italiano

Nato a La Feuillée, sui Monts d’Arrée, a metà del secolo scorso, Christian Le Bras (Kristian Braz) ha pubblicato tre romanzi per bambini: “Spont”, “Kest” e “Pelec’h emañ an Tad Nedeleg?”.

Fin da quando era bambino Kristian Braz sente di aver inseguito la sua lingua, il bretone, che aveva sentito sin da piccolo là sui Monts d’Arrée. Kristian, classe 1949 e più giovane tra i suoi fratelli, in casa dai suoi genitori sentiva parlare solo francese, benché fossero entrambi bretoni. Egli imparerà il bretone più tardi, con tutti i mezzi possibili.

Dopo gli studi di storia e un periodo trascorso viaggiando in Germania, Irlanda, Scozia, Grecia, nel 1990 Kristian torna in Bretagna. Fanch Broudic, di France 3, gli chiede di realizzare un documentario su un falegname del Vieux-Marché.

L’urgenza di testimoniare diviene ancora più chiara durante gli arresti dei bretoni, rei di aver ospitato dei baschi, nella primavera del 1992. Kristian si adopera per raccogliere più di cinquanta testimonianze, così da esporre chiaramente i fatti, restituendo dignità e diritti agli attivisti arrestati. Oggi il film è diventato indispensabile per chi vuole comprendere il rapporto tra bretoni e baschi.

Successivamente si dedica alla rivista audiovisiva “Sell’ta”. Tra il 1996 e il 1997 crea “Blaz Produktion”. Grazie ad alcuni finanziamenti, ad attrezzature prese in prestito dall’ARC di Quimper e all’aiuto di un giovane studente cameraman riesce così a registrare più di 300 ore di storie di vita. Ne risulterà una serie di 8 film (sintesi dell’intero progetto), suddivisi secondo le diverse aree linguistiche della Bretagna, successivamente pubblicata da TES. In seguito a questo progetto diviene direttore del programma di raccolta video in bretone “A-hed ar C’hantved” (Oltre il secolo) e di decine di reportage e documentari sempre in bretone, portando all’attenzione i tanti momenti di rivendicazione, lotta, manifestazione, eventi che hanno scandito la vita quotidiana bretone nel tempo.

Dal 2002, Kristian si dedica alla scrittura in bretone con pubblicazioni per bambini e giovani, come ad esempio “Kest” (2010, ed. Keit Vimp Bev), romanzo didattico e storico ambientato durante la Seconda Guerra Mondiale. È autore di diverse raccolte di racconti (ed. Al Liamm), come “Rebetiko hag istoriou all” o “Kroashent-tro”. Per le sue opere ha ricevuto tre volte (2012, 2018, 2023) il Premio “Racconti Brevi” della città di Carhaix al “Festival del Libro di Bretagna”, oltre al “Premio Xavier de Langlais” (2016).

Kristian è anche un apprezzato traduttore dall’inglese e dal tedesco, al bretone: infatti, ha tradotto in bretone John Steinbeck, Jack London, JD Salinger, John Mac Gahern, Flann O’Brien, Alistair McLeod, John Le Carré, Jack Kerouac.

Nonostante tutti questi impegni, Kristian Braz organizza corsi di formazione tematici in bretone nell’ambito dell’associazione Blaz Produktion. Dal 2020 crea e conduce programmi per Radio Ribin, la web radio dei Monts d’Arrée.

MOTIVAZIONE

Il Premio Speciale Ostana 2025 viene conferito a Kristian Braz, fecondo scrittore bretone e traduttore di notevole bravura, laureato per ben tre volte, dal 2012 al 2023, dal Premio “Racconti Brevi” della città di Carhaix al “Festival du Livre en Bretagne”, ed è vincitore del “Prix Xavier de Langlais” nel 2016. Vince il Premio speciale per l’impegno a tutto campo, l’attivismo concreto in favore della causa bretone e la forte determinazione nel promuovere la propria lingua madre, toccando ogni aspetto della cultura, dalla scrittura alla ricerca, dalle trasmissioni radio all’insegnamento, dalla traduzione alla divulgazione.

Kristian Braz ha dedicato al bretone l’intera vita: grazie alla sua personalità poliedrica, testimonia attivamente la sua identità, vivendo il suo essere bretone nel quotidiano, in ogni contesto e in ogni luogo, dai momenti più intimi e familiari, fino ai momenti più aulici, come la vittoria di importanti premi e riconoscimenti. Il Premio Ostana vuole essere un riconoscimento al lavoro svolto da Kristian Braz nel dare continuità e visibilità alla lingua bretone.

PER SAPERNE DI PIÙ:

https://bed.bzh/fr/portraits-realisateurs/kristian-ar-braz

https://abp.bzh/festival-du-livre-de-carhaix-kristian-braz-remporte--58665

https://www.ouest-france.fr/bretagne/festival-du-livre-de-carhaix-traduire-c-est-retranscrire-une-culture-6584050

https://brezhoneg.org/fr/recherche?controller=search&s=Braz

https://www.youtube.com/results?search_query=krisbraz1

INTERVISTA A KRISTIAN BRAZ

a cura di Bernez Rouz

Io e la lingua bretone”: testimoniare e creare letteratura

  • Che tipo di rapporto avevi con la lingua bretone quando eri giovane?

