Portal Francoprovensal    Approfondimenti Inchieste Articoli FRP

Memouére francoprovensale

Memorie francoprovenzali

Memouére francoprovensale

Un viaggio nella lingua e nella cultura francoprovenzale. A cura di Matteo Ghiotto.

italiano

1-Storia, lingua, cultura in Francoprovenzale

La letteratura offre alla scrittura, che sia in prosa o versi, la possibilità di tramandare i valori e le tradizioni di una civiltà o di una cultura. Si è abituati a parlare di letteratura francese, italiana, inglese, insomma delle grandi identità nazionali, ma sopravvive, grazie al lavoro di una “nuova” generazione e di una nuova sensibilità verso le minoranze linguistiche, un tipo di letteratura in lingua madre che conta, tra le particolarità, una buona rappresentanza femminile per la poesia e racconti moderni per bambini e adulti.

2-Vino del ghiaccio

Il Piemonte, si sa, è una regione in cui l’aspetto enologico è davvero caratterizzante. E questo succede anche in territori dove meno ce lo si aspetterebbe, come quelli di montagna dove si è diffusa la pratica di ottenere il vino dalla fermentazione dei grappoli congelati (bevanda che, appunto, si definisce “vino del ghiaccio”) accompagnata da una vendemmia più tardiva delle uve e con un particolare tipo di lavorazione sicuramente non usuale.

3-Il focolare (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Il focolare è quella parte di abitazione che subito fa ricordare le sere invernali passate al caldo, riuniti attorno a questo fulcro che annulla le distanze generazionali e “trasporta” un ricco bagaglio di tradizioni culturali fatte di aneddoti e storie raccontate e tramandate di generazione in generazione.

4-Il burro (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

La lavorazione del latte è una di quelle attività che hanno costituito la base alimentare di molte generazioni familiari che vivevano e lavoravano nei territori di montagna, ma il burro è anche un alimento che racconta storie, storie di fatica e di semplicità, di tradizioni e di legami con il territorio.

5-La madia (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Le madie sono dei mobili rustici e nascono come contenitori di legno rettangolari a coperchio ribaltabile e a sponde alte utilizzate per impastare il pane casereccio, quindi come piano lavoro, o per custodirvi lievito madre o la farina, ma anche per conservarvi il pane una volta pronto: un mobile “d’altri tempi”, ma che, di fatto, non invecchia mai!

6-Il formaggio (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Il formaggio è il tipico prodotto che ha accompagnato nel corso dei secoli l’alimentazione degli abitanti di montagna, ma questo non è solo un alimento: è una tradizione, uno scrigno di sapienza e di arte del “fare” che è bene preservare perché, alla fine, diciamolo… quanto è buono gustarsi una bella fetta di toma d’alpeggio?

7-Il banco del fabbro (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Il bancone del fabbro era un luogo di lavoro specializzato che serviva per produrre o lavorare oggetti in metallo che accompagnavano molti aspetti della vita montana: venivano realizzati chiodi, serrature, complementi per oggetti in legno, utensili da lavoro. L’officina del fabbro era un luogo centrale per la vita del paese e spesso aggregava le persone che qui si recavano per le proprie esigenze.

8-Il letto (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Il letto nella tradizione delle case di montagna solitamente non è molto grande perché vi era l'esigenza di dormire vicini, soprattutto per riscaldarsi nelle fredde notti invernali. Ovviamente non aveva nulla a che vedere coi letti soffici e morbidi dei giorni contemporanei, ma da sempre il letto rappresenta il momento della quiete e del riposo dopo le lunghe giornate di lavoro.

9-La tavola (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

La tavola è il luogo in cui viene consumato il pasto e che riunisce i componenti della famiglia: un tempo essa era composta da piatti di terracotta e posate di legno con cui si attingeva alla polentiera, un contenitore più grande che conservava la polenta, uno degli alimenti base della dieta di montagna, che, talvolta, era accompagnata anche dalla carne. Nonostante la semplicità, la tavola di un tempo vedeva gioia, allegria dello stare insieme, ma anche fatiche e difficoltà.

10-Il gipeto (serie biodiversità in Valle Susa, 2021)

Il gipeto: il gigante della Valsusa. Questo volatile, chiamato anche avvoltoio degli agnelli, è un rapace molto particolare. Si nutre delle ossa e del midollo osseo delle sue prede. Estinto sulle Alpi nel 1913, è tornato a popolare le nostre montagne grazie ad un ambizioso progetto di reintroduzione, che abbraccia anche altri territori delle Alpi, tra cui Austria e Svizzera.

