Il Cavalier Placido Edoardo Eydallin, da tutti conosciuto come Duccio (1914-1981), nasce a Firenze, da madre toscana e padre di Sauze d’Oulx. Duccio è istruttore di alpinismo alla Scuola Militare Alpina e Pattuglie Veloci di Aosta; reduce della Divisione Partigiana Italiana Garibaldi che opera nei Balcani nelle file dell’A.P.L.N. jugoslava di Tito, decorato al valor militare. Esercita la professione di albergatore, di Maestro di Sci e di Guida Alpina Emerita del C.A.I. Negli anni Sessanta è prima Vicesindaco e poi Sindaco di Sauze d’Oulx. L’Eydallin è un appassionato ricercatore autodidatta e compilatore di un vocabolario della parlata occitana di Sauze d’Oulx, primo lavoro di questo tipo in Alta Valle di Susa e fra i primissimi nelle valli occitane italiane rimasto incompiuto e a tutt’oggi inedito. Valados Usitanos lo dipinge così: «Autore del “vocabolario”, appassionato ricercatore di proverbi e detti, nonché di un sacco d’altre cose (ad esempio una preziosa raccolta di toponimi), uomo capace e bravo quanto modesto e schivo, innamorato della sua terra e della sua cultura, testimone attivo e prezioso d’una civiltà che sopravvive tenace malgrado la speculazione, la penetrazione coloniale, lo sfacelo edilizio ecc.».
L’amore di Duccio Eydallin per il patois di Sauze d’Oulx ha radici lontane: già nel 1966, sulla pubblicazione Sauze d’Oulx vecchia e nuova, insieme alla compaesana Fioretta Eydallin229 (1908-1988), riporta alcuni vocaboli e modi di dire della parlata locale, utilizzando la grafia italiana, ma adottando il segno j per il corrispondente suono alla francese230. Tra le locuzioni raccolte per l’occasione, alcune sono peculiari del paese altovalsusino, come: piare, capelli, polò, berretto, garau ch’am bitt, levati che mi metto io, In vir?, dove andate? Certi termini, utilizzati anche nei paesi vicini, meritano di essere ricordati, quali: tet ‘d manin, testardo, barbaluc, cretino, cuclisc, tosse asinina, cumplì, andare in chiesa (più precisamente: assolvere il comandamento di santificare le feste, prendere la messa).
Negli anni successivi Duccio Eydallin elabora una grafia utile alla compilazione del vocabolario cui si dedica con passione e caparbietà, tanto da impegnare giorni e giorni senza trovar pace alla ricerca di termini perduti, come ancora qualcuno ricorda per il caso della parola “libellula” di cui non riusciva a reperire la corrispondente occitana locale che sarà, qualche anno più tardi, riportata come demuasélle o bâlâr’ìne in un altro dizionario di Sauze d’Oulx rimasto anch’esso incompiuto: quello di Daniele Gally.
Nel 1981, per la rivista Valados Usitanos l’Eydallin scrive Proverbi e modi di dire di Sauze d’Oulx231, raccolta di detti popolari della località altovalsusina, e El Sauŝe d’ûn viaje (Sauze di un tempo) che uscirà sulla rivista pochi mesi dopo la sua morte.
La grafia di Duccio Eydallin si basa su quella italiana con prestiti dal francese, come per ch (châpé, cappello) e j (viaje, viaggio, volta, tempo), e con l’adozione di segni utili ad individuare suoni peculiari della parlata dei plòs (ceppi, blasone degli abitanti di Sauze d’Oulx): â, suono intermedio tra a ed e (ânigò, orbettino), ô per il suono corrispondente a quello francese eu (bôr, burro), ŝ per la s sonora (virciuŝe, virtuosa), û per il suono caratteristico di u come in francese (ûne, una). Inoltre, l’Eydallin non segnala l’allungamento vocalico compensativo e individua con il grafema r il suono caratteristico raschiato alla francese (lebrenne, salamandra) e con ȓ il suono dolce (caiȓe, lato), con e senza accento indica la vocale semimuta (enghen, unguento), mentre con l’accento acuto ne indica la pronuncia e non l’eventuale chiusura o la tonica (étubla, stoppie). Infine, il segno q indica c aspra davanti a vocale, senza inserimento di u prima delle vocali e ed i, o quando si trova in fine di parola (qattre, quattro; chaqe, ogni; eq, come). Il gruppo consonantico gl ha sempre suono dolce anche davanti alle vocali a, o ed u (le glà, c’è; biglun, grosse sezioni di tronco d’albero).