Come la maggior parte delle persone della mia età, non parlavo affatto bretone, anche se i miei genitori lo conoscevano. Ci è voluto tempo per impararlo. Non ne posso parlare come della mia lingua materna, perché pur sentendola in casa i miei genitori non me l’hanno trasmessa. Come mi diceva un amico di Brest: “La mia lingua materna non è la lingua di mia madre”, il che è una cosa molto dura, molto dolorosa da dire per chi ha vissuto questo cambiamento linguistico. Avrei dovuto essere completamente bilingue, ma in realtà non sapevamo molto della nostra lingua. Eravamo obbligati a fare tutto in francese per avere successo nella vita. Ancor peggio è stato nei Monts d’Arrée, dove sono nato, zona molto povera in cui le persone venivano sollecitate a continuare a frequentare la scuola per ottenere lavori statali, come infermieri, soldati, insegnanti o impiegati postali. Noi, nelle zone povere dei Monts d’Arrée, siamo stati ancora più “sbretonizzati” di altri.

  • Come ti sei riappropriato della lingua?

All’inizio non ero molto soddisfatto. Avevo l’intonazione giusta e non mi avrebbero smascherato come non madrelingua. Conoscevo alcune cose, alcune parole venivano usate in casa, ma ero contrariato dal fatto di non capire tutto quando i vicini venivano a casa. Così ho iniziato a studiare all’università di Brest.

Negli anni ’70 c’era stato un revival bretone diventato famoso con Alan Stivell e Gilles Servat, quindi mi sono iscritto all’Università di Rennes e ho seguito i corsi di letteratura di Per Denez. Il problema è che in seguito ho viaggiato molto e ho smesso di perfezionare il mio bretone.

Tornato in Bretagna, nel 1990, ho deciso che era il momento di fare qualcosa con la lingua bretone, per me e per aiutare gli altri, così ho creato una società di produzione video. Per familiarizzare con la lingua, ho lanciato un programma intitolato “A-hed ar c’hantved” (Lungo il secolo), in cui ho registrato persone in video per quattro-cinque anni. Ho registrato circa trecento ore, poi le ho trascritte. Un’iniziativa allora poco notata, ma oggi tutte queste testimonianze sono online e sento persone dire: “Oh sì, ho studiato questo e quello, è stata una risorsa che mi ha aiutato molto!”. Quella di “A-hed ar c’hantved” è stata un’esperienza molto importante. Dopodiché, ho deciso di scrivere e tradurre. Avevo più di cinquant’anni quando ho iniziato a scrivere.

  • Trascrivendo ore di bretone orale, hai compreso la complessità e la struttura della lingua. La seconda fase è stata la scrittura?

Scrivo in bretone perché non potrei farlo in francese. Deve essere in bretone perché mi ispira molto, le parole hanno più peso, non so perché. Penso che scrivere sia prima di tutto un percorso intimo. Se riesci a emozionare le persone con ciò che scrivi, contribuisci a farle riappropriare della lingua e, volendo, a salvare il bretone.

  • Non sei un amante della poesia, ma delle novelle. Perché?

Ai bretoni piacciono le storie, non testi lunghi, ma racconti in cui si descrivono fatti, luoghi, storie vere e personaggi. Ai bretoni piacciono i racconti che suggeriscono un’atmosfera, persone che appartengono al loro universo, piace lasciar decantare novelle e parole che smuovano i propri sentimenti. Sì, scrivere è una cosa difficile.

  • Quali argomenti affronti?

Racconto il paese dove sono nato, la montagna, i luoghi in cui ho vissuto e le cose che ho sentito. Temi che la memoria spesso distorce e arricchisce. La memoria non è verità. Per quanto riguarda il mio racconto sulla rivolta popolare dei gilet gialli, sono rimasto scioccato dalla violenza dello Stato e dalla mancanza di rispetto di alcune persone verso i dimostranti. Ho sentito quindi il bisogno di raccontare una storia completamente inventata, ma basata su ciò che stava accadendo nel paese in quel momento.

  • Avendo viaggiato in molti paesi, hai avuto voglia di far scoprire ai bretoni altre letterature grazie alle traduzioni?

Quando ho scoperto l’inglese a scuola – ovviamente non c’era il bretone alle elementari, solo francese, francese, francese – è stata una rivelazione, un miracolo per me. Poi, ho voluto migliorare il mio inglese ma conoscere anche altre lingue. Ho vissuto in Germania, dove ho imparato più inglese che tedesco perché lavoravo in una base americana, sono stato anche in Grecia e ho adorato imparare il greco leggendo molto, ascoltando molto le persone.

Negli anni ’70 a Dublino, in Irlanda, avevo un’amica che traduceva per il governo e mi dava cose da fare. Mi piaceva molto. In Germania era un modo per guadagnarmi da vivere, oltre ai corsi di francese. Ho fatto mille lavori! Adoro tradurre e penso che questo esercizio non sia praticato a sufficienza nelle scuole e che le traduzioni non siano abbastanza valorizzate, specialmente da chi si occupa della lingua bretone. Ho sempre tradotto. Molto tempo fa, alcune novelle di Roparz Hemon e alcuni testi dal tedesco; quando è stato creato il Fondo bretone per la traduzione letteraria, ho iniziato a farlo e da allora non ho più smesso. Attualmente sto finendo il mio decimo libro, tradotto dall’inglese, un romanzo di Stevenson e un altro dal tedesco.

  • La letteratura di altri paesi può portare qualcosa al bretone?

Certo! Dove saremmo senza Cervantes, Shakespeare, Jack Kerouac...?

  • Fra i paesi che hai visitato, quale ti ha colpito di più?

L’Irlanda, perché per noi bretoni è un paese caro, molto vicino e al tempo stesso esotico, e ciò a causa della loro immaginazione, del loro umorismo: sanno ridere di se stessi, cosa che spesso manca ai bretoni.