11-Il lupo (serie biodiversità in Valle Susa, 2021)

Il lupo è un mammifero molto adattabile, veloce e resistente che tende a vivere nelle zone con elevata quantità di prede (cinghiali, cervi) o bestiame incustodito. Un tempo presenza costante nei territori valsusini, ha rischiato l’estinzione a causa delle attività umane e degli abbattimenti, ma oggi stanno gradualmente tornando a ripopolare i territori di montagna.

12-L’albero della susina (serie biodiversità in Valle Susa, 2021)

La coltivazione del ramasin è prerogativa di microclimi collinari, ma essendo una pianta poco esigente in fatto di cure colturali ed interventi fitosanitari e resistente al freddo, può essere coltivata fino ad oltre 1.200 metri di altitudine senza problemi. Inoltre il ramasin si adatta bene alle varie tipologie di terreno. Il frutto è una piccola susina di circa 1,5 per 3 centimetri, di forma ovale, che a seconda della varietà assume una tonalità dal giallo ambrato al blu fino al viola intenso. E se è buono a gustarsi sia direttamente dalla pianta al consumatore che sotto forma di preparazioni artigianali, è altrettanto bello da vedere. La fioritura di ramasin, che avviene in genere tra fine marzo e la prima decade di aprile, ammanta infatti la pianta di bellissimi fiori bianchi.

13-L’acqua (Paróles dou trezor – Giaveno)

L’acqua è un elemento prezioso che, nei tempi passati, aveva molteplici funzioni, soprattutto quella piovana: essa veniva raccolta per bagnare gli orti e abbeverare gli animali, per lavare gli indumenti nei lavatoi, per l’igiene quotidiana. Quando pioveva troppo, gli abitanti delle borgate si recavano con secchi per pulire i canali che altrimenti si sarebbero intasati.

14-Il frassino (Paróles dou trezor – Giaglione)

Il frassino è una pianta molto robusta che caratterizza gran parte del basso paesaggio delle valli alpine, come la Valle di Susa. Gli usi che se ne potevano fare riguardavano sia le foglie (usate come foraggio per le capre nei momenti di scarsità d’erba) sia il legno (usato per produrre attrezzi e mobili).

15-La resina (Paròles dou trezor – Gravere)

La resina viene soprattutto ricavata dalla corteccia degli abeti bianchi e, sebbene oggigiorno essa sia una sostanza non proprio “amica” specie dei vetri delle macchine perennemente da pulire, un tempo era molto usata per far riassorbire gli ematomi e veniva ricavata direttamente dalla pianta per colatura.

16-Il carnevale (Parolès dou trezor – Coazze)

Il carnevale, soprattutto nei paesi delle vallate alpine come Coazze (ma ce ne sono molti altri in Valle Susa), ha mantenuto vive delle tradizioni molto antiche, alcune risalenti all’antica eredità pagana di cui questo territorio è molto ricca. Oltre ad essere un momento di convivialità e divertimento, era anche l’occasione per diventare” qualcun altro nascosto dietro le tipiche maschere.

17-Il cielo (Paròles dpu trezor – Frassinetto)

Il cielo in montagna regala spettacoli difficilmente visibili in altri contesti, soprattutto quelli urbani; non è sempre facile trovare in ambiente montano un cielo sereno perché spesso vi è molto passaggio di nuvole, ma quando questo accade si prova una grande sensazione di pace e rilassatezza.

18-La piazza (Paròles dou trezor – Gravere, Mollar)

Questo spazio cittadino era molto importante nelle borgate di montagna perché costituiva (e per molti versi ancora oggi costituisce) il fulcro del paese, il luogo dove avvenivano gli incontri quotidiani con i compaesani, il luogo di ritrovo per il mercato che metteva in comunicazione merci e persone, era il luogo centrale per la partenza delle manifestazioni religiose che aggregavano il paese.

19-La scuola (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Le piccole scuole di montagna rimandano a un tempo di ricordi e di infanzia che oggi, in parte, si è perso: il banco in legno con calamaio e portapenne, la lavagna di ardesia, la stufa che scoppiettava e scaldava gli scolari nelle fredde giornate invernali, la maestra che insegnava le basi della lettura, del far di conto e della scrittura: un tempo di giochi ma anche di apprendimento per la vita “da grandi”.

20-La genziana (Paròles dou trezor – Balme, valli di Lanzo)

La genziana è una pianta particolarmente utile in montagna e usata per diversi scopi, in particolare con funzione di medicinale in quanto dava beneficio per i disturbi gastrici di umani e animali e per la produzione di un distillato ancora usato al termine di pasti un po’ “pesanti” come ottimo digestivo.

