Se n’è andato un amico delle lingue e un grande uomo. Lo scorso 4 aprile è deceduto Aureli Argemí, fondatore del CIEMEN, il Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions.
È per noi ora l’occasione di pensare a lui e di ricordarci della sua figura, del suo personaggio, della sua personalità. Grazie all’Editorial Pòrtic abbiamo avuto una copia del libro delle memorie di Aureli Argemí, La Llavor Sembrada (il seme seminato), uno splendido libro di storie personali, racconto del sogno di un’epoca collettiva. Al momento il libro è disponibile solo in catalano, in attesa della sua traduzione in più lingue di popoli fratelli e amici vicini allo spirito di Aureli.
Voglio riportarvi alcune parti graziose della sua biografia e delle sue memorie per farvi comprendere meglio chi era e aprire il vostro cuore ai suoi insegnamenti.
Nono di undici figli, Aureli nasce a Sabadell, in Catalogna, nel 1936. Durante la sua infanzia, la famiglia crea un ambiente gradevole che segnerà fortemente la sua personalità: “un esempio di convivenza che mi ha stimolato per tutta la vita. In quel clima di bonomia familiare ho trascorso la mia infanzia. Grazie alla presenza di tanti fratelli e sorelle, ho potuto provare il lato positivo del vivere in comunità, con la spontaneità e le semplificazioni del mutuo dare e avere […]. Il buon ambiente di casa ha influito nel dar valore alla famiglia, imprescindibile, a mio vedere, in una società molto articolata”.
Le pagine delle memorie sono piene di begli aneddoti, come ogni volta che veniva punito con suo fratello, dove l’innocenza del suo vissuto mostra già una profondità filosofica: “Quale significato aveva essere puniti sotto lo sguardo così amabile del Sacro Cuore? Poco tempo dopo essere stati castigati, Lluís Maria ed io imparammo a dileguarci; decidemmo, per conto nostro, di ribellarci, ne avevamo abbastanza. Ne deducemmo che la libertà non è un dono, bisogna conquistarla”. La libertà non si dona, bisogna conquistarla. Che spirito, per essere un bambino!
Verso l’adolescenza, Aureli viene mandato a casa dei fratelli di sua madre e dopo qualche mese il suo professore, Just, annuncia alla famiglia che il ragazzino ha una buona voce, consigliando loro di presentarsi come candidato all’Escolania de Montserrat, nota istituzione religiosa e musicale catalana. Ad aureli la notizia non piace affatto: “La notizia mi è caduta addosso come una doccia non fredda, freddissima”. Gli mancava la sua casa e la sua famiglia. Ciò malgrado, quella tappa della sua vita sarà fondante per lui.
Ed ecco! Viene accettato a Montserrat; nelle sue memorie confessa che non fu un successo dal punto di vista musicale, come ci spiega, ancora una volta, con un aneddoto simpatico: “Pur non brillando né come cantore né come strumentista, sarò sempre grato di ciò che mi ha insegnato la musica. Se pòsso parlare di una soddisfazione è di essere stato solista, una volta, in chiesa. Nel momento in cui la prima voce doveva essere più potente, con note cantate... ero senza parole. Ricard Lobo, un’altro giovane cantore, dall’infermeria, dove stava covando la scarlattina, ha sentito, per radio interna, che il direttore dell’Escolania mi aveva scelto come sostituto e ha raggiunto le vette della voce in falsetto. Ha reagito scoppiando in una risata così fragorosa, mi ha detto qualche giorno dopo, che ha provocato un terremoto in infermeria”.
Il racconto della sua vita è dolce, tenero, intriso di una semplicità e curiosità profonde. È un piacere leggere pagina dopo pagina e scoprire al suo stesso ritmo i suoi talenti. Aureli. Ha già una grande sensibilità verso la letteratura e la scrittura: “Mi appassionavano le classi di letteratura. Forse da lì è venuto il mio interesse continuato nel tempo per la letteratura e la scrittura. Ho redatto, quasi quotidianamente, dei testi, di cui molti perduti o stracciati, in buona parte pubblicati in diari, riviste, libri...”.