ANTOLOGIA

TESTO BRETONE

AR BATRIOTEZ

Kerzhout a reont, an ofiser e penn ar vandennig, heuliet gant ar plac’h etre he daou ward, a-dreñv dezho ur paotr, dastumet gantañ fuzuilh e gamarad tra m’emañ egile o vale war o lerc‘h gant marc‘h-houarn merglet ar vaouez yaouank…

Emaint bremañ dirak ar gloued serr. Un ti bras daou estaj a zo dirazo, ur porzh ledan didud, kreier tro-war-dro hag ur c’harrdi er foñs. Kempenn eo al lec’h, gantañ neuz un atant meret mat gant tud en o aes.

Digor bras dor an ti. A-greiz-pep-kreiz en em stlap ur c’hi bras du ouzh ar gloued ha harzal ken-ha-ken en ur ziskouezh e zent.

Scheiss Hund! A huch an ofiser. Weg! Kerzh kuit!

Tud zo? Tud zo? A hop, tra ma lamm ar c’hi arajet ouzh ar gloued.

Tennet en deus an ofiser ur Mauser eus gouin e c’houriz. Un taol strak… Ruilhal a ra ar c’hi d’an douar.

Deredek a ra ur vaouez, un den war e oad d’he heul. Sevel a reont o daouarn d’an nec’h dirak fuzuilhoù an Almanted buket warno.

Sin a ra dezho an ofiser kilañ betek an ti tra ma vez digoret frank ar gloued gant ur soudard ha bountet a-gostez korf marv ar c’hi.

Gwenn-kann evel ul liñsel eo dremm ar vaouez yaouank. Emañ bremañ he zonkadur etre daouarn an daou beisant-se, dianav-krenn dezhi, serret aonik an eil ouzh egile. Lakaat a ra an ofiser kas ar plac‘h e penn all ar porzh, e-kichen ur c‘hraou, tra ma chom gant ar c‘houblad.

Ne c’hell ket ar plac’h klevet o c’homzoù. Sellet a ra ouzh penn disto an den, bihanig ha ledan e zivskoaz, ouzh e wreg en e gichen, ur vaouez vunut he zorkad-blev louet, ur saro du en-dro d’he c’horf dister.

Gwelet a ra penn moal an den o hejañ, ur wech, div wech.

O Albert, o Louis-Marie, o va zud ha va breurig karet. Na pegen kuñv ar vuhez, daoust ma ne ouien ket en a-raok, na pegen kaer ar bed a rankin kuitaat damaik!

Treiñ a a ra an ofiser daveti, hag an den d’e dro.

War-boent tarzhañ emañ he c’halon, a soñj, kement e vez lammet ganti.

Dont a ra an ofiser daveti, heuliet gant an den… Goustad, goustad… tost bouzarus trouz o c’hammedoù war grouan ar porzh…

Ma vijen evel va mignonez Mari, ken tost d’an iliz, e c’hellfen marteze en em frealziñ gant skeudennoù ur baradoz c’hwek, a soñj ar plac’h dizoue, o weled he c’hrouger hag he barner o tostaat.

Emaint dirazi, an den bihan postek, a-oad gant he zad, heñvel a-walc’h outañ, a soñj, etre an ofiser treut hag askornek hag ur soudard yaouank a vant e fuzuilh warni.

Rasklañ e c’horzailhenn a ra an ofiser ha goulenn ouzh an den:

C’hwi ‘anavez ar vaouez-mañ?

Sonnet eo ar plac’h, paret he selloù ouzh dremm difrom ar peisant, ouzh daoulagad glas-lin an den a c’hello kas anezhi d’ar marv en un eilenn.

Neuze?

Ya… evel-just… dont a ra bep sizhun amañ da gerc’hat traoù. Legumaj, a-wechoù un dousennad vioù, pe ur penn-lapin pe ur yar. Nizez eo din. Sellit, emañ prest he lod ganeomp. Yvonne!

War dreuzoù an ti emañ atav ar vaouez kozh. Un hejig d’e benn gant an ofiser, ha prim ez a e-barzh an ti, hag er-maez en ur serr-lagad, ur banerad legumaj war he divrec’h.

Hegaset, an ofiser a gendalc’h da sellet pizh ouzh an den, chomet difiñv-mik.

Setu. Petra ‚larfen deoc‘h, eme an den. Ar wirionez wir eo. He fanerad sizhuniek eo. Kig avat ne vo ket an taol-mañ. Na vioù. Ar rekisisionoù, c’hwi ‘oar, emezañ gant ur mousc’hoarzhig-korn, sonn e gein hag asuroc’h e vouezh, e zivrec’h bagol kroazet ouzh e vruched.

Derc’hel a ra ar plac’h war he alan. O turiañ traezh ar porzh gant e votez emañ an ofiser pa vez klevet trouz ur c’harr-samm o tont war an hent en nec’h. Kornal a ra, meur a wech. Klevet e vez un den o hopal en alamaneg.

Piv eo ar re-se, a soñj ar plac’h, gwan he divesker, darev da fontañ d’an traoñ.

Los, los, da sind sie! Deuet int da gerc’hat ac’hanomp, eme an ofiser.

Sellet a ra ur wech all c’hoazh ouzh ar plac’h hag an den ha sin a ra d’ar baotred sachañ o skasoù. Hag int o treuziñ ar porzh a gammedoù bras, ar c’habiten o kas da nijal ur sailh a oa war e hent gant un taol botez.

Sonnet e chom ar vaouez yaouank hag an den kozhik o sellet ouzh an Alamaned o kerzhout kuit – ur wir beurbadelezh, a seblant dezho –, tremen hebiou da gorf marv ar c’hi, dreist an ode, ha mont diwar wel en ale.