21-Le masche (Paròles dou trezor – Frassinetto)

Le Masche o streghe, nell’immaginario collettivo erano in genere delle donne brutte e vecchie che vivevano in campagna o nei piccoli borghi di montagna, lontane dalla civiltà. Erano delle donne dai poteri magici, capaci di sortilegi malefici ed inquietanti. Furono, infatti, protagoniste di leggende dalle vicissitudini controverse, crudeli e molto spaventose ed erano usate per macabre storie della buonanotte con i bambini un po’ troppo vivaci.

22-Il paese (Paròles dou trezor – Ceresole Reale)

I paesi di montagna presentano caratteristiche che li accomunano e li rendono dei piccoli gioielli incastonati tra i pascoli e le vallate alpine: la piccola chiesa, le case di pietra e legno, le botteghe in cui un tempo si svolgevano molteplici attività economiche ed artigianali, la scuola, spesso un edificio minuscolo ma in cui si sentivano le risate e i giochi dei bambini; i ritmi di vita moderni hanno imposto spesso un abbandono di queste “isole felici” senza tempo.

23-Gli attrezzi per la lavorazione della lana (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia)

La filatura, con le operazioni strettamente connesse, era un lavoro tipicamente invernale; in questa stagione venivano quindi usate sia le lane della tosatura primaverile, sia quelle della tosatura autunnale. Per filare la lana in passato si usavano il fuso e la rocca, anche per altri tipi di materiali come la canapa e il lino.

24-Il sindaco (Paròles dou trezor – Giaglione)

Il sindaco, soprattutto nei piccoli paesi, ha molte responsabilità, anche se non sembrerebbe così, ma in realtà ci sono molte difficoltà cui odver prestare attenzione e far fronte, dalla mancanza di fondi economici al mantenimento dei servizi come scuola e ufficio postale perché spesso a rischio con la conseguenza del continuo spopolamento in favore dei centri urbani più grandi. E poi la missione più complicata: mantenere la concordia tra i cittadini.

25-Intervista a Gigi Ubaudi sulle canzoni e musiche in frp – Valli di Lanzo

Le musiche e le canzoni in francoprovenzale non si sono diffuse in modo omogeneo nei territori di questa lingua madre rimanendo spesso confinate all’interno dei singoli paesi e delle piccole borgate perché si preferiva utilizzare il piemontese e qualche volta l’italiano; esse nascono spesso con il tono scherzoso ed irriverente della presa in giro di qualche difetto o situazione di un altro paese confinante con cui ci possono essere delle “scaramucce”, in genere riguardanti le ragazze.

26-Lou tsamin francoprovensal – 1° tappa Novalesa

28 giorni di percorso, più di 500 chilometri in viaggio tra Piemonte, Savoia, Alta Savoia, Vallese svizzero, Valle d'Aosta, un percorso a più “soste” per vivere i luoghi della lingua francoprovenzale a partire dalla prima tappa: Novalesa.

27-Lou tsamin francoprovensal – tappa Valli di Lanzo

Un altro territorio legato alla lingua francoprovenzale e tutelato dalla legge 482 per le minoranze linguistiche è quello delle Valli di Lanzo che sono tre valli delle Alpi Graie piemontesi, comprese tra la Valle dell'Orco a settentrione e la Val di Susa a meridione. Solcate da vari torrenti (in ogni valle chiamati Stura), che confluiscono nel fiume Stura di Lanzo, prendono il nome dalla cittadina di Lanzo Torinese, posta su un'antica morena glaciale al termine delle valli: anche questi territori hanno visto il passaggio di una delle tappe del cammino francoprovenzale.

28-La storia della pita di Gravere

“La Pita” venne costruita nel 1775 da un tal “Pin Saret” che la utilizzò inizialmente come mulino per poi trasformarla in frantoio. In essa venivano schiacciate le mele per ricavare un sidro da unire al vino prodotto con le uve meno mature e ottenere, in questo modo, la “piqueta”: un vinello gradevole e dissetante di pronto consumo. La ruota del mulino della Pita girava incessantemente nei mesi invernali e attorno ad essa si radunavano le persone delle varie frazioni di Gravere e dei comuni limitrofi in lunghe veglie notturne. Nel 1960 “la Pita” cessò di funzionare e venne abbandonata; poco per volta, come tanti altre testimonianze della storia locale, stava andando in rovina e rischiava di essere definitivamente cancellata dai ricordi. Nel 1996 l’ultimo suo proprietario Edoardo Morello la donò all’Amministrazione Comunale e dal 1999 viene qui allestito il presepe della comunità.

29-Il carbone (Paròles dou trezor – Giaveno)

Il carbone di legna era un materiale prezioso perché serviva a tanti scopi: far funzionare le fucine dei fabbri, per diverse attività economiche, per il riscaldamento domestico; molto spesso le famiglie che vivevano in montagna e producevano questa importante risorsa scendevano fino nelle grandi città come Torino per trasportarlo e venderlo.

