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Aureli Argemí, l’uomo seme

Aureli Argemí, l'òme semença

di Mariona Miret

italiano

Se n’è andato un amico delle lingue e un grande uomo. Lo scorso 4 aprile è deceduto Aureli Argemí, fondatore del CIEMEN, il Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions.

È per noi ora l’occasione di pensare a lui e di ricordarci della sua figura, del suo personaggio, della sua personalità. Grazie all’Editorial Pòrtic abbiamo avuto una copia del libro delle memorie di Aureli Argemí, La Llavor Sembrada (il seme seminato), uno splendido libro di storie personali, racconto del sogno di un’epoca collettiva. Al momento il libro è disponibile solo in catalano, in attesa della sua traduzione in più lingue di popoli fratelli e amici vicini allo spirito di Aureli.

Voglio riportarvi alcune parti graziose della sua biografia e delle sue memorie per farvi comprendere meglio chi era e aprire il vostro cuore ai suoi insegnamenti.

Nono di undici figli, Aureli nasce a Sabadell, in Catalogna, nel 1936. Durante la sua infanzia, la famiglia crea un ambiente gradevole che segnerà fortemente la sua personalità: “un esempio di convivenza che mi ha stimolato per tutta la vita. In quel clima di bonomia familiare ho trascorso la mia infanzia. Grazie alla presenza di tanti fratelli e sorelle, ho potuto provare il lato positivo del vivere in comunità, con la spontaneità e le semplificazioni del mutuo dare e avere […]. Il buon ambiente di casa ha influito nel dar valore alla famiglia, imprescindibile, a mio vedere, in una società molto articolata”.

Le pagine delle memorie sono piene di begli aneddoti, come ogni volta che veniva punito con suo fratello, dove l’innocenza del suo vissuto mostra già una profondità filosofica: “Quale significato aveva essere puniti sotto lo sguardo così amabile del Sacro Cuore? Poco tempo dopo essere stati castigati, Lluís Maria ed io imparammo a dileguarci; decidemmo, per conto nostro, di ribellarci, ne avevamo abbastanza. Ne deducemmo che la libertà non è un dono, bisogna conquistarla”. La libertà non si dona, bisogna conquistarla. Che spirito, per essere un bambino!

Verso l’adolescenza, Aureli viene mandato a casa dei fratelli di sua madre e dopo qualche mese il suo professore, Just, annuncia alla famiglia che il ragazzino ha una buona voce, consigliando loro di presentarsi come candidato all’Escolania de Montserrat, nota istituzione religiosa e musicale catalana. Ad aureli la notizia non piace affatto: “La notizia mi è caduta addosso come una doccia non fredda, freddissima”. Gli mancava la sua casa e la sua famiglia. Ciò malgrado, quella tappa della sua vita sarà fondante per lui.

Ed ecco! Viene accettato a Montserrat; nelle sue memorie confessa che non fu un successo dal punto di vista musicale, come ci spiega, ancora una volta, con un aneddoto simpatico: “Pur non brillando né come cantore né come strumentista, sarò sempre grato di ciò che mi ha insegnato la musica. Se pòsso parlare di una soddisfazione è di essere stato solista, una volta, in chiesa. Nel momento in cui la prima voce doveva essere più potente, con note cantate... ero senza parole. Ricard Lobo, un’altro giovane cantore, dall’infermeria, dove stava covando la scarlattina, ha sentito, per radio interna, che il direttore dell’Escolania mi aveva scelto come sostituto e ha raggiunto le vette della voce in falsetto. Ha reagito scoppiando in una risata così fragorosa, mi ha detto qualche giorno dopo, che ha provocato un terremoto in infermeria”. 

Il racconto della sua vita è dolce, tenero, intriso di una semplicità e curiosità profonde. È un piacere leggere pagina dopo pagina e scoprire al suo stesso ritmo i suoi talenti. Aureli. Ha già una grande sensibilità verso la letteratura e la scrittura: “Mi appassionavano le classi di letteratura. Forse da lì è venuto il mio interesse continuato nel tempo per la letteratura e la scrittura. Ho redatto, quasi quotidianamente, dei testi, di cui molti perduti o stracciati, in buona parte pubblicati in diari, riviste, libri...”.