Re zo re… aet he holl nerzh diwarni e sank ar plac’h en he c’hoazez, he c’hein o ruzañ ouzh mein moger ar c’hraou. A-raok semplañ e teu a-benn da ziskouez he botez kleiz d’he savetaer, ur mousc’hoarzhig lent war he dremm sederaet… Goude ‘vo gwelet. Goude ‘vo displeget tout… Goude…

E penn an duchennig e klever trouz traoù bannet a-herr e benn ar c’harr-samm, strak ha stirlink, huchadennoù ha stlakadeg dorioù, heuliet gant sourrad keflusker ar c’harbed o pellaat.

TESTO ITALIANO

LA PATRIOTA

Camminano, l’ufficiale in testa al gruppo, seguito dalla giovane tra due guardie. Dietro di loro un soldato raccoglie il fucile del compagno, mentre un altro trascina la bicicletta rotta della ragazza...

Ormai si trovano davanti alla porta chiusa. Davanti a loro vi è una grande casa a due piani, un ampio cortile vuoto, recinzioni tutto intorno e un garage al piano inferiore. Il luogo è pulito, ha l’aspetto di una fattoria ben curata, appartenente a persone agiate.

La porta della casa è stata spalancata. All’improvviso, un grosso cane nero si scaglia contro il cancello, abbaiando e mostrando i denti.

– “Scheiss Hund!” grida l’ufficiale. “Weg! Dégage!”

– “C’è qualcuno? C’è qualcuno?” – urla, mentre il cane si avventa furioso contro la recinzione. L’ufficiale estrae una Mauser dalla fondina. Un colpo secco... Il cane cade a terra senza vita.

Una donna corre fuori, seguita da un uomo anziano. Entrambi alzano le mani verso il cielo di fronte ai fucili tedeschi puntati su di loro.

L’ufficiale fa loro segno di rientrare in casa, mentre un soldato apre il cancello e getta via il cadavere del cane.

Il volto della giovane donna è bianco come un lenzuolo. Il suo destino è ora nelle mani di quei due contadini, a lei totalmente estranei, terrorizzati, stretti l’uno all’altro. Il poliziotto spinge la ragazza verso l’altro lato del portone, accanto a un capannone, mentre lui rimane con la coppia.

La fanciulla non sente le loro parole. Osserva la testa dell’uomo, piccolo e con le spalle larghe, e sua moglie accanto a lui, una donna dai capelli grigi, un grembiule nero stretto intorno al corpo minuto.

Vede la testa calva dell’uomo annuire una volta, due volte.

Oh, Albert, oh Louis-Marie, oh padre mio e amato fratello mio... Come è breve la vita, anche se non me ne rendevo conto. Come è bello il mondo ora che sto per lasciarlo per sempre!

L’ufficiale si gira verso di lei, e con lui anche l’uomo.

Il cuore sul punto di esplodere, pensa lei, tanto il suo polso è accelerato…

L’ufficiale le si avvicina, seguito dall’uomo... Lentamente, lentamente...il rumore dei loro passi sul terreno del portone è praticamente assordante.

Se fossi come la mia amica Marie, così devota, forse ora troverei conforto nelle immagini di un paradiso profumato” pensa la ragazza, incredula, vedendo il suo boia e il suo giudice avvicinarsi.

Ora le sono davanti: l’uomo basso, che ha l’età di suo padre e che gli assomiglia un po’, pensa lei, tra l’ufficiale magro e ossuto e un giovane soldato con il fucile puntato su di lei.

L’ufficiale si schiarisce la gola e chiede all’uomo:

– “Conoscete questa donna?”

La ragazza irrigidita, con gli occhi fissi sul viso pallido del contadino, sugli occhi azzurro-lino di chi può ammazzarla in un secondo.

– “Allora?”

Sì... certo... viene qui ogni settimana a prendere delle provviste. Verdure, a volte una dozzina di uova, o una testa di coniglio o una gallina. È mia nipote. Guardate, le sue provviste sono pronte. Yvonne!

La vecchia donna è ancora sulla soglia della casa. Un cenno dell’ufficiale e lei entra rapidamente in casa, per riemergere in un batter d’occhio con un cesto di verdure tra le braccia.

L’ufficiale, infastidito, continua a fissare l’uomo, che rimane immobile.

– “Ecco qui, che posso dirvi” dice l’uomo. “È la pura verità. Questo è il suo paniere settimanale. Ma questa volta niente carne. Niente uova. Le requisizioni, sapete...” aggiunge sorridendo, le spalle rilassate e la voce più ferma, incrociando le braccia sul petto.

La ragazza trattiene il respiro. L’ufficiale scava con lo stivale nella ghiaia del cortile quando il rumore di un camion risuona sulla strada. Frena a più riprese. Si sente un uomo gridare in tedesco.

Chi sono?” pensa la giovane, le gambe deboli, pronte a cedere.

– “Los, los, da sind sie!”, “Sono loro! Sono venuti a cercarci!” dice l’ufficiale.

Guarda di nuovo la ragazza e il contadino, poi ordina ai soldati di andarsene. Così attraversano il cortile a grandi passo, il capitano fa volare con un colpo di stivale un secchio che si trovava lì abbandonato.

La giovane donna e il vecchio guardano, stupefatti, i tedeschi allontanarsi – in quella che a loro pare un’eternità – li vedono passare davanti al cadavere del cane, superare il cancello e scomparire lungo il vialetto.

È troppo... tutte le sue forze svaniscono, la ragazza si accascia a terra, la schiena sfiora le pietre del granaio. Prima di perdere i sensi, riesce a mostrare il suo stivale sinistro al suo salvatore, un lento sorriso appare sul suo viso ormai quietato. Vedremo più tardi. Dopo vi spiegherò... Dopo...