30-I mestieri di un tempo in montagna (Selvaggio – Giaveno)

In prevalenza in montagna nei tempi passati si viveva di agricoltura, ma spesso era necessario integrare con altri lavori, come il muratore o, in alcuni momenti particolarmente difficili, a emigrare in Francia; altre attività praticate erano la tessitura e la lavorazione dei rastrelli che erano affidate a un gruppo ristretto di famiglie delle borgate durante l’inverno e poi, nelle fiere primaverili, i prodotti venivano commercializzati con i paesi limitrofi, ma arrivavano anche fino a Torino.

31-Le stelle (Paròles dou trezor – Frassinetto)

Le stelle non vengono chiamate per nome: quando si è in montagna è sufficiente perdersi nella loro luminosità e vederle brillare come in città non si può fare e, in determinati periodi dell’anno, affidare speranze e desideri.

32-Intervista su antichi mestieri e abitudini di vita a Ceresole Reale

Ci sono ancora persone che, nei paesi delle vallate alpine, come Ceresole Reale, possono fornire preziose testimonianze su abitudini e tradizioni di vita cui oggi non si è più abituati: svegliarsi nel cuore della notte per portare al pascolo le mucche in estate, fare colazione con polenta e formaggio mentre si è in alpeggio, portare la legna con la mula, praticare un mestiere differente in inverno, come il falegname; una vita scandita dal lavoro, semplice, ma ricca di amicizia e condivisione.

33-Proverbi e racconti in frp

Nell’antica saggezza dei montanari la signora Adalgisa Pognant documenta un antico rapporto vivo tra la comunità rurale ed alpina e l’ambiente severo e non sempre facile della vita di un tempo di cui fa parte un ricco e colorito bagaglio di miti e leggende che avevano tra i protagonisti principali creature magiche e a volte molto dispettose come le streghe o i maghi.

34-I ripiani sotto le finestre (Museo etnografico “Vita montana in Val Cenischia”)

Le case di montagna di un tempo avevano necessità di utilizzare tutti gli spazi possibili, talvolta adoperando soluzioni ingegnose ma molto funzionali come i ripiani sotto alla finestra che servivano per conservare principalmente gli oggetti della cucina come mestoli e schiumarole e che venivano “mascherati” attraverso una tenda; sullo stesso principio si concepivano gli armadi a muro.

35-Natale (Paròles dou trezor)

Il Natale, oltre ad essere uno dei periodi più magici dell’anno, porta con sé tanti gesti simbolici che rimandano a tempi antichi in cui il centro della festa erano le cose semplici: la gioia di preparare la casa con addobbi e dolci, la preparazione per la messa di mezzanotte, la degustazione di prelibatezze a cui si era rinunciato durante l’anno, la famiglia riunita senza differenze di età davanti al fuoco crepitante.

36-Il tessitore di Coazze

La tessitura era un’arte riservata alle donne, essenziale e indispensabile per la vita del passato, che avveniva sotto la direzione di maestre del mestiere o, nell’ambiente rurale, di madri e nonne. Nelle campagne, e non, ogni donna, ultimati i lavori domestici, sedeva davanti al telaio a pedali e con l’uso dei piedi e delle mani trasformava in tessuto i fili di fibre vegetali coltivate nei campi, o la lana delle pecore e delle capre delle masserie. A Coazze l’antico mestiere viene portato avanti da un uomo, cosa insolita ma non qui!

franco-provenzale

1-Istouére, Leinga, Culteura en Francoprovensal

La literatura lhe semont a l’ehretura, que lhe sisse en prosa on en vers, la possibilità de tramandar le valour e le tradishon d’ina sevilisashon on d’ina cultura. De sein acohemà a parlar de literatura fransésa, italian-na, anglésa, de le greunte identité nashonale, ma lhe survit, pre lo travalh d’ina “nova” dzenerahion e d’ina nova sensibilità envers le minoranse languestique, in tipo de literatura en leinga mare que lhe conte, entrotro, ina bon-na representanse femenin-na pre la poesì e le conte moderne pre moueinà e greunn.

2-Vin do glhé

Lo Piemon, i se set, ét ina redzon enté que lo caro engardeunn lo vin ou l’eut de plu tepicco. E heunn i s’en passe asseu din li teritouéro aion que in ou se zo atendereut pa, tal que hi de montinheu enté que lh’eut defusaia la praticca de fare lo vin dipé de la fermentashon de le rape dzalaie (brevanda que, de fet, lhe se defeneit “vin do glhé”) acompanhò d’ina vendeindze plu tardiva de reisin e avó in tipo de lavorashon suremeunn pa usualo.

