta di una grafia di tipo "fonetico", oppure di tipo "unificante". In linea di massima si è constatata una certa convergenza verso la soluzione di tipo "fonetico". Essendo però sorte divergenze sul piano concreto, non sono state prese decisioni, ma ci si è impegnati ad approfondire i punti di divergneza, in vista di un successivo incontro. In questo clima, è piombata, come fulmine a ciel sereno, la decisione del gruppo Valados Usitanos di adottare una grafia nuova e in contrasto con le altre (il MAO, sul n.5 del 18.5.1981 di "Ousitanio Vivo", si è allineato sulle posizioni di Valados Usitanos). (...) Noi non siamo d'accordo nè sul metodo seguito, nè soprattutto sulle regole della nuova grafia (...).
Più si complicano le questioni della grafia, più si spingono gli Occitani a non scrivere nella loro lingua, che pur parlano correntemente. Ciò produrrà un ulteriore grave ritardo nella ripresa culturale della gente delle valli".
Le contestazioni alla nuova grafia sono spiegate poco dopo:
"-L'uso di k e g per indicare, sempre, la c di casa e la g di gatto.Per semplificare limitiamo il discorso alla k. È un fenomeno comune a tutte le lingue neolatine che la c di casa venga scritta in due modi, a seconda se sia seguita dalle vocali a, o, u (e u franc), oppure dalle vocali e, i.(...) La stessa soluzione di c e qu è quella da sempre adottata in tutte le grafie occitane, dai trovatori alla grafia mistraliana, a quella dell'IEO. (...). Per la g valgono analoghe considerazioni.
-L'uso dei segni y e w per indicare i e u semivocaliche: fenomeno che non ha bisogno di essere annotato.
-L'uso di ü per indicare la u palatalizzata (u francese), tratta dall'uso germanico; insomma, non ci pare proprio il caso di andare a frugare nella tradizione grafica di un popolo non neolatino e così diverso dal nostro", "Novel Temp", N.16, 1981, p.3-4.
(11)"Sapevamo infatti che può dirsi tale soltanto una grafia in cui ad ogni fonema (sfumature a parte) corrisponda un segno grafico (o un gruppo di segni) e, naturalmente, ad ogni segno o gruppo di segni corrisponda un unico fonema. La nostra conclusione fu che non poteva dirsi fonematica una grafia che scriva in modo diverso lo stesso fonema (k) a seconda dei casi. Ma concludemmo pure che una grafia veramente "fedele" non poteva non annotare le semivocali. Non riuscivamo inoltre a capire perché, una volta adottate le grafie (ë) e (ä), non si volessero invece accettare le grafie (ö) ed (ü) e si proponessero le grafie (œ) - autentico relitto archeologico documentato in rarissime voci del vocabolario francese - e (ou). Ecco, in poche parole, perché molti di noi non hanno adottato la grafia dell'Escolo dòu Po. ", "Valados Usitanos", Considerazioni e riflessioni sul problema della grafia, N.10, 1981, p.4-7.
(12)Riccardo Regis, Spinte idealistiche e "verità effettuale": il caso del provenzale alpino, "RiME. Rivista di storia dell'Europa Mediterranea", N.3, 2009, p.54.
(13)Livio Acchiardi e Giorgino Cesano, Presentazione del Dizionario Italiano-Occitano, Occitano-Italiano, +eventi, Mondovì, 2008.
(14)Aa.V.v., Dizionario Italiano-Occitano Occitano-Italiano, Cuneo, +Eventi, 2008.
(15)Alex Berton, in Luisa Pla-Lang, op.cit., p.150-151.
(16)Sergio Arneodo, ivi, p.158-159.
(17)Giampaolo Giordana, ivi, p.171-172.
(18)Naoko Sano, op.cit., p.158.
(19)L.Pla Lang, op.cit., p.148.
(20)Sergio Ottonelli, "Novel Temp", N.18, 1982, p.25.
(21)Cfr.Matteo Rivoira, Silvana Allisio, Scrivere l'occitano in Piemonte. Storia, usi e scenari possibili, poster presentato al IX Congresso dell'Associazione Italiana di Linguistica Applicata, 2009.
(22)Naoko Sano, op.cit., p.180.
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