Alla fine della salita, si sente il rumore di oggetti che cadono nel camion. Rumori secchi, urla, portiere sbattute, seguiti dal rombo del motore che si allontana.

(traduzione dal francese di Teresa Geninatti Chiolero)

TESTO BRETONE

MONTROULEZ

Ur yaouvezh ‘kreiz ar bloavezhioù 60. Diskenn a rez eus al lise-kazarn gant an hent serzh a gas da greiz-kêr e toufor dic’hortoz deroù miz Gwengolo.

Erru dirak an ti-kêr e welez anezhi, ar vaouez vunut, uzet. Lent hag aonik dirak kiosk plasenn an Ostajoù, he sac’h-dorn stardet war he c’hof. Propik, kran ha cheuc’h en un doare, a soñjez, en he dilhad-sul gris, dalc’het he blev gwenn gant ur sertet plastik glas.

Petra an diaoul a c’helle tremen dre he fenn damaik, a soñjez, ar c’harr-boutin o splujañ dre an ode eus lanneier Menez Are etrezek prajeier Leon, davet ar bidoc’hig deuet re ziwezhat, ar c’hrennardig poulzet re vuhan? War he dremm skuizh e lennez ivez kantvedoù a zalc’husted, levenez trist douaroù treñk ha garv da vugaleaj.

Gwelet he deus ac’hanout. Briata a rez anezhi. Emaoc’h o tifronkañ ho taou, dievezh ouzh an dremenidi lakaet diaes gant arvest ar c’houblad iskis-se. Beuziñ a rez e trec’hwezh he berr-alan, e frond an dour-kologn mesket gant hini an dilhad nevez feret.

Goustadik ez eoc’h dre ar ruioù enk etrezek ar stal-levrioù, hi o kerzhout dirazout. Evit ar wech kentañ e verzez he divesker mistr: ur vaouez eo da vamm! Ha petra ‘ouzez diwar he fenn? Seurt…

Emañ listenn hir an traou rekis ganez: kaieroù, levrioù, reol, kompas… Berniañ a ra an traoù war ar c’hontouer koad. Evit echuiñ, un atlas bras, du e c’holo. Adrar des Iforas, Hammada du Draa… Skrivet fin gant ar c’hreion en nec’h ar bajenn gentañ: 19,60, pe 29,60, n’ouzez ket re ken, n’ouzez ket re. Gwelet a rez da vamm o krenañ, o kemer harp war an daol-gont, mestr ar stal hag ar plac’h-gomis o treiñ daveti, ankeniet, o tostaat ur gador dezhi. Hejañ a ra dija he divskoaz en ur dennañ ar bilhedoù, unan hag unan, eus he yalc’h. «Pegement a vankan deoc’h, Aotrou?», emezi, bihan he mouezhig.

O tont ‘maez eus ar stal emaoc’h, dallet gant heol splann an abardaez. Ur pennadig c’hoazh e chomoc’h da bourmen dre ar gêr gozh, dilavar, ponner ho kalonoù. Echu ganez c’hoari ar vuhez c’hwek. An arc’hant an hini eo a ren ar bed, ‘p oa klevet lâret. Intent a rez bremañ.

Chom a rez da c’hortoz karr-boutin Kemper en he c’hichen, kleiz ha mut. «Ma, gwelloc’h dit mont diouzhtu, va mab», emezi en ur silañ daou bezh kant lur en da zorn. Rok ha tener war un dro, evel tud he lignez. «‘Benn ar Sadorn war-lerc’h neuze!»

Erru karr-boutin ar SATOS. Pignat a ra ‘barzh en ur ober sinig dit: «Mouchouer zo ganez?»

Tost pemp eur eo. En tu all d’ar straed e welez krennarded all diwar ar maez. Pañsionerien eveldout, nevez kraouiet. Poent loc’hañ etrezek penn an dosenn.

TESTO ITALIANO

MONTROULEZ

Un giovedì, a metà degli anni sessanta. Scendi la ripida discesa che conduce dal liceo-caserma al centro città, nel calore insolito di questo inizio settembre.

Arrivato davanti al municipio, la vedi, piccola donna esile, consumata. Timida e spaventata davanti al chiosco di Place des Otages, con la borsetta stretta contro il ventre. Ordinata, elegante e ben vestita, a modo suo, ti dici, nel suo vestito grigio della domenica, i capelli bianchi raccolti da un cerchietto blu.

Ti chiedi a cosa stesse pensando poco prima, quando l’autobus superava il colle per tuffarsi nelle brughiere dei Monts d’Arrée verso i prati del Léon, verso il piccolo ultimo arrivato troppo tardi, l’adolescente cresciuto troppo in fretta. Sul suo viso stanco leggi anche secoli di tenacia, la gioia triste delle terre acide e aspre della tua infanzia.

Ti ha visto. La stringi fra le braccia. E entrambi singhiozzate, indifferenti ai passanti imbarazzati davanti a questa coppia improbabile. Ti perdi nel sibilo del suo respiro, nell’odore di acqua di colonia mescolato a quello dei vestiti appena stirati.

A passi lenti, vi dirigete verso la libreria attraverso i vicoli stretti. Lei ti precede, e per la prima volta noti le sue gambe sottili: tua madre è una donna! E cosa sai di lei? Nulla…

Davanti a te c’è la lista dei materiali da comprare: quaderni, libri, righello, compasso… Gli articoli si accumulano sul bancone di legno. Per finire, un grande atlante con copertura nera “Adrar des Iforas, Hammada du Draa” con in alto, sulla prima pagina scritto molto in piccolo a matita: 19,60, o 29,60, non ricordi più bene, non ricordi più. Vedi tua madre tremare e appoggiarsi al bancone, il libraio e la sua commessa che si avvicinano, preoccupati, le porgono una sedia. Ma già lei alza le spalle estraendo i soldi dalla sua borsa uno ad uno. “Quanto vi devo, signore?” chiede con voce sottile.