3-Lo foulèr (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Lo foulèr ét helò pert de moueizhon que fit lhe fet sondzér i véfro d’evert passà o tsot, amassà a l’entòrt de he poueunn sentralo qu’ou defet le destanse entre dzenerahion e “ou porte” in retsó begadzo de cohume culturale féte de conte e de controle contaie e tramandaie de dzenerahion en dzenerahion.

4-Lo beurio (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

La lavorashon do lahel ét unò de heleus ativitaie qu’ou l’ont representà la base alimentéra de bieunn de dzenerahion qu’ou veviont e ou travalhévo din li teritouéro de montinheu, ma lo beurio ét asseu ina nuhritura que lhe deut d’istouére de fatiga e de simplour, de cohume e de lieunn avó lo teritouéro.

5-La met (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Le met ou sont d’amobladzo de moueizhon e ou neisso tal que de bouihe de boué caraie a crevehel dehatsablo e ridéle hote anovraie pre empahar lo pan, adonca comme plan de travalh, on pre vardar-zi la levura mare on la farenò, ma asseu pre vardar-zi lo pan in còl preust: in amobladzo “d’otri tein”, ma que, de fet, ou veunt zhamé vieulh!

6-Lo tomò (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Lo tomò ét in prodouì tepicco qu’ou l’at acompanhò o lon di séclho l’alimentashon di abeteunn de montinheu, ma heunn ét pa maque ina nuhritura: ét ina cohuma, in cofro de savér e d’art do “fare” qu’i fot mantenir pre mo que, a la fin, que bon qu’ét de mendzér in bon morsel de tomò d’arpadzo?

7-Lo ban do fordzeron (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Lo ban do fordzeron ou l’éret in caro de travalh spessializhò qu’ou sarvet pre prodouire on travalhér d’odzeut de metelh qu’ou l’acompanhévo bieunn de momeunn de la viò montan-na: ou veniont fet de clho, de seralhe, de complemeunn pre d’odzeut en boué, d’ése pre li travalh. La fesenò do fordzeron lh’éret in caro sentralo pre la viò do veladzo e souveunn lh’agregéve le presseneu qu’iheu ou se rendiont pre ses esedzeinse.

8-Lo lhit (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Lo lhit din la cohuma de le moueizhon de montinheu do soli ou l’eut pa teunn greunn pre mo qu’i avet l’esedzeinse de droumir protso, surtòt pre assodar-se din le freide nouet de l’evert. Sur ou l’avet pa reunn a fare avó li lhit candio e cocho di dzòrt d’incoueu, ma dipé delon lo lhit ou represeinte lo momeunn de la pé e de l’arpó apré le londze dzornaie de travalh.

9-La trabla (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

La trabla ét lo caro enté qu’i se mindze e qu’ou l’amasse li meimbro de la familhe: in còl lh’ére composaia d’ishéte en teracouéta e posaie de boué avó lequinte i se prenet de la poleintére, in souteunn plu greunn qu’ou l’avarantet la poleinta, unò de le nuhriture a la base de la diéta de montinheu, que, endecòl, lh’éret asseu acompanhò de la vianda. Malgrà la simplour, la trabla d’in còl lhe vaiet la dzoué do vivre ensein, ma asseu de fatigue e de dificultaie.

10-Lo votour (serìe biodiversità en Val de Suse, 2021)

Lo votour: lo dzeeunn de la Val de Suse. Het esouel, asseu mandà votour di anhel, ét in rapasso spessialo. Ou se nuhreit di os e de la miolò de se proie. Deferdù dessù les Alpe do 1913, ou l’eut tornà a poplar nohre montinheu mersì a in prodzeut armerieunn de reintrodushon, qu’ou l’embrahe asseu d’otri teritouéro de les Alpe, entrequin Austria e Souihe.

11-Lo lou (serìe biodiversità en Val de Suse, 2021)

Lo lou ét in mameféro bieunn adatablo, lindo e resesteunn qu’ou teunt a vivre din li caro enté qu’i at plu de proie (sanglhér, cévro) on de béhe envardaie. In còl sa preseinse lh’ére costeinta din li teritouéro valsusin, ou l’at riscà l’estinshon a cosa de les ativitaie uman-ne e di abatadzo, ma incoueu a petiòt pa ou l’eut apré a tornar pre repoplar li teritouéro de montinheu.

