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Manifestazioni Eventi e Novità

Discorso di THOMAS SANKARA all’ONU

Discors de Thomas Sankara a l’ONU

New York, 4 ottobre 1984, 39ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Discorso di THOMAS SANKARA all’ONU
italiano

Quest’anno il Premio Ostana, giunto ormai alla sedicesima edizione, ha conferito il Premio Speciale a Koumarami Karama, attrice, drammaturga e regista teatrale di lingua dioula, proveniente dal Burkina Faso. Malgrado l’impossibilità della sua presenza, per motivi burocratici, la conferenza e la premiazione si sono svolte tramite collegamento internet e il pubblico ha potuto conoscere il suo lavoro e la situazione della lingua nel contesto socioculturale del paese. 

Il nome Burkina Faso, stato africano a cavallo fra il deserto del Sahel e la foresta equatoriale, è formato dall’unione di due parole: “Burkina” uomo integro in lingua morè, e “Faso” paese in lingua dioula,  da cui “Paese degli uomi integri”. A maggior ragione, ciò offre l’occasione di pubblicare un documento storico importante come il discorso all’assemblea dell’ONU tenuto il 4 ottobre del 1984 da parte di Thomas Sankara, protagonista e riferimento fondamentale nella storia del suo paese. Un discorso libero, diretto, disperato, da parte di un uomo integro, consapevole da quel palco di poter rivolgersi all’umanità in favore della pace: “Non pretendo qui di affermare dottrine”, “Parlo in nome delle madri”, del “grande popolo dei diseredati”, della sua condizione e possibile libertà; “Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà”; “Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi”. 

“Il solo aiuto che accettiamo è quello che ci permetta di non avere più bisogno d’aiuto”, continuava a proclamare da tempo e ha ribadito anche quel giorno. Se l’umanità non ha ancora trovato un modo per raggiungere una qualche pace, uguaglianza e libertà, la forza di Thomas Sankara, la sua lotta, resta nelle parole di un uomo che senza paura, di fronte al mondo, all’arroganza dell’universalismo dell’occidente ha opposto uno sguardo, proposto una visione verso un orizzonte dove non esistano poveri, né oppressi, né miserabili. 

*

New York, 4 ottobre 1984, 39ª sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Traduzione: Marinelle Corregia

Fonte: http://thomassankara.net/discorso-de-sankara-allonu-le-4-ottobre-1984/?lang=it

Presidente, Segretario generale, onorevoli rappresentanti della comunità internazionale.

Vi porto i saluti fraterni di un paese di 274.000 chilometri quadrati in cui sette milioni di bambini, donne e uomini si rifiutano di morire di ignoranza, di fame e di sete, non riuscendo più a vivere nonostante abbiano alle spalle un quarto di secolo di esistenza come stato sovrano rappresentato alle Nazioni Unite.

Sono davanti a voi in nome di un popolo che ha deciso, sul suolo dei propri antenati, di affermare, d’ora in avanti, se stesso e farsi carico della propria storia – negli aspetti positivi quanto in quelli negativi – senza la minima esitazione.

…Non pretendo qui di affermare dottrine. Non sono un messia né un profeta; non posseggo verità. I miei obiettivi sono due: in primo luogo, parlare in nome del mio popolo, il popolo del Burkina Faso, con parole semplici, con il linguaggio dei fatti e della chiarezza; e poi, arrivare ad esprimere, a modo mio, la parola del “grande popolo dei diseredati”, di coloro che appartengono a quel mondo che viene sprezzantemente chiamato Terzo mondo. E dire, anche se non riesco a farle comprendere, le ragioni della nostra rivolta…

Nessuno sarà sorpreso di vederci associare l’ex Alto Volta – oggi Burkina Faso – con questo insieme così denigrato che viene chiamato Terzo mondo, una parola inventata dal resto del mondo al momento dell’indipendenza formale per assicurarsi meglio l’alienazione sulla nostra vita intellettuale, culturale, economica e politica.