E dove non arriva la sua voce arriva l’intelletto. Durante il periodo dell’Escolania, da adolescente, Aureli scopre un’inclinazione naturale nel narrare racconti, alcuni letti, altri inventati sul momento.   “I miei compagni solevano ascoltare a bocca aperta le prodezze di quella sedia. La narrazione non si interrompeva mai, aggiungeva sempre nuovi capitoli. Era come una serie. Non mi restava molto tempo per mangiare. Il vicino di tavola si pappava il dessert. Più di una volta concludevo il capitolo con una battuta, altre parlando delle mie particolarità o debolezze. Questa attività ludica la pratico ancora con un mio stile, definito dagli amici come «a aureliadas» (all’Aureli)”.

A Montserrat il tempo passa, e benché Aureli non ci sia andato di buon grado, col passare dei mesi, ogni volta che torna a casa, sente che gli manca l’ambiente dell’Escolania. All’inizio non ne sa il motivo, ma a poco a poco capisce perché quell’ambiente è così speciale.

Siamo nel contesto sociale degli anni 50 del XX secolo, in piena dittatura franchista nello stato spagnolo, caratterizzata dalla completa repressione delle libertà democratiche, della lingua e delle culture nazionali all’infuori della nazione spagnola.

Il 27 aprile del 1947 si tiene una festa, la Festa Popular de l’Entronizació de la Mare de Déu de Montserrat. In quel momento, Aureli si accorge della potenza simbolica del “progetto” rappresentato da quel luogo: “Montserrat convocava i catalani ad assistere a una grande festa in onore della patrona della Catalunya e, allo stesso tempo, richiamava i catalani, di qualsiasi credenza, ad approfittare dell’evento per creare la prima concentrazione massiva postbellica, sotto il segno della riconciliazione. La festa religiosa era anche una scintilla di speranza collettiva, un’anticipazione del ritorno delle libertà e della democrazia”.

E ci fornisce ancora più dettagli per comprendere la società dell’epoca: “Iniziavo a capire che una delle funzioni capitali di Montserrat era costruire una pace con più senso che la mera assenza della guerra. Quella combinazione, strana a prima vista, del religioso con il profano o civile, era propria di un tempo in cui la clandestinità attiva e certe apparenze rappresentavano gli unici mezzi pacifici e democratici di autodifesa popolare”.

Dopo un po’ di tempo, ad Aureli giunge l’opzione di diventare monaco a Montserrat. In ogni caso, non può più essere scolaro dopo i 15 anni! Non è sicuro, non ha una risposta chiara, né una grossa vocazione religiosa, ma dal profondo della sua anima esce un grande “sì” che gli chiede di credere alla sua intuizione. Come scriverà tempo dopo, una decisione corretta, che ha offerto opportunità insperate al suo cammino.

Continuiamo la sua biografia con la decisione di studiare teologia a Parigi, e il suo ritorno a Montserrat nel 1964, dove viene nominato segretario dell’abate Aureli Escarré. Dopo una crisi monastica, l’abate Escarré viene espulso da Montserrat e mandato in un piccolo villaggio italiano in provincia di Milano, Viboldone. Di quel periodo della sua vita, contraddistinto dalla semplicità e dalla lentezza, voglio sottolineare l’intenzionalità sempre fortemente umana di Aureli: “La poca gente che abitava a Viboldone  usciva appena di casa, se non per andare a lavorare in una delle fabbriche vicine. I soli che davano un po’ di vita, giocando in strada, erano i bambini. I monaci mi hanno incaricato di occuparmene. Sono stati contenti del mio invito a creare una specie di gruppo chiamato Club dell’Avvenire. Fra chiacchiere ed escursioni lontano dal paese, ciò ha fatto conoscere loro ambienti più attraenti e plurali di quelli di Vidolbone, aumentando la loro curiosità per un futuro più aperto”.