12-Lo ramassin (serìe biodiversità en Val de Suse, 2021)

La cultivashon do ramassin lhe se fet de prefereinse en colin-na, totun en teunn que planta pa véro esedzeinta pre soueunn e entreveunn fitosanitéro e resesteinta o fret, lhe pout iéhre cultivaia tein qu’a plu de 1.200 métre de hotour seinsa fastudio. De plu lo ramassin ou s’adate bieunn a tsaque terein. Lo frouì ét ina petiota prune d’empopré 1,5 pre 3 sentimétre, de forma ovala, que selon la calità lhe preunt ina nuanse do dzono hur o bleu tein qu’o violeut fonsà. E s’ou l’eut si bon a savourar de la planta o consumatour que desòt forma de preparashon artesanale, tavalheunn ou l’eut bel a vér. La floureson do ramassin, que lhe s’en passe entre la fin de mars e li premiér dzòrt d’avril, lhe crive la planta de formidable flour blantse.

13-L’éva (Paróles dou trezor – Dzaveunn)

L’éva ét in elemeunn preshoù que, din li tein passà, ou l’avet bieunn de fonshon, pé dzò helò de la plodze: lhe venet arparaia pre eivar li òrt e aberar le béhe, pre lavar le guenilhe din li batsé e pre lo poulit de touit li dzòrt. Canqu’i plovet tròt, li abeteunn de le bordzìe ou l’alavo avó li sedzelin pre netiér li bialér que dontrameunn ou iéro ahopà.

14-Lo franho (Paróles dou trezor – Dzalhon)

Lo franho ét ina planta coustouò que lhe deharneit ina greunta pert do paisadzo de le valaie alpin-ne, tal que la Val de Suse. Li usadzo ou l’engardavo sisse le folhe (anovraie en teunn que foradzo pre le cévre din le periode de manca de paherò) sisse lo boué (anovrà pre fabricar moblo e amobladzo).

15-La pigolò (Paròles dou trezor – Gravére)

La pigolò lhe veunt surtòt prein de la crefò di sap e, bieunn qu’o dzòrt d’incoueu lhe isse ina sostanse pa teunn “amisa” pé dzò di véro de le vouiture delon a tortsonar, in còl lh’éret ina vreiò anovraia pre fare sorbir li ematomo e lhe venet prein dret de la planta pre coulatura.

16-Lo carnaval (Parolès dou trezor – Coasse)

Lo carnaval, pé dzò din li veladzo de le valaie alpin-ne tal que Coasse (ma i nh’at plein d’otri din la Val de Suse), ou l’at mantenù veveinte de cohume ina vreiò viélhe, carcuneu remonteinte a l’eretadzo paian doquin he teritouéro ou l’eut si bieunn retsó. Endelai do fet d’iéhre in tein de partadzo e d’amusemeunn, ou l’éret asseu l’ocazhon pre “venir” in otro cachò darére le vesadzére.

17-Lo shél (Paròles dpu trezor – Frassinei)

Lo shél de montinheu ou done de spetaclho defessilho a vér en d’otri contesto, pé dzò hi urban; ét pa delon simplo de trovar en montinheu in shél clher pre mo que souveunn i at bieunn de passadzo de nhéble, ma stou que heunn i s’en passe i se prove in seins de pé e d’arlé.

18-La plahe (Paròles dou trezor – Gravére, Mollar)

He caro urban ou l’éret ina vreiò emporteunn din le bordzìe de montinheu pre mo qu’ou costituet (e pre bieunn de reison ou costitueit encorò incoueu) lo noiel do veladzo, lo caro enté qu’ou s’en passavo le rencontre avó li compaisan, lo caro de culhetò pre lo marchò qu’ou betave en comunicashon de marchandise e de presseneu, lo caro sentralo pre la partanse de le manifestashon reledzouse qu’ou l’agregévo lo veladzo.

19-L’ehola (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Le petiótes ehole de montinheu ou l’armando a in tein d’ensevenianse e d’enfanse qu’incoueu, en pert, ou s’at predù: lo ban de boué avó lo caramal e lo portaplemeu, l’ardése, lo pouélo qu’ou petrelhéve e ou l’assodave li eholiér din le freide dzornaie d’evert, la magistra que lhe mohrave le base de la letura, do fare li contio e de l’ehretura: in tein de dzouò ma asseu d’amprentissadzo pre la viò “da greunn”.

20-La dzahan-na (Paròles dou trezor – Barme, valaie de Lans)

La dzahan-na ét ina planta pé fran utila en montinheu e anovraia pre de but difareunn, pé dzò en teunn que medehenò pre mo que lhe donave in édo pre li dehourbo de l’estomi de le presseneu e de le béhe e pre la produshon d’in licour encorò anovrà a la fin de past taspó tròt “peseunn” pre fare dedzerir.