…Riconoscendoci parte del Terzo mondo vuol dire, parafrasando José Martí, “affermare che sentiamo sulla nostra guancia ogni schiaffo inflitto contro ciascun essere umano ovunque nel mondo”. Finora abbiamo porto l’altra guancia, gli schiaffi sono stati raddoppiati. Ma il cuore del cattivo non si è ammorbidito. Hanno calpestato le verità del giusto. Hanno tradito la parola di Cristo e trasformato la sua croce in mazza. Si sono rivestiti della sua tunica e poi hanno fatto a pezzi i nostri corpi e le nostre anime. Hanno oscurato il suo messaggio. L’hanno occidentalizzato, mentre per noi aveva un significato di liberazione universale. Ebbene, i nostri occhi si sono aperti… non riceveremo più schiaffi.

Questo mio timore è tanto più giustificato in quanto l’istruita piccola borghesia africana – se non quella di tutto il Terzo mondo – non è pronta a lasciare i propri privilegi, per pigrizia intellettuale o semplicemente perché ha assaggiato lo stile di vita occidentale. Così, questi nostri piccolo borghesi dimenticano che ogni vera lotta politica richiede un rigoroso dibattito, e rifiutano lo sforzo intellettuale per inventare concetti nuovi… Consumatori passivi e patetici, essi sguazzano nella terminologia che l’Occidente ha reso un feticcio, proprio come sguazzano nel whisky e nello champagne occidentali in salotti dalle luci soffuse.

…Pochi dati bastano a descrivere l’ex Alto Volta. Un paese di sette milioni di abitanti, più di sei milioni dei quali sono contadini; un tasso di mortalità infantile stimato al 180 per mille; un’aspettativa di vita media di soli 40 anni; un tasso di analfabetismo del 98%, se definiamo alfabetizzato colui che sa leggere, scrivere e parlare una lingua; un medico ogni 50.000 abitanti; un tasso di frequenza scolastica del 16%; infine un prodotto interno lordo pro capite poco più di 100 dollari per abitante. La diagnosi era cupa ai nostri occhi. La causa della malattia era politica. Solo politica poteva dunque essere la cura. Naturalmente incoraggiamo l’aiuto che ci aiuta a superare la necessità di aiuti. Ma in generale, la politica dell’aiuto e dell’assistenza internazionale non ha prodotto altro che disorganizzazione e schiavitù permanente, e ci ha derubati del senso di responsabilità per il nostro territorio economico, politico e culturale.

Abbiamo scelto di rischiare nuove vie per giungere ad una maggiore felicità. Abbiamo scelto di applicare nuove tecniche e stiamo cercando forme organizzative più adatte alla nostra civiltà, respingendo duramente e definitivamente ogni forma di diktat esterno, al fine di creare le condizioni per una dignità pari al nostro valore. Respingere l’idea di una mera sopravvivenza e alleviare le pressioni insostenibili; liberare le campagne dalla paralisi e dalla regressione feudale; democratizzare la nostra società, aprire le nostre anime ad un universo di responsabilità collettiva, per osare inventare l’avvenire. Smontare l’apparato amministrativo per ricostruire una nuova immagine di dipendente statale; fondere il nostro esercito con il popolo attraverso il lavoro produttivo avendo ben presente che senza un’educazione politica patriottica, un militare non è nient’altro che un potenziale criminale. 

…Chi mi ascolta mi permetta di dire che parlo non solo in nome del mio Burkina Faso, tanto amato, ma anche di tutti coloro che soffrono in ogni angolo del mondo. Parlo in nome dei milioni di esseri umani che vivono nei ghetti perché hanno la pelle nera o perché sono di culture diverse, considerati poco più che animali. Soffro in nome degli Indiani d’America che sono stati massacrati, schiacciati, umiliati e confinati per secoli in riserve così che non potessero aspirare ad alcun diritto e la loro cultura non potesse arricchirsi con una benefica unione con le altre, inclusa quella dell’invasore. Parlo in nome di quanti hanno perso il lavoro, in un sistema che è strutturalmente ingiusto e congiunturalmente in crisi, ridotti a percepire della vita solo il riflesso di quella dei più abbienti.

