LE SOLUZIONI LINGUISTICHE GIÀ PROPOSTE IN OCCITANIA

 

Conviene qui richiamare brevemente le soluzioni linguistiche già operanti. Se ne possono individuare tre, ma esse non sono poi cosa rigorosamente separate fra di loro. Infatti, per via di quella splendida anarchia che caratterizza l'Occitania, non si avrà difficoltà a trovare un po' dappertutto degli operatori culturali di una certa tendenza che applicano tuttavia per metà i principi di un'altra tendenza, come pure operatori che tentano di fare una mistura fra le tre soluzioni di cui sopra.

 

La prima soluzione è quella che già esisteva prima di Mistral, e che sopravvive attraverso e oltre il Félibrige: consiste nello scrivere dialetti locali nel modo più immediatamente comprensibile, e cioè secondo le regole dell'ortografia francese. E' evidente che se ci si rivolge esclusivamente alla popolazione che pratica ancora la parlata locale, questa soluzione può avere anche un senso. Questi "patoisants" costituiscono la tendenza meno omogenea.

 

I Mistraliani costituiscono la seconda tendenza. Per il Félibrige, bisogna adottare un'ortografia semi-fonetica, parzialmente mutuata dal francese: e dunque più fonetica e meno francesizzante di quella dei "patoisants". D'altra parte i Mistraliani, anche se teoricamente e - in una certa misura -praticamente, rispettano i dialetti, lo fanno soltanto perché non possono evitarlo. In realtà i dirigenti del Félibrige volevano l'adozione del provenzale nella sua varietà rodaniana (così come Mistral l'aveva normalizzato) quale lingua nazionale dell'Occitania. Qualcuno, talora, lo ha scritto a chiare lettere, nel Félibrige, Ronjat in particolare. Fra gli argomenti invocati per giustificare l'adozione del provenzale quale lingua nazionale, c'è anche questo: il provenzale è uno dei dialetti che hanno avuto maggiore evoluzione (il che non è sinonimo di progresso) rispetto all'Occitano del medioevo. Non è un criterio ammissibile, poiché alla stessa maniera vedremo l'I.E.O. richiamarsi al linguadociano in quanto dialetto più arcaico, più conservatore, rimasto più vicino all'Occitano antico (ma ciò non significa che esso sia per ciò stesso il migliore).

 

L'Istituto di Studi Occitani (I.E.O.), che è la terza tendenza, rappresenta una reazione linguadociana contro l'imperialismo provenzale, reazione che ha trovato appoggi anche in altre province. In ciò deve vedersi pure una reazione di ordine politico contro il Félibrige provenzale di ispirazione monarchica. Poiché verso il 1880-90, la Linguadoca era molto più "rossa", e parlava un dialetto molto più arcaico, é avvenuto che dei linguadociani hanno proposto -dapprima in modo abbastanza caotico, poi in maniera più precisa con Alibert e l'I.E.O.- una riforma ortografica destinata a correggere le insufficienze e i difetti evidenti della grafia provenzale mistraliana. Il sistema grafico proposto, era fondato sulle parlate linguadociane ma mirava a scrivere in modo unificato tutti i dialetti. Questa posizione, malgrado riconosca certe verianti dialettali, conduce in definitiva all'adozione del linguadociano. Un punto essenziale di questo sistema consiste anche nel carattere etimologico della grafia proposta, una grafia estremamente simile a quella dell'occitano scritto della letteratura medioevale ma con in più un grandissimo numero di caratteri catalanizzanti o ispanizzanti (tutto questo sempre per quanto riguarda la grafia, poiché nessuna pronuncia è stata fissata).

Questo sistema propugna dunque un'ortografia etimologica basata sul linguadociano. Il cosiddetto riconoscimento delle varianti dialettali è assolutamente illusorio: sono ammesse, ad esempio, certe varianti che - coprendo forse un decimo del territorio occitano - esistono in realtà soltanto a livello sotto-dialettale (per esempio il "d" intervocalico latino, conservato nel bearnese e nel nizzardo), mentre altre varianti, che ricoprono la metà del territorio occitano (come il passaggio di "ch" e "j" a "ts" e "dz") quando non i nove decimi (come la caduta di "r" finale) sono condannate. Si scrivono le parole, a seconda dell'origine etimologica, così come esse si presentavano verso l'anno mille, senza preoccuparsi della lingua parlata.

Gli inconvenienti di questa grafia sono evidenti. C'è, innanzitutto, come per ogni grafia etimologica, una fondamentale inadeguatezza rispetto a ciò che deve essere la scrittura. La scrittura, per tutti i linguisti che non vogliono mettere una Filosofia idealista al posto della lingua, è la riproduzione più fedele possibile della parola. E' evidente che qualsiasi scrittura etimologica rappresenta una difficoltà enorme per chi debba impararla, una difficoltà che non serve assolutamente a nulla.

Inoltre, se è vero che si ammettono certe varianti dialettali, neanche sotto questo profilo le posizioni dell'I.E.O. possono soddisfare. Ritorneremo su questo punto ma già fin d'ora vogliamo precisare che le concezioni di Alibert e dell'I.E.O. erano giustificabili in una certa prospettiva: infatti nella loro visione la Catalogna faceva parte dell'Occitania. Se la Catalogna avesse fatto effettivamente parte dell'Occitania, il linguadociano sarebbe risultato essere un dialetto relativa mente centrale, e la grafia proposta dall'I.E.O. non sarebbe risultata così distante da quella di una lingua unificata comprendente il catalano. Ed è sintomatico il fatto che all'interno dell'I.E.O. si continuino ad ignorare praticamente i dialetti nord-occitani (ad eccezione, più o meno, del limosino), fino al punto di non prendere in considerazione l'esistenza, così sembrerebbe, dell'alverniate e del delfinese. Chi si è occupato, fino ad ora, della rinascita linguistica occitana, proveniva di regola dall'estremo sud dell'Occitania, e d'altra parte si trova già in Mistral questa mentalità, a metà fra l'ignoranza e l'ostilità, nei confronti dei dialetti montanari del nord ma anche del centro (nel "Tresor dòu Felibrige", il passaggio da "a" tonico nasale a "o" che è maggioritario in Occitania, è qualificato come "vizio di pronuncia caratteristico delle regioni montagnose e fredde dell'Occitania").