Uscendo siete accecati dal sole radioso di questo tardo pomeriggio. Passeggiate ancora un momento nella città vecchia, silenziosi, il cuore pesante. Finito per te il sogno assurdo di una vita comoda. È il denaro che governa il mondo, hai sentito dire. Ora lo capisci.

Goffo e muto, resti al suo fianco aspettando l’autobus per Quimper. “Ma guarda, è meglio che tu ci vada subito, figlio mio”, ti dice mentre ti mette due monete da cento franchi in mano. Ruvida e tenera, proprio come quelli della sua stirpe. “A sabato tra otto giorni, allora!”

Le car de la SATOS est déjà là. Elle monte en t’adressant un petit signe de la main: «Tu as bien un mouchoir, hein?»

L’autobus della SATOS è già lì. Sale, facendoti un piccolo cenno con la mano: “Hai un fazzoletto, vero?”

Sono quasi le cinque. Dall’altra parte della strada scorgi altri giovani contadini. Pensionati recentemente rinchiusi, proprio come te. È ora di dirigersi verso la cima della collina.

(traduzione dal francese di Teresa Geninatti Chiolero)

TESTO BRETONE

MOUSSA

Miz Kerzu. Glav pil-polos a skub parklec’h al Lidl. Un den war an oad o strinkañ ‘maez, ha d’ar pevarlamm war-zu e Kangoo. 18.47 ouzh an daolenn-stur. Deuet an noz du. Loc’hañ a ra etrezek ar bourk, hejet-dihejet an oto gant an avelaj spontus.

Kozh karr brein! eme an den d‘e giez vihan war an azezenn e-kichen. N‘eo ket hennezh diouzh avel ar vro-mañ! Ha damaik e vo gwashoc‘h c‘hoazh er Menez. Ma, n‘eo ket ar wech kentañ e c‘hoarvez din…

Meur a c‘hoañvezh avat en deus bevet an den er vro-mañ, ha meur a daol kriz en deus bet tro da c‘houzañv, evel korventenn veur Here 87, pa oa bet distrujet penn-da-benn karrdi-atalier e dad, Doue d‘e bardono…

«Ya ‘vat, goañvezhioù hag hanvezhioù aet hebiou, an eil war-lerc’h egile, er vro-mañ an holl anezho, war-bouez va amzer soudard e penn all ar Frañs. Ha me aet war an oad, hep gouzout din, koulz lâret…» a soñj ar c‘hozhig, o klask moustrañ war e velkoni…

Ha ‚benn arc‘hoazh e vo lidet 59 vloaz ar paotr yaouank kozh! Peadra en deus prenet damaik evit fardañ un tamm friko… war an ton bihan avat, pell zo n‘eo ket bet skubet an ti war-lerc‘h bizitourien…

Tremenet hebiou iliz Sant Jermen ha treuzet bourk Pleiben e spurmant stumm un den war ribl an hent dre koroll ar rozelloù aet e belbi. Un den zo aze o jestraouiñ, mailhuret en ur vantell hir, toet e benn gant ur c’habuch. Paotr pe blac’h? N’eus ket tu da c’houzout.

Paourkaezh den, a soñj, ‘karjen ket bezañ en e blas! N’eo ket un nozvezh evit lezel ur c’hi er-maez, ‘gav ket dit, Jiji? Petra ober? Ma. N’hellan ket lezel anezhañ (anezhi?) amañ dindan ar glav memestra, nann avat!

Chom a ra a-sav tra ma sko an avel kreñvoc’h c’hoazh hag e tiskarg an neñvoù o liñvadenn war an douar hag an dud. Stlapet e vez an nor war-raok kerkent ha digoret.

Ale, deus buan tre, ‘ta, emezañ. Ha te, va lellig, kae en tu a-dreñv!

Hag en hent. Sellet a ra ouzh an den en e gichen, maskl gwenn war e benn. E benn! Pe ar pezh a vez gwelet anezhañ. Du! Du-pod! Dour o teverañ diouzh e vlev hag e zilhad. Krenañ a ra ar gaezhig, ken-ha-ken.

Ruilhal a reont war-raok e-pad ur reuziad mat, dilavar.

Paotr eo. Ur paotr yaouank, yaouank-tre. Klask a ra drailhañ un tamm galleg dezhañ. Diaes kompren ar pezh a lavar. Erru e Pont-Keriav e kred d’ar Breizhad bezañ komprenet ar pezh a zo c’hoarvezhet gant an estrañjour yaouank: e karr-boutin Kemper-Montroulez e oa ar paotr, war e hent da Bleiber-Krist, ha dre ma ne ouie tamm deus ar vro en doa pennfollet p‘en doa gwelet ar panell Pleiben: daoust hag-eñ e vefe en em gavet dija? Pleiben, Pleiber… Goulennet en doa gant ul lisead en e gichen – ar Gwener a oa –, ha pa ne gomprene grik hennezh deus ar pezh a lâre en doa lammet‚ maez, just a-raok d‘ar c‘harr loc‘hañ. Ha chomet plantet an denig war blasenn divent ar barrez, dianket-mik dindan an dour-bil hag en avel vervent a ginnige pilañ anezhañ.

Ma. N’out ket en em gavet c’hoazh, va faourkaezh paotr, a glask displikañ ar bleiner. Pell a-walc‘h out deus Pleiber, en tu all d‘ar menez emañ, just a-raok Montroulez… ha gant an amzer vrein-mañ. Ha deuet an noz… Ma, ma, ma…

O tostaat ouzh Brasparzh emaint.