Casualmente, dopo molti anni, ci siamo ritrovati io e Maura, sposata e in carriera, la quale dirigeva le farmacie della famiglia. Aveva potuto compiere gli studi universitari grazie, credeva lei, alla mia insistenza coi genitori per mandarla a studiare all’estero, anni prima. A partire dal lavoro abbiamo instaurato un’amicizia. La prima volta che mi ha presentato la sua famiglia, compreso il pappagallo, questo grida: “Maura, attenzione, questo non lo conosco!”.

Quel tempo è stato molto importante anche per i viaggi che abbiamo fatto io e un fratello monaco, Ildefons, e ciò che abbiamo scoperto: “Ogni tanto ci distraevamo facendo brevi e rapide escursioni in macchina con il beneplacito dell’abate Aureli. Abbiamo visitato abbastanza bene le regioni dell’Italia settentrionale, le Alpi dal Monte Rosa fino alle Dolomiti. Per la prima volta mi sono accorto che nelle Alpi si parlavano diverse lingue, oltre all’italiano: il friulano, lo sloveno, vari dialetti del tedesco, il ladino... nel nord-est: il franco provenzale, l’occitano, il francese... vicino al confine con la Francia e la Svizzera.un primo assaggio della tematica riempirà il mio tempo gli ultimi quasi cinquant’anni della mia vita”.

Pagine e pagine sono piene di descrizioni del carattere dell’abate Aureli. In fondo, perché delle sigle così misteriose nel nome del CIEMEN, il “Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions? Essere segretario dell’abate Aureli Escarré dà molti insegnamenti ad Aureli, e soprattutto il risveglio di una cocienza sociale e di intuzione collettiva: “ Fino alla soglia della morte l’abate Aureli si è distinto per il suo carattere vigoroso, energico, al confine di ciò che alcuni chiamavano autoritario. Mantenendo tuttavia, ugualmente intatte, le sue facoltà nell’essere chiaroveggente, compiassonevole, paternale, amico dei suoi amici, e dunque severo, testardo, categorico. […] Fino a poco prima di morire era ancora capace di seguire, contemporaneamente, le notizie trasmesse dalla radio o dalla televisione, leggere in diagonale i diari e le riviste che comprava ai chioschi dei Milano… questa sua facoltà, oltre ad aggiornarlo, avendomi fatto la sintesi perfetta di ciò che aveva letto e ascoltato, gli dava l’impulso per attivare la mente. Guardando oltre la Catalunya, l’abate parlava dell’inizio di una nuova era, caratterizzata dallo sviluppo fuori controllo dei paesi ricchi, con autodifese meno sofisticate e pericolose per la sopravvivenza dell’umanità, e limitata da nuove forme di sviluppo, di sfruttamento incontrollato della terra”. 

Gli scambi con l’abate Aureli, durante il periodo in cui ne è segretario, e le proprie convinzioni personali legate all’esperienza politica di lotta per il diritti della Catalogna durante il franchismo hanno preparato le condizioni necessarie per la creazione del CIEMEN.

Argemí propone la creazione del CIEMEN alla nuova comunità benedettina creata al monastero di Cuixà, nella catalogna del Nord, ma con scarso cuccesso: “ I compagni di Cuixà, difensori anche dei diritti del catalano, non erano in sintonia con il mio progetto, il quale sembrava loro troppo audace, utopico”. Ma il “pare Oleguer”, nel 1973, accetta che il CIEMEN sia creato a Milano, poiché in Catalogna, allora sotto il regime franchista, era impossibile fondare un’istituzione con quegli obiettivi.

Le sigle definenti la natura e le finalità della nuova associazione vengono accordate in consenso: centre, punto di ritrovo, di ricerca, di dialogo; internacional, al fine di precisare la sua dimensione, non limitata a una nazione e aperta a tutte; Escarré, esempio e riferimento storico nella lotta in favore dei diritti dei popoli; per las minoritats etnicas e nacionalas, terminologia secondo gli assessori milanesi più comprensibile e accettabile  per il pubblico italiano.