Tra i modi di dire riportati dall’Eydallin uno è indicativo del mutamento epocale avvenuto per Sauze d’Oulx dal dopoguerra con lo sviluppo del turismo invernale: Pâmai ed câgletta, pâmai ed suppe grase mé ûne susisse eddin lâ gânase (Non più quagliette, non più zuppa grassa232, ma una salciccia in bocca) che si contrappone alla monotonia del detto Li tu el ten lâ maime âdraghe (È sempre la stessa storia) e rende ormai inadatto agli abitanti della località turistica il proverbio Le crép maq ciù lâ vache d’ûn poȓe diable (Muore solo sempre la mucca di un poveraccio).
El Sauŝe d’ûn viaje avrebbe dovuto, nelle intenzioni dell’autore, fungere da introduzione al Dizionario del patois di Sauze d’Oulx rimasto nei cassetti. In questo scritto sono rilevabili alcune peculiarità della parlata di Sauze d’Oulx, come l’uso della doppia o tripla negazione ji nengû o pa ji nengû (nessuno), che altrove è resa con pa nongù, come ad Oulx.
Sauze di un tempo
Non potevo pensare di scrivere del nostro patuà senza parlare un po’ di come era la vita di Sauze una volta.
La vita non è sempre stata come ora, le abitudini sono cambiate e penso sia interessante per i giovani di ora e per la gente che verrà, sapere come vivevano i nostri vecchi prima che arrivassero i forestieri.
Prima cosa per vivere non avevano bisogno in proporzione, di tanti soldi come ora. Con il bestiame e la campagna potevano vivere abbastanza bene senza che gli mancasse niente.
Dalle mucche avevano i vitelli, la carne, il latte, il burro e il formaggio. Con la pelle si facevano le scarpe e gli zoccoli. All’inizio dell’inverno un gruppo di tre, quattro uomini andava in ogni casa e lì sul posto facevano le scarpe necessarie a tutta la famiglia.
Dalle pecore avevano la carne, il latte e la lana. D’autunno la gente andando a piedi si portava sul dorso la lana a cardare a Cesana, e durante l’inverno, durante la veglia la filavano all’arcolaio e ne facevano dopo calze e maglie.
I tessitori facevano la “raŝe” per farne gonne per le donne e vestiti per gli uomini. La raŝe era una stoffa così resistente che un paio di pantaloni o una giacca potevano durare tutta la vita di una persona. La canapa ed il lino servivano per fare le lenzuola e le camicie.
Portavano il grano, il frumento, l’orzo e l’avena al mulino e con la farina si facevano il pane e si facevano fare la pasta. Tutti facevano cuocere il pane nel forno pubblico che era dietro la cappella di San Giuseppe.
Bisogna sapere che il grano e le patate di Sauze erano molto rinomati, erano considerati i migliori della Valle di Susa. Venivano da molti paesi a scambiarli con castagne, pere, noci, mele e vino, cioè venivano a scambiare prodotti che, per l’altitudine non crescevano a Sauze.
Però un po’ di denaro era tuttavia necessario. Occorreva andare dal tabaccaio per il sale ed il tabacco e quel povero tabaccaio doveva sempre andare fino a Susa a fare il suo carico di tabacco e sale, a piedi e portandosi tutto sulla schiena, ma non c’è da stupirsi, perché a quell’epoca muovere le gambe era una necessità.
Gli uomini andavano a tutte le fiere della Valle e della Valle di Pragelato, alle volte fino a Pinerolo, Rivoli o Rochemolles233. Andavano attraversando i colli, alle volte anche quando c’era la neve trascinandosi il bestiame. Per comprare i muli pensate che andavano fino a Enbrun in Francia234, ed anche più lontano!
Naturalmente a Sauze non c’era l’Ufficio Postale e così ogni mattino il postino doveva andare a Oulx a prendere la posta, con il sole, la pioggia o la tormenta. Quando c’era tanta neve si metteva le uose, le racchette e partiva.
Almeno una volta la settimana occorreva andare in città, cioè ad Oulx a vendere un panetto di burro, una mezza dozzina o una dozzina di uova, e quei soldi servivano per andare a comprare qualcosa alla cooperativa che era l’unico negozio del paese, a pian terreno della Casa Comunale237 e lì potevate comprarvi di tutto: petrolio per i lumini o per fare andare via i pidocchi, il filo di ferro e la corda, pale picconi, caffè, zucchero e vasi da notte, proprio come ora nei “super-market”.