Petra ober gant ar machin-mañ? a soñj an den. Ha ma vefe hemañ ar polis war e lerc‘h? Kement a draoù a vez klevet diwar-benn repuidi eus ar bed a-bezh o klask kaout bod dre amañ! Keit-sur zo laeron ha muntrerien ha torfedourien ha trafikerien en o zouez… Ma, hemañ n’eus ket an neuz da vezañ gwall zrouk avat, met piv ‘oar?

Sellet a ra ouzh an denig yaouank en e gichen. Un druez da welet. Krenañ ha difronkañ a ra. Treuziñ a reont bourk hir Brasparzh… ar barrez digompezus, plegoù ha korntroioù a bep tu dezhi. Ha kounnar an natur o tispakañ bepred. C’hwiban al linennoù tredan, kroz an avel…

Erru int bremañ e penn ar bourk, dirak ar supermarc’had bihan. Chom a ra an den a-sav e bord an hent. Petra ober gant hemañ? Lezel anezhañ amañ? Gouloù zo memestra, hag un tamm goudor a c’hello kavout dindan malvenn ar stal. War a welan emaint darev da serriñ met tud a vez gwelet atav tro-war-dro. Un’ bennak a c’hello sammañ anezhañ, piv ‘oar? Nondedie, petra ober?

Peseurt anv peus? Me, Alan, emezañ en ur vukañ e viz war e vruched. Ha te?

Me? Moussa, eme mouezhig voan ar paotr.

Moussa… ma, sed aze un anv a c’heller kaout soñj anezhañ ‘vat.

Gwelet a ra splann, bremañ p’en deus tennet e vaskl, tres ar paotr dindan skleur al lamp-post: yaouank-flamm eo. Ur c’hrennard. Pe oad e c’hell bezañ? C’hwezek, seitek vloaz? Triwec’h d’ar muiañ-tout. Moan-tre e fas, disheñvel-krenn diouzh dremmoù ar re zu en deus bet tro da welet e Montroulez pe e Brest; un denig, tener ha dilikat linennoù e zremm divarv. Du e vlev rodellek berr, tanav e fri.

Pleiber-Krist? Mont betek aze da gas anezhañ? Met da belec’h?

N’en deus ket peurechuet e soñj pa dregern soniri ur pellgomzer hezoug. Hini ar paotr eo.

Moussa?

Yes.

Pelec’h emaout? Where are you? Sandrine ouzh ar penn all. Petra zo degouezhet?

Sellet a ra Alan ouzh ar paotr dianket-naet. Kemer a ra ar pellgomzer, ha displegañ buan piv eo hag ar pezh a zo degouezhet. Aet e oa da ziambroug Moussa ouzh an arsav karr-boutin, eme ur vouezh vaouez berralanet, met den ebet aze. Hag un taol kriz all, emañ bremañ etre Montroulez ha Gwengamp, emezi, rak o paouez bezañ galvet emañ, abalamour d’he zad a zo e trummadoù ospital Pontchaillou e Roazhon gant un taol-gwad. Ha ne c’hello ket dont war he c’hiz a-raok warc’hoazh, disul zoken, ken buan all, hervez stad yec’hed he zad.

Emañ ar Morian yaouank o sellet pizh outañ, abafet hag ankeniet.

Mat. Ober a rin war e dro, kas a rin ar paotr du-mañ evit an noz, mod all e dapo e varv, eme Alan goude bezañ chomet digomz ur pennad mat. Pellgomzet e vo warc’hoazh ha gwelet e vo neuze ganeoc’h penaos ober.

Mil drugarez deoc’h, aotroù… Gwegen, Alan Gwegen… warc’hoazh e vo kontet hiroc’h deoc’h.

Mat eo dit evel-se, paotr? emezañ en ur dremen dezhañ ar pellgomzer, ha buan emaint en hent. Kerkent e lamm Jiji en tu a-raok, war barlenn Moussa, a grog da flourañ anezhi.

Ma, iskis eo memestra, ken disfizius ma vez homañ e-keñver an estrañjourien peurvuiañ, a soñj ar c’hozhig.

TESTO ITALIANO

MOUSSA

Dicembre. Una forte pioggia battente flagella il parcheggio del Lidl. Un uomo di mezza età esce di corsa dal supermercato e si precipita verso la sua Kangoo. Il cruscotto indica 18:47. Buio pesto. Si dirige verso il paese mentre raffiche infernali sballottano l’auto in tutte le direzioni.

Maledetta macchina!” disse l’uomo al cagnolino accucciato sul sedile del passeggero. Non è fatto per il vento di campagna, e sarà peggio dopo, in quota. Beh, non è certo la prima volta che mi succede...

L’omuncolo ha vissuto parecchi inverni da queste parti e ha avuto l’occasione di sopportare molte difficoltà, come l’uragano dell’ottobre ‘87, che aveva completamente distrutto il garage-officina di suo padre – pace all’anima sua…

E sì, si sono susseguiti inverni ed estati, tutti trascorsi al paese, a parte il servizio militare, all’altro capo della Francia. E sono invecchiato, senza nemmeno rendermene conto... rimugina, cercando di contenere la sua malinconia...

Domani festeggeremo il cinquantanovesimo compleanno dello scapolone! Ha appena comprato qualcosa per preparare un piccolo banchetto per festeggiare...niente di straordinario, è da tanto che non riceve visite...