All’inizio del 1974 un amico di Aureli, Alberto Delfino, fa da intermediario con il sindaco socialista di Milano, Aldo Aniasi. Il sindaco gli presta un ufficio, gratuitamente, nel centro culturale De Amicis dei socialisti milanesi. “Sono con voi, perché lavorare per le minoranze è lavorare per la democrazia”, disse il sindaco. È altresí interessante sottolineare che è esistita una branca del CIEMEN ad Aosta, creata parallelamente alla fondazione della ssociazione a Milano. Durante l’insediamento del CIEMEN ad Aosta, avviene la morte di Franco. È così che Aureli Argemí pone tutta la sua attenzione nel portare la sede principale dell’associazione a Barcellona. 

I capitoli seguenti del libro sono dedicati all’analisi dei 25 anni di lavoro del CIEMEN, ciò che Aureli considerava “la llavor sembrada”, il seme seminato.

Nel CIEMEN Aureli Argemí ha dato impulso a molte iniziative per mantenere e diffondere il compromesso politico Catalogna. Come la creazione della Crida a la Sodidarietat en 

Defensa de la Llengua, la Cultura i la Nació Catalanes, nel 1981, divenuto il punto di riferimento principale di una generazione che chiedeva posizioni più coraggiose di quelle proposte dalla Generalitat de Catalunya, ricostituitasi pochi anni prima. O come la proposta di creare il Fons Català de Cooperació al Desenvolupament, nel 1986, assieme ad altre ONG e ai primi sindaci dell’epoca della democrazia, per dare una risposta al compromesso di solidarietà internazionale che chiedeva ai governi di dedicare lo 0,7% delle risorse in favore della lotta contro la povertà e lo sviluppo dei paesi e dei popoli più poveri, divenuta un’iniziativa pioniera.

Devo, sicuramente, sottolineare il suo compito a livello internazionale. È stato responsabile della proposta didue iniziative oggi in vigore e ben riconosciute la prima è la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli del 1990, scritta nell’ambito della Conferenza delle Nazioni senza Stato d’Europa per il CIEMEN, e la Dichiarazione Universale dei Diritti Linguistici, nel 1996, assieme al PEN Català.

Questi testi hanno avuto un impatto sul lato creativo del CIEMEN, che decennio dopo decennio ha ideato più risorse di divulgazione, quali carte sulla diversità delle nazioni, popoli e lingue d’Europa e di tutto il mondo, la pubblicazione della rivista Europa de las nacions e recentemente del giornale digitale Nationalia. 

Membri di associazioni e attivisti delle Valli Occitane hanno avuto la possibilità di scambiare con Aureli momenti e importanti conversazioni sui diritti delle minoranze, durante la creazione del CIEMEN in Italia e partecipando alle giornate del CIEMEN al monastero di Cuixà, potendo avere la certezza di aver conosciuto un fratello d’attivismo, una persona meravigliosa, un uomo seme, seme dei diritti della lingua e della coscienza che continuiamo a reclamare.

Siamo d’accordo con il Presidente del CIEMEN, David Minoves, “Il valore che Aureli sta seminando è germinato, i suoi frutti crescono e tutti noi, che seguiamo compromessi in difesa dei diritti collettivi, i nostri e quelli del resto dei popoli del mondo, la pace e la solidarietà”.               

Vi invito a leggere il libro per apprendere più dettagli sugli episodi della vita politica e sociale della Catalogna e sulla vita di Aureli Argemí, che queste magnifiche spiegano con profondità e sensibilità, e che per ragioni di estensione non possono essere ben rappresentate qui.

Grazie Aureli, il tuo lavoro è per noi fonte di aspirazione, riposa in pace.



occitan

Se n’es anat un amic de las lengas e un grand òme. Lo passat 4 d’abril defuntèt Aureli Argemí, fondator del CIEMEN, lo Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions (CIEMEN).