21-Le sorshére (Paròles dou trezor – Frassinei)

Le sorshére, din l’emadzenéro ou iéro do soli de feméle léde e viélhe qu’ou veviont en campanhe on din li petiòt veladzo de montinheu, louein de la sevilisashon. Ou iéro de feméle avó de potér surnaturalo, capable de teriblo malefisho. Ou sont ihaie, de fet, le protagoniste de controle avó de vississitude enserténe, crouéle e bieunn afardeinte e ou iéro anovraie pre d’istouére afrouse de la bon-nanouet avó li moueinà ina vouére tròt vi.

22-Lo veladzo (Paròles dou trezor – Seresole)

Li veladzo de montinheu ou preseinto de tret qu’ou li acoblo e ou li reindo de petiòt bedzoieut en caston entre li pahér e le valaie alpin-ne: la petiota eglhise, le moueizhon de labio e boué, le beteieu enté qu’in iadzo ou se derolavo bieunn d’ativitaie economique e artesanale, l’ehola, souveunn in petiòt batemeunn ma enté qu’ou se sentiont le racanhéle e li dzouò di moeuinà; li ritmo de viò moderno ou l’ont emposà l’abandon de hétes “ile eirouse” seinsa tein.

23-Li moblo pre la lavorashon de la lan-na (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

La filatura, avó les operashon iliaie, lh’éret in travalh do tein de l’evert; pendeunn héta seson ou veniont anovraie sisse le lan-na de la tondouò de la premò, sisse heleu de la tondouò do seimetsìe. In iadzo pre felar la lan-na ou s’anovravo lo fu e la colenheu, asseu pre d’otre calitaie de materialo tal que la riha e lo lin.

24-Lo santicó (Paròles dou trezor – Dzalhon)

Lo santicó, surtòt din li petiòt veladzo, ou l’at bieunn de responsabilitaie, asseu s’i seimbleret pa parér, en realità i at ina vreiò de dificultaie a lequinte fare ameunn e fare fron, de la manca de sout o mantenimeunn di sarvisho tal que l’ehola e l’ufisho de posta souveunn en dandzér avó la consequeinse d’in depoplameunn en favour de le veleu plu greunte. Apé la mishon plu defessilhe: mantenir l’armonì entre li sitadin.

25-Entrevue a Gigi Ubaudi dessù le tsahon e le mesique en frp – Valaie de Lans

Le mesique e le tsahon en francoprovensal ou se sont pa defusaie de manére semblabla din li teritouéro de héta leinga mare en areheunn souveunn lemitaie a tsaque veladzo e a le petiote bordzìe pre mo qu’ou l’aviont picar d’anovrar lo piemontei e carque còl l’italian; ou catso souveunn avó lo ton badeneunn e sacrilégo de l’amocameunn de carque defó on de situashon d’in otro veladzo deboneunn avó loquin i avet de “tsacòt”, do soli engardeunn le filheu.

26-Lou tsamin francoprovensal – 1° tapa Novaleise)

28 dzòrt de percours, plu de 500 quilométre en viadzo entre Piemon, Savoué, Hota Savoué, Valei souiho, Val d’Ouhe, in percours a plu “aréte” pre vivre li caro de la leinga francoprovensala dipé de la premiére tapa: Novaleise.

27-Lou tsamin francoprovensal – tapa Valaie de Lans

In otro teritouéro ilià a la leinga francoprovensala e tutelà de la lei 482 pre le minoranse languestique ét hel de le Valaie de Lans qu’ou sont tré valaie de les Alpe Graie piemonteise, comprein entre la Val Òrc a minouet e la Val de Suse a midzòrt. Gravaie de difarèintes éve (din tsaque val mandaie Stura), qu’ou conflueisso din lo fleuvo Stura de Lans, ou préno lo non de la velò de Lans Turinei, plahiò dessù ina viélhe morein-na de glhahér a la fin de le valaie: asseu hi teritouéro ou l’ont vu lo passadzo d’unò de le tape do tsemin francoprovensal.

28-L’istouére de la pita de Gravére

La Pita” lh’eut ihaia batiò do 1775 d’in tal “Pin Saret” qu’ou l’at anovrà en premiér comme melin pre pé vriér-la en pihe. Iquieu ou veniont anhacaie le pomeu pre avér in sidro a unir o vin fet avó li reisin pa teunn mour e fare, meheunn, la “piquéta”: in vin agreablo e gaveunn la sei. La rouò do melin de la Pita lhe vriéve delon din l’evert e a l’entòrt ou s’amassavo le presseneu de le difareinte bordzìe de Gravére e de le comune protse en de londze velheu de nouet. Do 1960 “la Pita” lh’at frenì son travalh e lh’eut ihà abandonaia; po pre còl, tal que que ina vreiò d’otri temouenhadzo de l’istouére locala, lh’alàvet en derouta e lhe riscave d’iéhre pre delon efahiò de les ensevenianse. Do 1996 lo derér métre Edoardo Morello l’at fet don a l’Aministrashon Comunala e dipé do 1999 ina crépe lhe veunt iquieu aprestaia de la comunità.