E dove non arriva la sua voce arriva l’intelletto. Durante il periodo dell’Escolania, da adolescente, Aureli scopre un’inclinazione naturale nel narrare racconti, alcuni letti, altri inventati sul momento. “I miei compagni solevano ascoltare a bocca aperta le prodezze di quella sedia. La narrazione non si interrompeva mai, aggiungeva sempre nuovi capitoli. Era come una serie. Non mi restava molto tempo per mangiare. Il vicino di tavola si pappava il dessert. Più di una volta concludevo il capitolo con una battuta, altre parlando delle mie particolarità o debolezze. Questa attività ludica la pratico ancora con un mio stile, definito dagli amici come «a aureliadas» (all’Aureli)”.
A Montserrat il tempo passa, e benché Aureli non ci sia andato di buon grado, col passare dei mesi, ogni volta che torna a casa, sente che gli manca l’ambiente dell’Escolania. All’inizio non ne sa il motivo, ma a poco a poco capisce perché quell’ambiente è così speciale.
Siamo nel contesto sociale degli anni 50 del XX secolo, in piena dittatura franchista nello stato spagnolo, caratterizzata dalla completa repressione delle libertà democratiche, della lingua e delle culture nazionali all’infuori della nazione spagnola.
Il 27 aprile del 1947 si tiene una festa, la Festa Popular de l’Entronizació de la Mare de Déu de Montserrat. In quel momento, Aureli si accorge della potenza simbolica del “progetto” rappresentato da quel luogo: “Montserrat convocava i catalani ad assistere a una grande festa in onore della patrona della Catalunya e, allo stesso tempo, richiamava i catalani, di qualsiasi credenza, ad approfittare dell’evento per creare la prima concentrazione massiva postbellica, sotto il segno della riconciliazione. La festa religiosa era anche una scintilla di speranza collettiva, un’anticipazione del ritorno delle libertà e della democrazia”.
E ci fornisce ancora più dettagli per comprendere la società dell’epoca: “Iniziavo a capire che una delle funzioni capitali di Montserrat era costruire una pace con più senso che la mera assenza della guerra. Quella combinazione, strana a prima vista, del religioso con il profano o civile, era propria di un tempo in cui la clandestinità attiva e certe apparenze rappresentavano gli unici mezzi pacifici e democratici di autodifesa popolare”.
Dopo un po’ di tempo, ad Aureli giunge l’opzione di diventare monaco a Montserrat. In ogni caso, non può più essere scolaro dopo i 15 anni! Non è sicuro, non ha una risposta chiara, né una grossa vocazione religiosa, ma dal profondo della sua anima esce un grande “sì” che gli chiede di credere alla sua intuizione. Come scriverà tempo dopo, una decisione corretta, che ha offerto opportunità insperate al suo cammino.
Continuiamo la sua biografia con la decisione di studiare teologia a Parigi, e il suo ritorno a Montserrat nel 1964, dove viene nominato segretario dell’abate Aureli Escarré. Dopo una crisi monastica, l’abate Escarré viene espulso da Montserrat e mandato in un piccolo villaggio italiano in provincia di Milano, Viboldone. Di quel periodo della sua vita, contraddistinto dalla semplicità e dalla lentezza, voglio sottolineare l’intenzionalità sempre fortemente umana di Aureli: “La poca gente che abitava a Viboldone usciva appena di casa, se non per andare a lavorare in una delle fabbriche vicine. I soli che davano un po’ di vita, giocando in strada, erano i bambini. I monaci mi hanno incaricato di occuparmene. Sono stati contenti del mio invito a creare una specie di gruppo chiamato Club dell’Avvenire. Fra chiacchiere ed escursioni lontano dal paese, ciò ha fatto conoscere loro ambienti più attraenti e plurali di quelli di Vidolbone, aumentando la loro curiosità per un futuro più aperto”.