Per guadagnare un po’ di più, molti dei nostri vecchi andavano in inverno a lavorare in Francia, chi negli alberghi, chi nelle campagne e quelli che rimanevano non è che si riposassero. Vi ho già detto che ve n’erano che facevano i calzolai, i tessitori, andavano a far legna, facevano i falegnami, segavano i tronchi sull’ “ane” per farne assi, andavano alla Soubeyrane, a Richardet, a Clotes a trascinare giù il fieno con la slitta. Durante qualche inverno parecchi dei nostri uomini andarono al Lago Nero a rompere e segare il ghiaccio del lago, che portavano fino alla stazione ferroviaria per mandarlo a Torino per le ghiacciaie, perché allora i “frigoriferi” non esistevano ancora240.
Un’altra attività che faceva molto onore a Sauze era che diversi dei nostri uomini andavano ad insegnare nelle scuole di tutta la Valle e qualcuno è diventato anche professore241.
A quei tempi non c’era la luce elettrica e ad attraversare il paese di notte era proprio buio242. Alle volte, uscendo, da lontano si vedeva una piccola luce avanzare dondolando: era una ragazza o una donna che andava alla veglia con l’arcolaio sotto un braccio e la lanterna tenuta con l’altra mano, ed ogni volta che uscivate era un “coro” di cani che abbaiavano e non la smettevano fin quando non eravate rientrati!
Nelle case non c’era l’acqua corrente, soltanto qualche famiglia aveva il pozzo, occorreva andare alla fontana tutto l’anno, estate ed inverno243. C’erano come ora, cinque fontane, la più grande, con quattro becchi era il Gran Trun del l540, sulla piazza del Comune e che non molti anni fa è stata messa vicino alla Chiesa244. D’inverno si portavano sempre le mucche ad abbeverarsi alla fontana, la stradina od il sentiero erano gelati ed allora qualcuno vi spargeva i noccioli spezzati delle “marmotte” per non scivolare. Parlando delle “marmotte”245 dovete sapere che i vecchi con il frutto ne facevano olio per condire l’insalata, ed era veramente buono.
Il Comune allora non aveva possibilità come ora, quando c’erano da fare lavori di interesse pubblico il sindaco ordinava la “comandata generale” mandando la guardia a fare il giro del paese battendo il tamburo e farlo sapere a tutti. Tutti partivano a sistemare le strade, a fare lavori alla Laune246, a sistemare i torrenti o il canale principale. D’autunno dovevano pure andare a segare e spezzare la legna per le scuole. Quel giorno per gli scolari era veramente un divertimento, correvano su e giù per le scale portando bracciate di legna, che era certo meglio che rimanere seduti sui banchi! Alla comandata andava sempre un uomo ogni famiglia e quando l’uomo non poteva era la moglie che lo rimpiazzava, nessuno si rifiutava, tutti andavano volentieri, senza borbottare, i contestatori non esistevano ancora! L’unico periodo di riposo di tutto l’anno era la festa di S. Giovanni con il ballo in qualche fienile o in piazza se non pioveva. Il fisarmonicista ci dava dentro giorno e notte, la botte di vino della gioventù non era mai vuota, vino ce n’era sempre fino al due di luglio festa della Madonna di Richardet248, però il tre luglio al mattino tutti erano di nuovo pronti a ricominciare il lavoro di ogni giorno.
Iniziando dal l9l9, da quando Placido Eydallin costruì l’albergo Miravalle al Pé du Sauŝe249, quella che era stata, durante dei secoli la vita di tutto l’anno, di tutti i giorni, una vita dura, di sacrificio, senza riposo né grandi soddisfazioni, un po’ per volta incominciò a cambiare.
Grazie al turismo, anno dopo anno il Paese è diventato come “el Plasid” mio padre, l’aveva già allora immaginato: il Sauze com’è ora!
A puiù pa pensà d’écriȓe ed notre pâtuà sense pârlà mâȓéŝetta de cmi l’éȓe la vitte du Sauŝe ûn viaje.