Parlo in nome delle donne del mondo intero, che soffrono sotto un sistema maschilista che le sfrutta.

Le donne in lotta proclamano all’unisono con noi che lo schiavo che non organizza la propria ribellione non merita compassione per la sua sorte. Questo schiavo è responsabile della sua sfortuna se nutre qualche illusione quando il padrone gli promette libertà. La libertà può essere conquistata solo con la lotta e noi chiamiamo tutte le nostre sorelle di tutte le razze a sollevarsi e a lottare per conquistare i loro diritti.

Parlo in nome delle madri dei nostri paesi impoveriti che vedono i loro bambini morire di malaria o di diarrea e che ignorano che esistono per salvarli dei mezzi semplici che la scienza delle multinazionali non offre loro, preferendo piuttosto investire nei laboratori cosmetici, nella chirurgia estetica a beneficio dei capricci di pochi uomini e donne il cui fascino è minacciato dagli eccessi di calorie nei pasti, così abbondanti e regolari da dare le vertigini a noi del Sahel.

Parlo, anche, in nome dei bambini. Di quel figlio di poveri che ha fame e guarda furtivo l’abbondanza accumulata in una bottega dei ricchi. Il negozio è protetto da una finestra di spesso vetro; la finestra è protetta da inferriate; queste sono custodite da una guardia con elmetto, guanti e manganello, messa là dal padre di un altro bambino che può, lui, venire a servirsi, o piuttosto, essere servito, giusto perché ha credenziali garantite dalle regole del sistema capitalistico.

Parlo in nome degli artisti – poeti, pittori, scultori, musicisti, attori – che vedono la propria arte prostituita per le alchimie dei businessman dello spettacolo. Grido in nome dei giornalisti ridotti sia al silenzio che alla menzogna per sfuggire alla dura legge della disoccupazione. Protesto in nome degli atleti di tutto il mondo i cui muscoli sono sfruttati dai sistemi politici o dai moderni mercanti di schiavi.

Il mio paese è la quintessenza di tutte le disgrazie dei popoli, una sintesi dolorosa di tutte le sofferenze dell’umanità, ma anche e soprattutto una sintesi delle speranze derivanti dalla nostra lotta. Ecco perché ci sentiamo una sola persona con i malati che scrutano ansiosamente l’orizzonte di una scienza monopolizzata dai mercanti d’armi. Il mio pensiero va a tutti coloro che sono colpiti dalla distruzione della natura e ai trenta milioni di persone che muoiono ogni anno abbattute da quella terribile arma chiamata fame…

 

Thomas Isidore Noël Sankara (1959 / 1987) è stato un militare, politico, rivoluzionario e patriota burkinabé, leader carismatico dell’Africa sub-sahariana. Si impegnò per eliminare la povertà attraverso il taglio degli sprechi statali e la soppressione dei privilegi delle classi agiate. Finanziò un ampio sistema di riforme sociali incentrato sulla costruzione di scuole, ospedali e case per la popolazione in estrema povertà, oltre a condurre un’importante lotta alla desertificazione con la piantumazione di milioni di alberi nel Sahel.

Il suo rifiuto di pagare il debito estero di epoca coloniale, insieme al tentativo di rendere il Burkina autosufficiente e libero da importazioni forzate, gli attirò le antipatie degli USA, Francia e Regno Unito, oltre che di numerosi paesi circostanti. Questo stato di cose sfociò nel colpo di Stato il 15 ottobre 1987, in cui, all’età di 37 anni, il giovane capitano Sankara fu assassinato dal proprio vice,  Blaise Compaoré. Al momento della morte, gli unici beni in suo possesso si rivelarono essere un piccolo conto in banca di circa 150 dollari, una chitarra e la casa in cui era cresciuto. 

occitan

Aquest an lo Prèmi Ostana, arrubat d’aüra enlai a la setzena edicion, a conferit lo Prèmi Especial a Koumarami Karama, actritz, dramaturga e tregista teatrala de lenga dioula, provenent dal Burkina Faso. Malgrat l’impossibilitat de sa presença, per de motius burocràtics, la conferença e la premiacion se son tenguas per connexion internet e lo públic a porgut conóisser son travalh e la situacion de la lenga ental contèxt sociocultural dal país.