Casualmente, dopo molti anni, ci siamo ritrovati io e Maura, sposata e in carriera, la quale dirigeva le farmacie della famiglia. Aveva potuto compiere gli studi universitari grazie, credeva lei, alla mia insistenza coi genitori per mandarla a studiare all’estero, anni prima. A partire dal lavoro abbiamo instaurato un’amicizia. La prima volta che mi ha presentato la sua famiglia, compreso il pappagallo, questo grida: “Maura, attenzione, questo non lo conosco!”.
Quel tempo è stato molto importante anche per i viaggi che abbiamo fatto io e un fratello monaco, Ildefons, e ciò che abbiamo scoperto: “Ogni tanto ci distraevamo facendo brevi e rapide escursioni in macchina con il beneplacito dell’abate Aureli. Abbiamo visitato abbastanza bene le regioni dell’Italia settentrionale, le Alpi dal Monte Rosa fino alle Dolomiti. Per la prima volta mi sono accorto che nelle Alpi si parlavano diverse lingue, oltre all’italiano: il friulano, lo sloveno, vari dialetti del tedesco, il ladino... nel nord-est: il franco provenzale, l’occitano, il francese... vicino al confine con la Francia e la Svizzera.un primo assaggio della tematica riempirà il mio tempo gli ultimi quasi cinquant’anni della mia vita”.
Pagine e pagine sono piene di descrizioni del carattere dell’abate Aureli. In fondo, perché delle sigle così misteriose nel nome del CIEMEN, il “Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions? Essere segretario dell’abate Aureli Escarré dà molti insegnamenti ad Aureli, e soprattutto il risveglio di una cocienza sociale e di intuzione collettiva: “ Fino alla soglia della morte l’abate Aureli si è distinto per il suo carattere vigoroso, energico, al confine di ciò che alcuni chiamavano autoritario. Mantenendo tuttavia, ugualmente intatte, le sue facoltà nell’essere chiaroveggente, compiassonevole, paternale, amico dei suoi amici, e dunque severo, testardo, categorico. […] Fino a poco prima di morire era ancora capace di seguire, contemporaneamente, le notizie trasmesse dalla radio o dalla televisione, leggere in diagonale i diari e le riviste che comprava ai chioschi dei Milano… questa sua facoltà, oltre ad aggiornarlo, avendomi fatto la sintesi perfetta di ciò che aveva letto e ascoltato, gli dava l’impulso per attivare la mente. Guardando oltre la Catalunya, l’abate parlava dell’inizio di una nuova era, caratterizzata dallo sviluppo fuori controllo dei paesi ricchi, con autodifese meno sofisticate e pericolose per la sopravvivenza dell’umanità, e limitata da nuove forme di sviluppo, di sfruttamento incontrollato della terra”.
Gli scambi con l’abate Aureli, durante il periodo in cui ne è segretario, e le proprie convinzioni personali legate all’esperienza politica di lotta per il diritti della Catalogna durante il franchismo hanno preparato le condizioni necessarie per la creazione del CIEMEN.
Argemí propone la creazione del CIEMEN alla nuova comunità benedettina creata al monastero di Cuixà, nella catalogna del Nord, ma con scarso cuccesso: “ I compagni di Cuixà, difensori anche dei diritti del catalano, non erano in sintonia con il mio progetto, il quale sembrava loro troppo audace, utopico”. Ma il “pare Oleguer”, nel 1973, accetta che il CIEMEN sia creato a Milano, poiché in Catalogna, allora sotto il regime franchista, era impossibile fondare un’istituzione con quegli obiettivi.