Avem ara l’escasença de soscar, de soscar a el, e nos sovenir de la sia figura, del sieu personatge, de la sia personalitat. Mercés a l’Editorial Pòrtic avem agut una còpia del libre de las memòrias d’Aureli Argemí, La llavor sembrada (“La semença semenada”), un meravilhós libre d’istòrias personalas e raconte del somi d’una epopèia collectiva. Lo libre es sonque disponible en catalan, a l’ora d’ara, en demorant la sia traduccion a mantunas lengas de pòbles fraires e amics, pròches de l’esperit d’Aureli. 

Vos vòli portar qualques tròces manhacs de la sia biografia e memòrias per vos far compréner mielhs qui èra, e dobrir lo còr als sieus ensenhaments.

Aureli èra lo filh nòu d’onze fraires. Nasquèt a Sabadell, Catalonha, l’an 1936. Dins son atge pichon, la sia familha formèt un ambient agradable que, de segur, marquèt fòrça la sia personalitat: “un exemple de convivència que m’ha estimulat tota la vida. En aquest clima de bonhomia familiar transcorregué la meva infantesa. Gràcies a ser tants germans i germanes ben avinguts, vaig poder tastar ja la part positiva de viure en comunitat, amb les espontaneïtats i les simplificacions en el tracte mutu. [...] El bon ambient de casa meva ha influït en la valoració positiva de la família, eix imprescindible, al meu entendre, d’una societat ben articulada”.

Las paginas de las memòrias son plenas d’anecdòtas manhagas, coma cada còp que veniá punit amb son fraire, e la inocéncia del sieu viscut mòstra ja de prigondors filosoficas: “Quin sentit tenia estar castigats sota la mirada tan amable del Sagrat Cor? Poca estona després d’haver rebut, en Lluís Maria i jo vam aprendre a fer-nos fonedissos; decidíem, pel nostre compte, aixecar-nos, ja en teníem prou. Deduírem que la llibertat no es dona sinó que s’ha de prendre”. La libertat se balha pas, la cal préner. Qual esperit, coma mainatge!

Vèrs l’epòca d’adolescent, Aureli foguèt mandat a l’ostal dels fraires de la sua maire, e aprés qualques meses, lo sieu professor, Just, anoncièt a la sia familha que lo dròlle aviá una bona votz, e li conselhava de se presentar de candidat a l’Escolania de Montserrat, famosa institucion religiosa e musicala catalana. A Aureli la novèla li agradèt pas cap: “la notícia em caigué com dutxa d’aigua no freda, fredíssima”. Li mancava son ostal, e la sia familha. Totun, aquela etapa de la sia vida seriá fondacionala per ele.

E vaquí! Foguèt acceptat a Montserrat, e dins las sias memòrias confessa que foguèt pas un succés del punt de vista musical, coma nos explica, un autre còp amb de risolièras anecdòtas: “Tot i no despuntar mai ni com a cantor ni com a instrumentista, sempre estaré agraït del que m’ensenyà la música. Si d’una satisfacció puc parlar és d’haver estat solista, una vegada, dintre de l’església. En el moment que més potent havia de ser la veu d’alt de notes refilades... em vaig quedar mut. Ricard Lobo, escolà, des de la infermeria, on estava covant l’escarlatina, va sentir, per ràdio interna, com el director de l’Escolania em substituïa i feia ell cim amb una veu de falset. Reaccionà amb una esclafida de riure tan estrepitosa, em digué uns dies després, que havia provocat un terratrèmol a l’infermeria”. 

Lo raconte de la sia vida es doç, tèndre, banhat d’una simplicitat e curiositat prigondas. Es un plaser legir pagina aprés pagina, e descobrir al mateis ritme que el pendent que descobrissiá los  sieus pròpis talents. Aureli aviá una grossa sensibilitat per la literatura e l’escritura: “M’apassionaven les classes de literatura. Potser d’aquí vingué el meu interès sostingut en el temps per la lectura i per l’escriptura. He redactat, gairebé quotidianament, textos, molts d’aquests perduts o estripats, bastants publicats en diaris, revistes, llibres...”.