Lo nom Burkina Faso, estat african a caval entre lo desèrt dal Sahel e la forèsta equatoriala, es format da l’union de doas paraulas: “Burkina” òme intègre en lenga morè, e “Faso” país en lenga dioula,  d’ente “País di òme intègres”. A major rason, aquò nos ofrísl’ocasion de publicar un document estòric important coma lo discors a l’assemblea de l’ONU tengut lo 4 d’otobre dal 1984 da part de Thomas Sankara, protagonista e referença fondamentala dins l’estòria de son país. Un discors libre, dirèct, desperat, da part de n’òme intègre, conscient da aquel palc de poler adreçar-se a l’umanitat en favor de la patz: “Pretendo pas aicí d’afermar de doctrinas”, “Parlo en nom de las maires”, dal “grand pòple di deseredats”, de sa condicion e possibla libertat; “Aqueste esclau es responsable de sa desfortuna se norrís quarque illusion quora lo padron lhi promet de libertat”; “Parlo, decò en nom de las mainaas. D’aquel filh de paures que a fam e beica furtiu l’abondança acumulaa dins na botega di rics”.

“Lo solet ajut que acceptem es aquel que nos permete d’aver pas pus da manca d’ajut”, continuava a proclamar da temp e a repetut decò aquel jorn. Se l’umanitat a pas encà trobat na maniera per rejónher una quarque patz, egalitat e libertat, la fòrça de Thomas Sankara, sa batalha, rèsta dins las paraulas de n’òme que, sensa paor, derant al mond, a l’arrogança de l’universalisme de l’occident a opausat n’esgard, propausat na vision vèrs n’orizont ente existen ren de paures, ni d’oprés, ni de miserables.

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New York, 4 d’otobre 1984, 39ª session de l’Assemblea Generala de las Nacions Unias

Fònt:  http://thomassankara.net/discorso-de-sankara-allonu-le-4-ottobre-1984/?lang=it

President, Segretari general, onorévols rapresentats de la comunitat internacionala.

Vos pòrto lhi saluts frairals d’un país de 274.000 quilomètres quadres ente sèt milions de mainaas, fremas e òmes se refuson de muérer d’inhorança, de fam e de set, en pus arrubant a viure ben que àbien a las espatlas un quart de sècle d’existença coma estat sovran rapresentat a las Nacions Unias.

Siu derant a vos en nom d’un pòple que d’aüra enlai a decidat, sal sòl de si reires, de s’afermar e se charjar de son estòria – enti aspècts positius coma ent aquilhi negatius – sensa la mínima esitacion.

... Pretendo pas aicí d’afermar de doctrinas. Siu ren un messia ni un profeta: possèdo ren de veritats. Mi objectius son dui: d’en premier, parlar en nom de mon pòple, lo pòple dal Burkina Faso, abo de paraulas simplas, abo lo lengatge di fachs e de la claressa; e puei, arrubar a exprímer, a ma maniera, la paraula dal “grand pòple di deseredats”, d’aquilhi que apartenon an aquel mond que abo mesprèsi ven sonat Tèrç Mond. E dir, bèla se arrubo pas a far-las comprene, las rasons de nòstra revòlta...

Degun sarè sorprés de nos veire associar l’Auta Volta – encuei Burkina Faso – abo aqueste ensem tan denigrat que ven sonat Tèrç mond, na paraula inventaa da la rèsta dal mond al moment de l’indipendença formala per assegurar-se mielh l’alienacion sus nòstra vita intellectuala, culturala, econòmica e política.