Le sigle definenti la natura e le finalità della nuova associazione vengono accordate in consenso: centre, punto di ritrovo, di ricerca, di dialogo; internacional, al fine di precisare la sua dimensione, non limitata a una nazione e aperta a tutte; Escarré, esempio e riferimento storico nella lotta in favore dei diritti dei popoli; per las minoritats etnicas e nacionalas, terminologia secondo gli assessori milanesi più comprensibile e accettabile per il pubblico italiano.
All’inizio del 1974 un amico di Aureli, Alberto Delfino, fa da intermediario con il sindaco socialista di Milano, Aldo Aniasi. Il sindaco gli presta un ufficio, gratuitamente, nel centro culturale De Amicis dei socialisti milanesi. “Sono con voi, perché lavorare per le minoranze è lavorare per la democrazia”, disse il sindaco. È altresí interessante sottolineare che è esistita una branca del CIEMEN ad Aosta, creata parallelamente alla fondazione della ssociazione a Milano. Durante l’insediamento del CIEMEN ad Aosta, avviene la morte di Franco. È così che Aureli Argemí pone tutta la sua attenzione nel portare la sede principale dell’associazione a Barcellona.
I capitoli seguenti del libro sono dedicati all’analisi dei 25 anni di lavoro del CIEMEN, ciò che Aureli considerava “la llavor sembrada”, il seme seminato.
Nel CIEMEN Aureli Argemí ha dato impulso a molte iniziative per mantenere e diffondere il compromesso politico Catalogna. Come la creazione della Crida a la Sodidarietat en
Defensa de la Llengua, la Cultura i la Nació Catalanes, nel 1981, divenuto il punto di riferimento principale di una generazione che chiedeva posizioni più coraggiose di quelle proposte dalla Generalitat de Catalunya, ricostituitasi pochi anni prima. O come la proposta di creare il Fons Català de Cooperació al Desenvolupament, nel 1986, assieme ad altre ONG e ai primi sindaci dell’epoca della democrazia, per dare una risposta al compromesso di solidarietà internazionale che chiedeva ai governi di dedicare lo 0,7% delle risorse in favore della lotta contro la povertà e lo sviluppo dei paesi e dei popoli più poveri, divenuta un’iniziativa pioniera.
Devo, sicuramente, sottolineare il suo compito a livello internazionale. È stato responsabile della proposta didue iniziative oggi in vigore e ben riconosciute la prima è la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli del 1990, scritta nell’ambito della Conferenza delle Nazioni senza Stato d’Europa per il CIEMEN, e la Dichiarazione Universale dei Diritti Linguistici, nel 1996, assieme al PEN Català.
Questi testi hanno avuto un impatto sul lato creativo del CIEMEN, che decennio dopo decennio ha ideato più risorse di divulgazione, quali carte sulla diversità delle nazioni, popoli e lingue d’Europa e di tutto il mondo, la pubblicazione della rivista Europa de las nacions e recentemente del giornale digitale Nationalia.
Membri di associazioni e attivisti delle Valli Occitane hanno avuto la possibilità di scambiare con Aureli momenti e importanti conversazioni sui diritti delle minoranze, durante la creazione del CIEMEN in Italia e partecipando alle giornate del CIEMEN al monastero di Cuixà, potendo avere la certezza di aver conosciuto un fratello d’attivismo, una persona meravigliosa, un uomo seme, seme dei diritti della lingua e della coscienza che continuiamo a reclamare.
Siamo d’accordo con il Presidente del CIEMEN, David Minoves, “Il valore che Aureli sta seminando è germinato, i suoi frutti crescono e tutti noi, che seguiamo compromessi in difesa dei diritti collettivi, i nostri e quelli del resto dei popoli del mondo, la pace e la solidarietà”.
Vi invito a leggere il libro per apprendere più dettagli sugli episodi della vita politica e sociale della Catalogna e sulla vita di Aureli Argemí, che queste magnifiche spiegano con profondità e sensibilità, e che per ragioni di estensione non possono essere ben rappresentate qui.
Grazie Aureli, il tuo lavoro è per noi fonte di aspirazione, riposa in pace.
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