Lâ vitte i li pa ciù ità eq me ioiȓe, laŝ âbituda sun chinjà é â pensu clâ sia intéȓésan per lu juve ed ioiȓe é per la jen eq venren ed sopaiȓe méq i vivien notru veglé, dran qi ribessen lu fuȓéciù. Prémiȓe chose per viuȓe i l’âvien pa bŝun en prupursiun, ed tan ed soldi eq mâ ioiȓe. Bu la bicia é lâ câmpagne i puien viuȓe âbâchtanse bien sense clâ lu mânqesse ren. Bu la vacha i l’âvien lu vieu, lâ viande, el lai, el bôr é el frumaje. Bu lâ pélle is fâŝien la ŝbatta é la gârocha. A l’écmensemen ed l’iver ûne éqipe ed trai, qattre ommé i l’ânave din chaqe méiŝun é ilà sûr plase i fâŝien la ŝbatta néséséȓa â tutte lâ fâmigle. Ed la fià i l’âvien lâ viande, el lai é lâ lane. D’uten la jen en ânen â pé i purtaven siu dò lâ lane â cârdà â Seŝane é u lon ed l’iver la fenna, pendan lâ viglà la firaven u tur en fâŝen âpré, ed chausa é ed tricos.
Lu téséȓan i fâŝien lâ râse per la robba ed la fenna é par luŝ âbiglâmen duŝ omme. Lâ raŝe l’éȓe ûne etofe si forte q’ûn pâȓé ed braia é ûne jaqe la puien dûȓà tutte lâ vitte d’ûne persune. El chenebbu é el lin i servien per fa lu linsò é la chemiŝa. I purtaven el blà, el frumen é lâ sivà u murin é bu lâ fâȓìne is fâŝien el pan é is fâŝien cuair el pan u fur pûbliq cu l’éȓe dâraiȓe lâ Châpélle ed Sén José.
Le vente sopaiȓe qe el blà é la târtifla du Sauŝe éren rédde ernumà, lâs éren cunsidéȓà la miglù ed lâ Vâléa ed Soiŝe. I vgnen d’ûn bâȓun ed pâì â luŝ échinjà bu ed chatagna, ed prûssé, ed nu, ed pun é ed vin, sét â diȓe i purtaven â échinjà ed choŝa qe per l’otù la crésien pa u Sauŝe. Péȓò ûn pau ed soldi i l’éren tu ed méme néséséȓè. Lâ ventave ânà âchtà du tâbâqin lâ sà é el tâbà é qé poȓ tâbâqin u duvìa ciù ânà d’âncià â Soiŝe â fa sa charja ed tâbà é ed sà, â pé é en purten tut siù dò; mé le glà pa ed s’échtunà perqé â ql’époqe bujà la gamba l’éȓe ûne nésésità. Luŝ omme i l’ânaven â tutta la fiȓa ed la Vâléa é ed lâ Vâléa ed Prâjeȓà ed viaje d’âncià â Pignéȓò, u Riuȓa, u Archâmuȓa. I l’ânaven en crusien lu Collé é ed viaje mai can le glâvia lâ néa é en râblen la bicia. Per âchtà la miuȓa pensà qi l’ânaven d’âncià â Embrôn en Franse é mâi plû lon!
Nâtûȓâlmenta u Sauŝe le gléȓe pa l’Ufis Puchtale é pâȓìa tu lu mâtin el puchtiglun u duvìa ânà en Viȓe â prenne lâ pochte, bu el suregle, la plôi u el jicle. Can le glâvìa un bârun ed néa uŝ bitave sa gâȓauda, sa chatua é u partìa.Umenta ûn cò per smane lâ ventave ânà â lâ Ville, eq l’éȓe en Viȓe, â vende ûne muȓotte ed bôr, ûne demi duŝaine u ûne duŝaine d’iu é clu soldi i servien mai per âchtà eccaren â lâ copérâtive cl’eȓe l’ûniqe négosi du pâi, u plan teren ed méiŝun Cumûne é u puià gl’âchtà tut es cu vuȓià: ed pétrol per lu qinqes u per fa ânà via lu pieu, ed fiérchau é ed corde, ed paȓa é ed piqqé, ed câfé, ed sûcre e ed vaŝé dâ noi, propi eq me ioiȓe eddin lu “super market”! Per gagna mâraiŝe ed mai, ûn bâȓun ed notru veglé i l’ânaven en iver â trâvâglà en Franse, qi din luŝ otéllé qi din la câmpagna é, qéllu qe rechtaven li pa qi s’erpoŝessen. Avé jò dì eq le gnâvìa eq fâŝien lu curduniù, lu téséȓan, i l’ânaven u bò, i fâŝien lu menûŝiù, i sétaven lu biglun sû l’ane per fa la plancha, i l’ânaven â lâ Sbéȓane â Erchârdé, u Clotes â râblà aval el fen bu lâ léia. Pendan cocuŝ ivér le gnà eq sun ânà u Lau Gnìa â rumpe u sétà ed ghlas du laq qi râblaven âval âncià â lâ chtâsiun ed lâ feruvia per el mândà â Tûȓin per la ghlâsìȓa, perqé aluȓe lu “frigoriferi” i l’écŝichtaven âpcaȓe.Une autre âctività eq fâŝìa rédde unù u Sauŝe l’éȓe qe plûŝiôr ed notruŝ ommé i l’ânaven â muntrà din laŝ écoȓa ed tutte lâ Vâléa é cocun u li mai diventà profsôr.Din clu ten le glâvia pa lâ lûmìȓe éléctriqe é trâversià el pâi ed noi l’éȓe propi écû. Ed viaje can u surtià, ded lon u viià ûne pchitte lûmire bâȓânsa en âvânsen: l’éȓe ûne figle u ûne fenne c’ânaven â lâ viglà bu el tur ed susse ûn brasse é lâ lântérne tengûa bu l’autre man, é chaqe viaje cu surtià l’éȓe ciù “un coro” ed chin eq japaven é d’âncià cu l’éȓa pa eddin i qitaven pa!