... Nos reconóisser de far part dal tèrç Mond vòl dir, en parafrasant José Martí, “afermar que sentem sus nòstra jauta chasque esjaf donat còntra chasque èsser uman da pertot ental mond”. Fins aüra avem porzut l’autra jauta, lhi esjaf son istats redoblats. Mas lo còr dal marrit s’es pas acotit. An pistat las veritats dal just. An tradit la paraula de Crist e transformat sa crotz dins na maça. Se son revestits de sa túnica e puei an fach a tòcs nòstri còrps e nòstras ànimas. An escurzit son messatge. L’an occidentalizat, dal temp que per nosautri avia in sinhificat de liberacion universala. E ben, nòstri uelhs se son dubèrts... pilharèn pus d’esjaf.

Aquesta mia crenta es encà pus justificaa perqué l’instruïa pichota borgesia africana – se ren aquela de tot lo Tèrç mond – es ren prèsta a laissar si privilègis, per pigrícia intellectuala o simplament perqué a tastat l’estil de vita occidental. Parelh, aquesti nòstri pichòts borgés desmention que chasque vera batalha política demanda un debat rigorós, e refuson l’esfòrç intellectual per inventar de concèpts nòus... Consumator passius e patètics, noon dins la terminologia que l’Occident a rendut un fetich, pròpi coma noon ental whisky e ental champagne occidentals dins de salòts abo las lutzs baissaas.

... Paucas donaas baston a descriure l’ex Aut volta. Un país de sèt milions d’abitants, pus de sies milions di quals son de païsans; un tax de mortalitat enfantila estimat al 180 per mila; n’aspectativa de vita mèdia de ren que 40 ans; un tax d’anafabetisme dal 98%, se definiem alfabetizat aquel que sa léser, escriure a parlar na lenga; un mètge chasque 50.000 abitants; un tax de frequença escolàstica dal 16%: enfin lo produch intèrn lord de pauc mai de 100 dolars per abitant. La diàgnosi era sombra a nòstri uelhs. La causa de la malatia era política. Ren que política, donca, polía èsser la cura. Naturalament encoratgem l’ajut que nos ajua a sobrar la necessitats d’ajuts. Mas en general, la política de l’ajut e de l’assistença internacionala a ren produch d’autre que de disorganizacion e d’esclavatge permanent, e nos a deraubats dal sens de responsabilitat per nòstre territòri econòmic, polític e cultural.

Avem ciernut de riscar de nòus chamins per arrubar a un major bonur. Avem ciernut d’aplicar de nòvas tècnicas e istem cerchant de formas organizativas pus adaptas a nòstra civiltat, en repossant durament e defitivament qual se sie forma de diktat extèrn, per crear las condicions per na dinhitat egala a nòstre valor. Repossar l’idea de na pura sobrevivença e alegerir las pressions insosteniblas; liberar las campanhas da la paràlisi e la regression feudala; democratizar nòstra societat, duérber nòstras ànimas a n’univèrs de responsabilitat collectiva, per osar inventar l’avenir. Desmontar l’aparat administratiu per reconstruïr na nòva image de dependent estatal: fónder nòstre exèrcit abo lo pòple a travèrs lo travalh productiu en avent ben present que sensa n’educacion política patriòtica, un militar es ren d’autre que un potencial criminal.

... Qui m’escòuta me permete de dir que parlo ren masque en nom dal Burkina Faso, tant amat, mas decò de tuchi aquilhi que sufrisson ental mond. Parlo en nom di milions d’èssers umans que vivon enti guets perqué an la pèl niera o perqué son de culturas diferentas, considerats gaire pus que d’animals. Sufrisso en nom de lhi Indians d’Amèrica que son istats massacrats, acrasats, umiliats e confinats per de sècles dins de resèrvas perqué polesson pas aspirar a degun drech e lor cultura polesse pas enrichir-se abo n’union benèfica abo las autras, inclusa aquela de l’invasor. Parlo en nom d’aquilhi que an perdut lo travalh, dins un sistèma que es estructuralament injust e conjunturalament en crisi, reduch a percéber de la vita masque lo reflèx d’aquela di pus benestants.