E ont la sia votz arribava pas, i arribava l’intellècte. Pendent l’epòca de l’Escolania, d’adolescent, Aureli trobèt inclinacion naturala a narrar de contes, qualques uns prèviament legits, e d’autres inventats sul pic. “Els meus companys solien escoltar bocabadats les proeses d’aquella cadira. La narració no s’acabava mai, sempre afegia nous capítols. Era com una sèrie. No em quedava gaire temps per menjar. El veí de taula se’m cruspia les postres. Més d’una vegada concloïa el capítol amb un acudit, una altra de les meves especialitats o febleses. Aquesta activitat lúdica encara la practico amb un estil propi definit pels amics com a «aureliades»”.

Lo temps passèt a Montserrat, e meme se Aureli i èra pas vengut per plaser, amb lo pas dels meses, cada cop que tornava a l’ostal, sentissiá que li mancava l’ambient de l’Escolania. A la debuta sabiá pas per qué, mas pauc a pauc comprenguèt per qué era tan especial aquel ambient. 

Sèm dins lo contèxte social de las annadas 50 del segle XX, en plena dictadura de Franco dins l’estat espanhòl, caracteritzat per la completa repression de las libertats democraticas, de la lenga e de las culturas nacionalas defòra la nacion espanhòla. 

Lo 27 d’abril de 1947 se tenguèt una fèsta, la Festa Popular de l’Entronització de la Mare de Déu de Montserrat. Aureli se maina dins aquel moment de la poténcia simbolica del “projècte” que representava aquel endreit: “Montserrat convocava els catalans a assistir a una magna festa en honor de la patrona de Catalunya i, a la vegada, cridava també els catalans, de qualsevol creença, a aprofitar l’avinentesa per fer la primera concentració massiva postbèl·lica, sota el signe de la reconciliació. La festa religiosa era també, una guspira d’esperança col·lectiva, una anticipació de la represa de les llibertats, del retorn de la democràcia”. 

E nos balha encara mai de detalhs per compréner la societat de l’epòca : “Començava a entendre que una de les funcions cabdals de Montserrat era la d’edificar una pau amb més sentit que només l’absència de la guerra. Aquella combinació, estranya a primera vista, del religiós amb el profà o civil, era pròpia d’un temps en què la clandestinitat activa i certes aparences constituïen els únics mitjans pacífics i democràtics d’autodefensa popular”.

Aprés un pauc de temps, arribèt a Aureli l’opcion de venir monge a Montserrat. De tota faiçon, podiá pas pus èsser escolan aprés los 15 ans! Foguèt pas segur, aviá pas una responsa clara, ne una gròssa vocacion religiosa, mas del prigond de son arma sortiguèt un gròs “òc” que li demandèt de creire la sia intuïcion. Coma aprés escriu, foguèt la decision corrècta per çò que portèt d’oportunitats a son camin qu’esperava pas.

Contunham la sia biografia amb la decision d’estudiar teologia a París, e lo sieu retorn a Montserrat en 1964, on foguèt nomenat secretari de l’Abat Aureli Escarré. Aprés d’una crisi monastica, l’Abat Escarré foguèt expulsat de Montserrat, e foguèt mandat a un pichòt vilatge italian de la província de Milan, Viboldone. D’aquèla epòca vitala que foguèt marcada per la simplicitat e la lentor ne vòli soslinhar la intencionalitat tostemps fortament umana d’Aureli: “La poca gent que habitava a Viboldone amb prou feines sortia de casa, si no era per acudir a treballar en una de les fàbriques veïnes. Els únics que donaven un pèl de vida jugant al carrer eren els nens. Les monges m’encomanaren d’ocupar-me’n una mica. Van estar contents que els invités a crear una espècie de colla anomenada Club dell’Avvenire. Entre xerrades i excursions lluny del poble, els feia conèixer ambients més atractius i plurals que el de Viboldone. Els potenciava la curiositat per un pervindre més obert. [...] 