Una volta superata la chiesa di St-Germain e attraversato il villaggio di Pleyben, scorge, attraverso la danza furiosa dei tergicristalli, una sagoma sul lato della strada. C’è qualcuno lì che fa dei segni. Avvolto in un grande cappotto, la testa coperta da un cappuccio. “Un ragazzo o una ragazza? Impossibile saperlo. Povera creatura, non vorrei essere al suo posto, non è il momento di lasciare fuori un cane, che ne pensi, Gigi?”

Che fare?” pensa l’uomo. “Non posso lasciarlo (lasciarla?) qui sotto la pioggia!”

Si ferma, le raffiche aumentano di intensità e il cielo riversa il suo diluvio sulla terra e sugli uomini. Appena aperta, la portiera del passeggero si richiude immediatamente sbattendo. “Su, entra in fretta” disse. “E tu, mia cara, vai dietro”. Partenza! Guarda la persona seduta accanto a lui, una maschera bianca sul viso. La sua faccia! Finalmente, quello ciò che riesce a vedere. Nero, nero come il carbone! I suoi capelli e i suoi vestiti sono fradici.

La povera creatura è scossa da brividi. Guidano per un po’ senza parlare.

È un ragazzo. Un ragazzo giovane, molto giovane. Cerca di mettere insieme alcune parole in francese. Difficile da capire. Arrivato a Pont-Keryau, il bretone crede di aver capito cosa è successo al giovane straniero: si trovava sull’autobus Quimper-Morlaix, diretto a Pleyber-Christ, e poiché non sapeva nulla del paese, fu preso dal panico quando vide il cartello Pleyben: è già arrivato a destinazione? Pleyben, Pleyber... Aveva chiesto ad un liceale seduto accanto a lui - era venerdì - e siccome non capiva niente di quello che diceva, finì per andarsene in tutta fretta, poco prima che l’autobus ripartisse. Fragile sagoma sull’immensa piazza della città, stava piantato lì, completamente perso sotto la pioggia battente, il violento vento di sud-ovest che minacciava di ribaltarlo.

Beh, ragazzo mio, non sei arrivato”, cerca di spiegargli. “Sei ancora lontano da Pleyber, è dall’altra parte della montagna, poco prima di Morlaix, e con questo tempo schifoso, e anche di notte... Ah santo cielo...”

Si stanno avvicinando a Brasparts...

Cosa devo fare con questo povero ragazzo?” si disse. “E se avesse la polizia alle calcagna? Si sentono così tante cose sui rifugiati provenienti da tutto il mondo che cercano rifugio qui! Quanti ladri, assassini, criminali o trafficanti ci sono tra loro?...

Questo, a dir la verità, non sembra tanto cattivo, ma chi lo sa?” Rivolge di nuovo lo sguardo al ragazzino seduto accanto a lui. Fa pena da vedere. È scosso da brividi, singhiozza. Ora stanno attraversando il borgo lungo e stretto di Brasparts, questo villaggio storto, tutto in salite e curve. E la natura arrabbiata che non smette di scatenarsi. I fili dell’elettricità che fischiano, il vento che ruggisce...

Ora sono all’uscita del borgo, di fronte al piccolo supermercato. L’uomo si ferma sul ciglio della strada. Cosa farne di lui? Lasciarlo qui? C’è luce e potrà ripararsi sotto la tettoia del negozio. Sembra che stiano per chiudere, ma c’è ancora gente. Qualcuno potrebbe prenderlo, chissà? Per l’ amor di Dio, che fare?”

Come ti chiami? Io sono Alan”, disse, puntando il dito sul suo petto. “E tu?”

Io? Moussa”, risponde il ragazzo con un filo di voce.

Moussa, un nome facile da ricordare, a onor del vero”.

Ora che ha tolto la maschera, distingue chiaramente i tratti del ragazzo sotto la luce del lampione: è molto giovane. Un adolescente. Quanti anni potrà avere? Sedici, diciassette anni? Al massimo18. Ha un viso molto magro, molto diverso da quello dei neri che ha avuto occasione di vedere a Morlaix o a Brest; un ragazzino, con un viso imberbe, tenero e delicato, capelli corti e ricci.

Pleyber-Christ? E se lo portassi fin là? Ma dove?

È ancora perso nei suoi pensieri quando riecheggia la suoneria di un cellulare. È quello del ragazzo.

–“Moussa?”

– “Yes”.

– “Dove sei? Where are you?”

È Sandrine. “Cos’è successo?”

Alan guarda il ragazzo completamente confuso. Prende il telefono e spiega velocemente chi è e cosa è successo. Una voce di donna, affannata, spiega che era andata ad aspettare Moussa alla fermata dell'autobus, ma non c’era nessuno. Inoltre, c'è stato un altro problema; lei ora si trova tra Morlaix e Guingamp, precisa, l’hanno appena chiamata, suo padre ha avuto un attacco e si trova al pronto soccorso dell’ospedale Ponchaillou a Rennes. Non potrà essere di ritorno prima di domani, se non forse domenica, a seconda delle condizioni di suo padre. Il giovane africano guarda Alan fisso, intimidito e ansioso.

– “Bene. Me ne occuperò io, lo porto a casa mia per la notte, altrimenti morirà qui”, dice Alan dopo un momento di silenzio. “Ci sentiamo domani e vedremo insieme a lei come fare”.

– “Grazie infinite, signore...? Gueguen, Alan Gueguen... Le dirò di più domani”.

– “Ti va bene così, ragazzo?” gli dice restituendogli il telefono.

Si rimette in marcia subito. Subito dopo Gigi salta davanti sulle ginocchia di Moussa, che inizia a carezzarla. “Beh, ecco qui un’altra sorpresa, lei che di solito è sempre così diffidente con gli stranieri”, pensa l’uomo.

(traduzione dal francese di Teresa Geninatti Chiolero)