Eddin la méiŝun le glâvia pa l’aighe cuȓante, maq coqe fâmigle i l’âvìa el pus, lâ ventave ânà u trun tu l’an ita é iver. Le glâvia eq me ioire cinqe funtana, lâ plû grande, bu qattre dûsa l’éȓe el “Gran Trun” du 1540, es lâ plase ed la Cumûne é clâ gla pa ûn bâȓun d’an i li ità méȓà dâpé lâ ghlaiŝe. En ivér lâ se purtave ciù la bicia a bieuȓe â la funtane, lâ vià u el viò i l’éȓen jeȓa e âluȓe serténuŝ ûn i gl’épâtûsaven ed sû lu gâȓiù ed la mârmotta per pa égârûsà. En pârlen ed la mârmotta u duvé sopaiȓe eq lu veglé i n’en fâŝien d’ôȓi per bità din lâ sarade é u l’éȓe propi bun. La Cumûne âluȓe i l’éȓe pa riche eq mâ ioiȓe, can le glâvia ed trâvau dâ fa d’intéȓé jénéȓal el consu u cumândave lâ “curvûa jénéȓale” en mânden el garde â fa el vi bu el tâmbur per es fa sopaiȓe â tus. Tus i pârtien per ânà ârânjà la vià u fa ed trâvau â lâ Laune u sichtemà lu riù u el bià cursià. D’uten i duvien mai ânà â sétà é épsà el bo per laŝ écoȓa. Qé ju per luŝ écuȓiù l’éȓe propi ûn âmûŝemen, i curien amù é l’âval per laŝ échaȓa en purten ed brâsà ed bò, eq l’éȓe ciù megle qe rechtà âstà sû lu ban! A lâ curvûa le gl’ânave ûn omme per fâmigle é can l’omme u puìa pa gl’ânà, l’éȓe la fenne eq le remplâsave, ji nengû u s’erfusave, tus i l’ânaven vuȓuncìa, sense burbutà, lu “contestatori” i l’écŝichtaven âpcaȓe!
L’ûniqe périod d’erpau ed tu l’an l’éȓe lâ féte ed Sen Jan bu el bal din coqe granje u sû lâ plase can lâ plûvìa pa. El viuȓunaiȓe ul dunave eddin ju é noi, lâ chabbre ed lâ jônése i l’éȓe jomai vidde, ed vin le gnâvìa ciù âncià u du ed jûglette per lâ féte ed lâ Madonne d’Erchardé,
pérò el trai ed jûglette ed matin i l’éȓen tus préchté â ecmensa turne lor trâvagle ed tu lu jù. En ecmensen du milnausendeŝnau, de can el Plâsid Edâȓin u l’a batì l’Otél Miravalle u Pé du Sauŝe, qélle q’éȓe ità, pendan ed siclé lâ vitte ed tu l’an, ed tu jù, ûne vitte dûȓe, ed sâcrifissé, sense erpau ni granta sudisfasiun, ûn pau per cò i l’a ecmensà â chinjà. Mersì u turisme, an âpré an el Paì u li diventà eq me el Plâsid, mun paiȓe, u l’âvìa jò âluȓe imâjinà: el Sauŝe eq mu li ioiȓe.
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