Casualment, al cap de molts anys, ens retrobàrem jo i la Maura, casada i amb carrera, dirigint les farmàcies de la família. Havia pogut fer estudis universitaris gràcies, creia ella, a la meva insistència d’enviar-la a estudiar fora, anys anteriors, feta als seus pares. A partir de llavors hem establert una amistat. La primera vegada que em presentà la seva família, lloro inclòs, aquest va cridar: «Maura, attenzione, questo non lo conosco!»”.

E foguèt plan importanta tanben aquela epòca per los viatges que faguèren amb un collèga monge, Ildefons, e çò que descobriguèren: “De tant en tant ens distrèiem fent curtes i ràpides excursions, en cotxe i amb el beneplàcit de l’abat Aureli. Vam recórrer bastant bé les regions septentrionals d’Itàlia, els Alps del Monte Rosa fins a les Dolomites. Per primera vegada vaig adonar-me que als Alps s’hi parlaven diferents llengües, a més de l’italià: el friülà, l’eslovè, diversos dialectes de l’alemany, el ladí... a la banda del nord-est; el francoprovençal, l’occità, el francès... al costat de les fronteres amb França i Suïssa. Un primer tast de la temàtica que m’ompliria el temps, els últims gairebé cinquanta anys de la vida”.

De paginas e de paginas son plenas de descripcions del caractèr de l’Abat Aureli. Fin finala, per qué de siglas tan misteriosas dins lo nom del CIEMEN, lo “Centre Internacional Escarré per a les Minories Ètniques i les Nacions”? Èsser secretari de l’Abat Aureli Escarré li portèt de gròsses aprendissatges a Aureli Argemí, e sustot lo revelh d’una consciéncia sociala e intuïcion collectiva: “Fins al llindar de la mort l’Abat Aureli es caracteritzà pel seu caràcter vigorós, enèrgic, a la frontera del que alguns titllaven d’autoritari. Mantenia, igualment intactes, les facultats de ser clarivident, compassiu, paternal, amic dels seus amics i, alhora, sever, tossut, categòric. [...] Fins poc abans de morir era capaç de seguir encara, contemporàniament, les notícies transmeses per la ràdio o la televisió, llegir en diagonal els diaris i revistes que li comprava als quioscos de Milà... Aquesta seva facultat, a més de posar-lo al dia, perquè em feia la síntesi perfecta del que havia escoltat i llegit, li donava l’alè per activar la seva intuïció. Mirant més enllà de Catalunya, l’abat parlava de l’inici d’una nova era, singularitzada pel desenvolupament descontrolat dels països rics, amb autodefenses cmés sofisticades i perilloses per a la supervivència de la humanitat, i limitada per noves formes de subdesenvolupament, d’explotació incontrolada de la terra”.

Los escambis amb l’Abat Aureli, pendent que ne foguèt lo secretari, e las pròpias conviccions personalas ligadas a l’experiéncia politica de lucha per los dreches de Catalonha pendent lo franquisme preparèron las condicions necessàrias per la creacion del CIEMEN. 

Argemí prepausèt la creacion del CIEMEN a la novèla comunautat benedictina creada al Monastèri de Cuixà, dins la Catalonha Nòrd, mas aguèt pas gaire succés: “Els companys de Cuixà, defensors també ells dels drets dels catalans, no sintonitzaven amb el meu projecte, que els semblava massa atrevit, excessivament utòpic”. Mas lo “pare Oleguer”, dins lo 1973, acceptèt que lo CIEMEN foguèsse creat a Milan, per çò que en Catalonha, alara dedins lo regim franquista, èra impossible fondar una institucion amb aqueles objectius.

Las siglas que definirián la natura e finalitats de la nòva associacion foguèron acordadas per consensus: centre, ponch d'amassada, de recèrca, de dialòg; internacional, a fin de precisar la siá dimension, pas limitada a una nacion e dobèrta a totas; Escarré, exemple e referent istoric en la lucha en favor dels dreches dels pòbles; per las minoritats etnicas e nacionalas, terminologia que segon los assessors milaneses èra la mai comprensibla e acceptabla pel public italian.

