I gipeti erano noti già ai Romani, che li chiamavano “ossifraga”, che significa “coloro che rompono le ossa”. Infatti è un uccello necrofago che si nutre per lo più delle ossa di carogne e per quello è quindi lo “spazzino delle Alpi”
È più grande dell’aquila reale e anche la sua coda è più lunga: in effetti è l’uccello più grande delle Alpi e di tutta l’Europa. Pur appartenendo alla famiglia degli avvoltoi, non è sgradevole di aspetto: è coperto da un folto piumaggio, attorno agli occhi ha un vistoso anello rosso e ai lati del becco ha piume nere simili a una barba. Proprio da qui deriva il suo nome comune, “avvoltoio barbuto”.
Poiché si nutre quasi esclusivamente di ossa, è uno dei pochi uccelli ad avere uno stomaco capace di digerire le ossa. Quindi non deve mai competere con nessuno per il cibo: di solito gli basta aspettare fino a quando di un camoscio morto o di un cervo non rimangono altro che le ossa. Ma come fa a ingoiarle? Quelle che sono più corte di trenta centimetri vengono ingoiate intere, mentre quelle più grandi le afferra con gli artigli e le porta via in volo fino a 50-100 metri di altezza e poi le lascia cadere su una lastra di pietra così che, una volta frantumate possano essere inghiottite.
Formata la coppia, legata per il resto della vita, in autunno inizia la preparazione del nido, nel quale verranno deposte, fra gennaio e febbraio, generalmente 2 uova. La cova che dura 55-60 giorni, inizia immediatamente dopo la deposizione del primo uovo, e la schiusa avviene a marzo, proprio quando c'è maggiore disponibilità di cibo, in quanto iniziano a comparire le prime carcasse di ungulati morti sotto le valanghe.
Proprio la caratteristica di imbottire, con pelli di animali morti, il proprio nido pere tenere così le uova al caldo, è stata la ragione della sua distruzione. Infatti quando le trasporta in volo le pelli verso il nido può sembrare che abbia appena predato del bestiame al pascolo. Nei secoli scorsi tale leggenda ha fatto sì che questo uccello divenisse oggetto di una massiccia persecuzione, anche perché molto ambito come trofeo di caccia e imbalsamato. Numerose leggende circolavano, facendo crescere la sua brutta fama: si diceva che cacciasse gli agnelli e rapisse i bambini piccoli. Tutte queste storie, non vere, hanno portato alla sua eliminazione totale dalle Alpi. Ma grazie a un progetto di reinserimento, oggi ne vivono circa 200 coppie tra la Svizzera, Italia, Francia e Austria.
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