 

PER UNA LINGUA TOTALMENTE UNIFICATA DOTATA DI UNA GRAFIA

FONETICA, SINTESI ARMONIOSA E RAZIONALE FRA I DIVERSI DIALETTI.

 

Esaminiamo adesso la nostra posizione: abbiamo bisogno di una lingua totalmente unificata, ecco il punto essenziale. Soprattutto nella prospettiva che abbiamo appena indicato: cominciare a rioccitanizzare una piccola minoranza che conosce poco o niente la lingua. Nessuno, fino ad ora, ha mai preso in considerazione questa realtà fondamentale: che la lingua occitana era destinata ad essere imparata da chi non la conosceva. Questa categoria di persone può essere messa in condizione di riapprenderla soltanto se può far riferimento a una lingua unificata. E' evidente che nessuno, o almeno nessuno che abbia occasione di spostarsi frequentemente, o abbia comunque l'occasione di incontrarsi frequentemente con occitani di diverse regioni, si metterà a parlare seriamente l'occitano come lingua di uso costante fin tanto che la parlata occitana vegeterà a livello di autentico patois e cioè si presenterà come un caos di dialetti infestati da forme francesi.

Il secondo punto che conviene affrontare è quello della grafia. Chiunque sia realmente progressista e umanista non può fare a meno di convincersi della necessità di abolire quella persecuzione insensata di cui sono vittima i bambini e che consiste nell'imporre loro una ortografia ingiustificabile e irrazionale. Ciò è tanto più evidente se ci si colloca dal punto di vista dell'efficienza: si perde un mucchio di tempo in fantasie completamente gratuite a scapito dello studio della lingua così come essa è realmente. Proponiamo dunque una lingua totalmente unificata, dotata di una ortografia fonetica. Non si tratta, ben inteso, di adottare l'alfabeto fonetico internazionale, ciò che comporterebbe anche una difficoltà supplementare, né di annotare tutte le sfumature fonetiche così come le trascrivono gli specialisti. Dobbiamo invece, se possibile, utilizzare l'alfabeto latino corrente (ci sono, nell'alfabetO latino, più lettere di quante ce ne occorrano in occitano) per annotare soltanto i suoni significativi della lingua (in modo che ogni lettera corrisponda ad un suono) e non invece tutte le sfumature.

Resta ancora da affrontare un problema: come unificare? Come realizzare l'unificazione a partire dall'insieme degli attuali dialetti? Non é pensabile di adottare puramente e semplicemente uno di questi dialetti, perché nessun dialetto vale più degli altri. D'altra parte, data la grandissima varietà dei dialetti e la loro diversità relativa, bisogna cercare di diminuire al massimo queste differenze onde rendere accettabile a tutti i dialetti la lingua unica proposta.

Questa lingua unificata deve dunque mutuare le proprie caratteristiche di tutti i dialetti, al fine di integrarli. Questo sistema non é certo nuovo: molte lingue, nel momento della loro rinascita, lo hanno adottato (serbo-croato, norvegese...). Il processo di unificazione é diverso per ogni singola lingua a seconda degli equilibri che presentano fra di loro le diverse regioni. In Francia o in Spagna, la predominanza -da tutti i punti di vista- della provincia centrale (Ile de France, Castiglia) ha lentamente imposto il dialetto centrale salvo modifiche marginali. In Germania, al contrario, sono le cancellerie di Sassonia e di Austria, e poi Lutero, che in pochissimo tempo hanno elaborato la lingua nazionale combinando coscientemente le caratteristiche dei due grandi gruppi dialettali (mitteldeutsch e oberdeutsch). In Occitania, c'è un dialetto centrale, quello della Guienna, ma - sfortunatamente - questa zona centrale è priva di qualunque capacità di attrazione. È perciò necessario che l'unificazione, a partire da questo dialetto, adotti numerosissimi caratteri specificamente occitani propri dei dialetti periferici (cioè i caratteri che non sono comuni con le altre lingue latine. Per esempio, si rifiuterà un carattere alverniate comune con il francese, un carattere linguadociano comune con il catalano, e si prenderanno invece in considerazione caratteri alverniati o linguadociani specificamente occitani. Inoltre fra due specificità ugualmente valide, bisogna tener conto della maggior diffusione.

Fare dell'occitano unificato la nostra lingua di uso corrente, significa fare in modo che i nostri bambini, presenti o futuri, imparino l'occitano come lingua materna, e studino il francese soltanto all'età in cui si studiano le lingue straniere. La cosa è realizzabile abbastanza rapidamente, come lo dimostra l'esempio del brettone, ma bisogna che la lingua unificata sia messa a punto e che il materiale necessario al suo insegnamento sia pubblicato.

Fino ad allora, e in mancanza di meglio, conviene incoraggiare le pubblicazioni occitane esistenti, qualunque ne sia la grafia, qualunque ne sia il dialetto. Si preferirà, in ciascuna provincia, la grafia più usata.

In ogni caso, l'avvento di una autentica lingua occitana, parlata dal popolo che in qualche modo l'ha conservata malgrado sette secoli di oppressione, è inseparabile dalla lotta per una Occitania libera.