Parlo en nom de las fremas dal mond entier, que sufrisson dessot un sistèma masquilista que las esfrucha.

...

Las fremas en lòta proclamon a l’uníson abo nosautri que l’esclau que organiza ren sa rebellion mérita ren de compassion per sa sòrt. Aqueste esclau es responsable de sa desfortuna se norrís quarque illlusion quora lo padron lhi promet de libertat, la libertat pòl èsser conquistaa masque abo na lòta e nosautri chamem totas las fremas a solevar-se e a lotar per conquistar lors drechs.

Parlo en nom de las maires de nòstri país empoverits que veon lors mainaas muérer de malària o de diarrea e que inhòron que per salvar-lhi existon de meians simples que la sciença de las multinacionalas lor semon pas, en preferent pustòst envestir dins de laboratòris cosmètics, dins la quirurgia estètica a benefici di capricis de gaire d’òmes e fremas dont lo charme es menaçat da lhi excès de calorias enti pasts, tant abondants e regulars da far venir lo lordim a nosautri dal Sahel.

...

Parlo, decò, en nom de las mainaas. D’aquel filh de paures que a fam e beica furtiu l’abondança dins na botega de rics. Lo negòci es protejut da na fenèstra de vedre espés; la fenèstra es paraa da de ferraas; aquestas son gardaas da na gàrdia abo l’elmet, lhi gants e lo manganèl, butaa ailai dal paire de n’autra mainaa que pòl, nilhi, venir a servir-se, o pustòst, èsser servit, just perqué a las credencialas garantias da las règlas dal sistèma capitalístic.

Parlo en nom di artistas – di poètas, pintres escultors, musicistas, actors – que veon lor art prostituïa perlas alquimias di òmes da far de l’espectacle. Bramo en nom di jornalistas reduch tant al silenci que a la messonja per escapar a la dura lei de la desocupacion. Protèsto en nom di atletas dont lhi muscles son esfruchats da lhi sistèmas polítics o da lhi modèrns marchands d’esclaus.

Mon país es la quintessença de totas las desgràcias di pòples, un síntesi dolorosa de totas las soferenças de l’umanitat, mas decò e sobretot una síntesi de las esperanças que venon da nòstra batalha. Vaquí perqué nos sentem na persona soleta abo lhi malates qu’escruton ansiosament l’orizont de na sciença monopolizaa da lhi marchats d’armas. Mon pensier vai a tuchi aquilhi colpits da la destruccion de la natura e a lhi trenta milions de personas que mueron chasque an abatuas da aquela arma terribla sonaa fam...

Thomas Isidore Noël Sankara (1959 / 1987) es istat un militar, polític, revolucionari e patriòta burkinabé, leader carismàtic dell’Àfrica sub-sahariana. S’engatget per eliminar la povertat a travèrs lo talh di gaspilhatges estatals e la sopression di privilègis de las classas aisaas. Financet un ample sistèma de reformas socialas encentrat sus la construccion d’escòlas, espidals, e casas per la popolacion en extrèma povertat, en mai de la plantacions de milions d’àrbols ental Sahel.

Son refús de pagar lo dèbit estrangier de època coloniala, ensema al temptatiu de rénder lo Burkina faso autosufisent e libre da d’importacions forçaas, lhi atiret las antipatias di Estats Units, França e Rènh Unit, en mai que de nombrós país circonstants. Aquel estat de causas menet al colp d’Estat dal 15 d’otobre dal 1987, ente, a l’atge de 37 ans, lo jove capitan Sankara foguet assassinat da son vice, Blaise Compaoré. Al moment de la mòrt, lhi solets bens que possedia se reveleron èsser un pichòt còmpte en banca de a pauc près 150 dolars, na guitarra e la casa ente era creissut.