Di tutto ciò che l’uomo, spinto dal suo istinto vitale, costruisce ed erige, nulla è più bello e prezioso per me dei ponti. I ponti sono più importanti delle case, più sacri perché più utili dei templi. Appartengono a tutti e sono uguali per tutti, sempre costruiti sensatamente nel punto in cui si incrocia la maggior parte delle necessità umane, più duraturi di tutte le altre costruzioni, mai asserviti al segreto o al malvagio.
I grandi ponti di pietra, grigi ed erosi dal vento e dalle piogge, spesso sgretolati nei loro angoli acuminati, testimoni delle epoche passate, in cui si viveva, si pensava e si costruiva in modo differente: nelle loro giunture e nelle loro invisibili fessure cresce l’erba sottile e gli uccelli fanno il nido.
I sottili ponti di ferro, tesi come filo da una sponda all’altra, che vibrano ed echeggiano ad ogni treno che li percorre, come se aspettassero ancora la loro forma e perfezione finale. La bellezza delle loro linee si svelerà deltutto solo agli occhi dei nostri nipoti.
I ponti di legno all’entrata delle cittadine bosniache le cui travi traballano e risuonano sotto gli zoccoli dei cavalli, come le lamine di uno xilofono. E infine,quei minuscoli ponti sulle montagne, spesso solo un unico grande tronco ovale, massimo due, inchiodati uno accanto all’altro, gettati sopra qualche ruscello montagno che senza di loro sarebbe invalicabile. Due volte all’anno il torrente impetuoso ingrossandosi li trascina via e i contadini, con l’ostinazione cieca delle formiche, tagliano e segano e ne rimettono uno nuovo. Per questo, vicino ai ruscelli di montagna, nelle anse fra le pietre dilavate, spesso si vedono questi «ponti» precedenti: stanno lì abbandonati a marcire insieme all’altra legna arrivata per caso. Ma questi tronchi di alberi lavorati, condannati a bruciare o a marcire, si differenziano comunque dal resto e ricordano sempre l’obiettivo per il quale sono serviti.
Diventano tutti uni uno solo e tutti degni della nostra attenzione, perché indicano il posto in cui l’uomo ha incontrato l’ostacolo e non si è arrestato, lo ha superato e scavalcato come meglio ha potuto, secondo le sue concezioni, il suo gusto e le condizioni circostanti.
Quando penso ai ponti, mi vengono in mente non quelli che ho attraversatopiù spesso, ma quelli su cui mi sono soffermato più a lungo, che hanno attirato la mia attenzione e fatto spiccare il volo alla mia fantasia.
I ponti di Sarajevo, prima di tutto. Sul fiume Miljacka, il cui letto è una sorta di sua spina dorsale, rappresentano vertebre di pietra. Li vedo e li posso contare uno ad uno. Conosco le loro arcate, ricordo i loro parapetti.fra di loro c’è n’è anche uno che porta il nome fatale di un ragazzo¹, un ponte minuscolo ma eterno che sembra ritiratosi in sé stesso, una piccola e accogliente fortezza che non conosce né resa né tradimento.
Poi i ponti visti nei viaggi, di notte, dai finestrini dei treni, sottili e bianchi come fantasmi. I ponti di pietra in Spagna, ricoperti dall’edera e come impensieriti della propria immagineriflessa nell’acqua scura. I ponti di legno in Svizzera, ricoperti da un tetto che li difende dalle abbondanti nevicate, assomigliano a lunghi silos e sono ornati all’interno da immaglini di santi o di avvenimenti miracolosi come fossero cappelle. I ponti fantastici della Turchia, poggiati lì per caso, custoditi e protetti dal destino. I ponti di Roma, dell’Italia meridionale, fatti di pietra candida, da cui il tempo ha preso tutto quello che ha potuto e accanto ai quali da cent’anni ne vengono costruiti di nuovi, ma che restano come sentinelle ossificate.
Così, ovunque nel mondo, in qualsiasi pòsto, il mio pensiero vada e si arresti, trova fedeli e operosi ponti, come eterno e mai soddisfatto desiderio dell’uomo di collegatre, pacificare e unire insieme tutto ciò che appare davanti al nostro spirito, ai nostri occhi, ai nostri piedi, perché non ci siano divisioni, contrasti, distacchi...
Così anche nei sogni e nellibero gioco della fantasia, ascoltando la musica più bella e più amara che abbia mai sentito,mi appare all’improvviso davanti il ponte di pietra tagliato a metà, mentre le parti spezzate dell’arco interrotto dolorosamente si protendono l’una verso l’altra e con un ultimo sforzo fanno vedere l’unica linea possibile dell’arcata scomparsa. È la fedeltà e l’estrema ostinazione della bellezza, che permette accanto a sé un’unica possibilità: la non esistenza.
E infine, tutto ciò che questa nostra vita esprime – pensieri, sforzi, sguardi, sorrisi, parole, sospiri – tutto tende verso l’altra sponda, come verso una meta, e solo con questa acquista il suo vero senso. Tutto ci porta a superare qualcosa, a oltrepassare: il disordine, la morte o l’assurdo. Poiché, tutto è passaggio, è un ponte le cui estremità si perdono nell’infinito e al cui confronto tutti i ponti di questa terra sono solo giocattoli da bambini,, pallidi simboli. Mentre la nostra speranza è su quell’altra sponda.
¹ Gavrilo Princip, colui che fece l’attentato contro il duca austriaco Francesco Ferdinando
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