A la debuta de 1974, un amic d’Aureli, Alberto Delfino, faguèt d’intermediari amb lo cònse socialista de Milan, Aldo Aniasi. Lo cònse li prestèt un burèu, gratuitament, dins lo centre cultural De Amicis dels socialistas milaneses. “Soi amb vos, perque trabalhar per las minoritats es trabalhar per la democracia”, diguèt lo cònse. Es tanben plan interessant soslinhar que existiguèt una branca del CIEMEN en Aosta, creada parallèlament a la fondacion del CIEMEN a Milan. Pendent la installacion del CIEMEN en Aosta, arribèt la mòrt del general Franco. E aital, Aureli Argemí metèt tota l’atencion a portar lo seti principal de l’associacion a Barcelona.

Los capítols seguents del libre son dedicats a l’analisi dels 25 ans de trabalh del CIEMEN, çò que Aureli considera “la llavor sembrada”, es a dire, “la semença semenada”.

Dins lo CIEMEN Aureli Argemí impulsèt un molon d’iniciativas per manténguer e espandir lo compromís politic Catalonha. Coma la creacion de la Crida a la Solidaritat en Defensa de la Llengua, la Cultura i la Nació Catalanes, lo 1981, que venguèt lo punt principal de referència d’una generacion que demandava de posicionaments mai coratjoses dels que prepausava la Generalitat de Catalonha reconstituïda qualques ans endarrièr. O coma la proposicion de crear lo Fons Català de Cooperació al Desenvolupament lo 1986, ensems amb d’autras ONGs e los primièrs cònses de l’epòca de la democràcia, per balhar una responsa al compromís de solidaritat internacional que demandava als governaments dedicar lo 0,7% de las resorsas a luchar contra la praubesa e a favor del desvolopament dels païses e pòbles mai praubes, e que venguèt una iniciativa pionièra.

Me cal, segur, soslinhar lo sieu pretzfach al nivèl internacional. Foguèt responsable de la proposicion de doas iniciativas que uèi son en vigor e plan reconegudas. La primièra es la Declaracion Universala dels Drets dels Pòbles de 1990, escrita dins lo cadre de la Conferéncia de Nacions sens Estat d’Europa impulsada per lo CIEMEN, e la Declaracion Universala dels Drechs Lingüistics, lo 1996, ensems amb lo PEN Català.

Aquestes tèxtes aguèron un impacte dins lo costat creatiu del CIEMEN, que a fargat, decènni après decènni, mantunas resorsas de divulgacion coma cartas sus la diversitat de las nacions, pòbles e lengas d’Europa e de tot lo monde, la publicacion de la revista Europa de les nacions, e mai recentament del jornal digital Nationalia.

Membres d’associacions e activistas de las Valadas occitanas d’Italia agèren la possibilitat d’escambiar amb Aureli Argemí plan de moments pendent la creacion del CIEMEN en Italia, de conversacions suls drets de las minoranças plan importantas, participacion a de jornadas del CIEMEN al Monastèri de Cuixà, e los que i foguèron presents amb ele an la conviccion d’aver conegut un fraire d’activisme, una persona meravilhosa, un òme semença, semença dels dreits de las lengas e de consciéncia que contunhem de reclamar.

Sèm d’acòrdi amb lo President del CIEMEN, David Minoves, “La llavor que l’Aureli va sembrar ha germinat, i el seu fruit creix en tots nosaltres, que seguim compromesos en la defensa dels drets col·lectius, els nostres i els de la resta dels pobles del món, la pau i la solidaritat”.

Vos convidi a legir lo libre per apréner mai de detalhs sus episòdis de la vida politica e social de Catalonha, e sus la vida d’Aureli Argemí, que aquestas magnificas memòrias explican amb prigondor e sensibilitat, e que per rasons d’extension pòdon pas èsser plan representadas ací.

Mercés, Aureli, ton trabalh es nòstra inspiracion. Repausa en patz.