29-Lo tsarbon (Paròles dou trezor – Dzaveunn)

Lo tsarbon de boué ou l’éret in materialo emporteunn pre mo qu’ou sarvet a bieunn de but: fare martsér le feseneu di fordzeron, pre de difareinte ativitaie economique, pre l’assodemeunn de la moueizhon; bieunn souveunn le familhe qu’ou veviont en montinheu e ou prodouizhont héta arsoursa fondamentala ou dessandiont tein qu’a din le greunte veleu comme Turin pre trasportar-lo e veindre-lo.

30-Li mehér d’in còl en montinheu (Servadzo – Dzaveunn)

Pé dzò en montinheu din li tein passà i se vevet d’agricoltura, ma souveunn iére nessesséro entegrar avó d’otri travalh, tal que lo manson on, en de momeunn pé fran maque defessilho, a emigrar en Franse; d’otre ativitaie praticaie ou iéro lo tissadzo e la fabricashon de rahel qu’ou veniont confià a in groupe heret de familhe de le bordzìe pendeunn l’evert e pé, din le feire de premò, li prodouì ou iéro marchandà avó li veladzo protso, ma ou l’arevavo asseu tein qu’a Turin.

31-Les ehéle (Paròles dou trezor – Frassinei)

Les ehéle ou sont mandaie pre non; canque t’é en montinheu i sufit de perdre-se din si ardzornour e vér-le trelouire comme te pou pa fare en velò e, en determinaie periode de l’eunn, confiar esperanse e desiro.

32-Entrevue dessù li vieulh mehér e abitude de viò a Seresole

I at encorò de presseneu que, din li veladzo de le valaie alpin-ne tal que Seresole, ou polo fournir de preshoù temouenhadzo dessù d’abitude de viò a lequinte o dzòrt d’incoueu de sein pa plu cohemà: derushar-se o moueitein de la nouet pre portar en tseunn le vatse de tsotein, fare lo dedzun avó poleinta e tomò stou que un ou l’eut en montinheu, portar lo boué avó la mula, praticar in mehér difareunn din l’evert, tal que lo menouizhér; ina viò scandiò do travalh, simpla, ma retseu d’amitià e de partadzo.

33-Proverbo e conte en frp

Din lo savér di montanhin d’in còl, Adalgisa Pognant lhe deut la relashon bieunn areizhò entre la comunità rurala e alpin-na e l’ambieunn sevéro e pa delon fassilho de la viò passaia de laquinta i fet pert in begadzo retsó e bariolà de mito e controle qu’ou l’aviont en teunn que protagonisto prensipalo de creature surnaturale e endecòl malin-ne comme le sorshére on li sorshér.

34-La catsemialhe (Musé etnograficco “Viò montan-na din la Comba de Heniclha”)

Le moueizhon de montinheu d’in còl ou l’aviont la nessessità d’anovrar touit li caro possiblo, d’iadzo an troveunn de solushon enterisheinte e bieunn utile tal que le catsemialhe qu’ou sarviont pé dzò pre avarantir li odzeut de la cusin-na comme cahul e cahelouire qu’ou veniont cachò moueieunn d’in ridó; avó lo mémo prensipio ou se conseviont li placar.

35-Tsaleinde (Paròles dou trezor)

Tsaleinde, en plu d’iéhre unò de le periode plu entsarmeinte de l’eunn, ou porte son sembolismo qu’ou l’armande i tein enté que lo noiel de la féha ou iéro de petiote tsose: la dzoué d’aprestar la moueizhon avó decorashon e dou, la preparashon pre la messò de la minouet, la degustashon de groumandise a lequinte i s’avet renonsià pendeunn l’eunn, la familhe amassaia seinsa difareinse d’adzo deveunn lo fouò petrelheunn.

36-Lo tissour de Coasse

Lo tissadzo ou l’éret in art reservà a le feméle, simplo e endespensablo pre la viò do passà, qu’ou se passave desòt la direshon de magistre on, din l’ambieunn ruralo, de mare on marein-ne. Din le campanhe tsaque feméla, frenì lo menadzo, lhe s’astave deveunn lo telér a pedal e avó li piò e le man lhe trasformave en tissù li fil de fibre vedzetale cultivaie din li tseunn, on la lan-na de le faieu e de le cévre de le cassin-ne. A Coasse lo vieulh mehér ou veunt portà ineunn d’in omó, tsosa drola ma pa iheu!