... un sentiero d’emozioni
ci fa
conoscere i colori
della vita
e noi camminiamo
e viviamo
cercando l’emozione
del sentiero...
Marco Mastrocola nasce a Torino, nel 1964, ma presto nella sua vita si traccia un sentiero che pian piano lo riporta ad altri luoghi, ad altre radici. Laureato in Ingegneria Areonautica – saper costruire per viaggiare volando, qual più bel sogno – ha trascorso in Valle Po parte dell’infanzia e dell’adolescenza appassionandosi ai luoghi, alle persone, alla cultura e alla lingua occitana. E frequentando quei luoghi, in momenti d’ispirazione e abbandono, guardando i boschi, seguendo con gli occhi le creste, i valloni e le cime che fanno da sfondo alla valle, si ritrova a scrivere nella lingua che egli aveva sempre considerato “di famiglia”, ma in qualche modo distante ed estranea al mondo sociale e linguistico della capitale piemontese. A casa si diceva “su e ju”, ma anche “amont e aval”, “aiga”, ma anche “eva”, “lo viòl” e “el senté”, “frema” o “fomna”, e sarà una piccola sfumatura, “bicheret”, oltre che “bicherin”. Senza dubbio una scelta di cuore, come inconsapevole, nel donarsi alla produzione letteraria e poetica, cercando i suoi “mirtilli di vita”. Come dice Matteo rivoira, nella sua presentazione: “Marco Mastrocola con delicatezza ed efficacia trae da una delle sue lingue native, l’occitano dell’alta Val Po – principalmente nella varietà di Ostana, ma la sua vicenda familiare gli permette di attingere anche a quella della dirimpettaia Oncino – parole e immagini che lasciano il segno: un sapore inconfondibile in bocca e un tenace sughetto violaceo sulle dita”. Un’importante testimonianza linguistica, spiega il professore, oltre che per “la posizione particolare che assumono i testi di Mastrocola rispetto alla più vasta produzione poetica occitana cisalpina in relazione ad alcuni temi”. Il mirtillo, antico simbolo di gioia, amore e allegria, di ospitalità, “zucchero sottile” percepito “in un attimo o un’ora”. Un bacca la cui etimologia rimanda al nero, allo scuro. Nella vita, purtroppo, si assaggiano anche frutti più amari, esperienza confidata da Mastrocola con franchezza e umiltà nella poesia “Sono stato soldato”: “passerà anche lei / quest’ora di guerra / ma per me non ci sarà più primavera / perché anche io / purtroppo / ho dato sofferenza a qualcuno”. Così gioia e dolore convivono. Tutto sembra riassunto leggendo la poesia che dà il titolo al libro.
O sì, siamo noi
con il dolore e la gioia
con il pianto ed il riso
Quando prima siamo
montagna
e poi vallone
Sì siamo noi
per la strada e la piazza
silenziosi
in casa a pensare
Siamo noi che cantiamo
noi che litighiamo
e alimentiamo
la festa
siamo noi
che in un attimo o in un’ora
abbiamo percepito
lo zucchero sottile
ci siamo macchiati di blu
le dita e la bocca
siamo noi
che abbiamo assaggiato
i mirtilli della vita!
In stagione – la natura è così, offre e chiede, bisogna andarle incontro – verso luglio o agosto, a seconda dell’ambiente, si va per mirtilli. Bacche scure, ma dolci, nutrienti, benefiche. Il mirtillo è una pianta che cresce bene in montagna, preferendo un terreno fertile, ma acido. Una pianta stoica, si potrebbe dire, ma che può regalare un’esperienza alquanto epicurea. Oltre che come alimento, da immemore tempo è conosciuto per le sue proprietà medicinali, per alcuni magiche (i popoli nordici ritenevano che la pianta di mirtillo potesse combattere la sfortuna) e ancora fino al XVIII secolo adoperato come tintura naturale per ottenere tonalità che vanno dal rosso, al blu, al violetto, al grigio, al nero. In Europa e Asia, per vestire dai sacerdoti agli schiavi, dal povero al re, ma anche oltreoceano, dagli indiani d’America, che coloravano i propri corpi e tessuti (in questo caso con il mirtillo rosso) e lo consideravano simbolo di pace. Così Mastrocola sembra elevare questo frutto a simbolo del dono che la vita offre all’essere umano, nel comporre non solo per guardarsi e scoprirsi, per gustare il frutto della vita, ma per offrire le sue poesie, le sue “canzoni”. Lasciando la parola all’autore: “Ho sempre pensato che la canzone sia dell’autore solo quando questi la sta scrivendo, ma poi, se e quando passa ai lettori, diventa di tutti coloro ai quali è in grado di suscitare emozioni, magari diverse e personali in ciascuno; solo allora diventa universale e diviene davvero Poesia. È una considerazione che può valere per ogni tipo di Arte”.
Afflictis lentae, celeres gaudentibus horae
Occhi che non vorrebbero
vedere
Con occhi che non vorrebbero
guardare
Si incontrano alla verità
nascosta dalla speranza
Dolore che si fa pena
Pena di un dolore
che non arriva
E il tempo
quasi si ferma
Come il fiume
che entra nel mare
Al momento
senza ritorno
“Lente le ore per gli afflitti, veloci per i gaudenti”. Il vecchio detto latino ad incipit e la poesia che ne segue, dal titolo “L’Ora”, possono forse rendere la dimensione esistenziale che permea la poetica di Mastrocola. A volte si ha la sensazione che le sue parole vogliano dire, contenere qualcosa di più, incidersi e allo stesso tempo valicare sé stesse per esprimere un significato ancora più denso e misterico, come in un haiku: le poesie “Vegliare” (Si ode un Rintocco / Una Nuvola Bianca /Cela la Luna), “Donarsi” (Di qui e di là / Da sola lavora ancora / Un’ape va), “Lì”, liberamente ispirata ad un componimento di Issa, antico maestro in quest’arte compositiva, o “Ater” (Scuri come la notte / nera da far paura, tuttavia / dolci sono i mirtilli), esplicitamente resa in questa forma letteraria, testimoni di un profondo amore per una poesia speculativa, tesa alla ricerca e alla meditazione sul senso della vita. Dice l’autore in una breve nota: “Praticamente in chiusura di stampa, dopo aver letto nella prefazione di Matteo Rivoira il riferimento all’etimologia della parola Ater/Nero/Scuro e il relativo invito, non ho potuto sottrarmi all’esercizio e, su schema di Haiku, ecco questo piccolo componimento”. Nella seconda parte libro sono presenti altre due sezioni, “Racconti”, in italiano, dal titolo “L’invisibile filo”, e “Traduzioni”, contenente quattro celebri poesie rese in lingua materna. Dice Catullo in Odi et Amo: “Odio ed Amo / Forse ti chiedi perché io lo faccia / Non lo so, ma sento che mi succede / e ne soffro”. Un sentimento, la sofferenza, ben provato ed espresso anche da Mastrocola, come nella poesia “Ragione e sofferenza: “Essere tranquillo / non è / il mio destino / spenta una ragione / dimenticato un tormento / un altro fuoco si accende”. E di fronte alla tragica constatazione del poeta romano, quasi in risposta, con parole ispirate, profonde, come scolpite, cercando di aprire gli occhi, di conoscere il sogno per risvegliarsi da esso, dalla sua penna sembra nascerne una continuazione.
E se l’amore, quello vero
Non ci troverà
pronti
Andremo a cercarlo
Notte e giorno
E cercheremo la Luna
Che ritorna dopo
il suo tempo
E cercheremo Speranza
Che ci farà sognare.
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