Ma la più bella era questa. In riva al mare, sotto i grandi pini. Come una nave di roccia pronta a partire fra le onde verso lo splendido orizzonte. La tomba di Teodete, il filosofo. Un'elegante iscrizione in lettere elleniche ricordava il famoso indovinello dell'egregio discepolo di Isocrate. Siamo sorelle ambedue, ciascuna dà nascita all'altra - Chi siamo? - Il giorno e la notte.
I bambini giocavano sulla sabbia a tre passi dall'elegante nave di pietra rossiccia. Quella tomba su cui Alessandro il grande era venuto a posare dei fiori, l'anno che passò di qui. E il posto gli piacque a tal punto che volle rimanerci un intero anno.
In alto il bosco odorante di pini, dove si cela il tempio di Atena, solitario, con all'interno la celebre reliquia della lancia di Achille. Proprio quella che uccise Ettore durante l'assedio di Troia. E sopra il marmo che luceva come un sogno nel grande sole, le creste brulle, splendenti, le cui guglie rocciose si dispiegavano nel cielo di un blu troppo crudele.
Dopo il grande Alessandro, era venuto Tolomeo. Gli avevano eretto una statua. Poi i romani, Domiziano, Adriano. I loro nomi furono scolpiti a loro volta su questo marmo.
E passarono i secoli. Nella cassa di pietra calcarea, nave eterna, in riva al grande mare, Teodete proseguiva in eterno senza limiti il suo pensare. Il vento del mare cantava fra i rami dei pini. Gli uccelli vi danzavano attorno familiarmente. I marinai , quando toccavano terra, vedevano la sua bella tomba e la salutavano con uno sguardo, prima di volgere gli occhi verso le locande delle tenutarie di bordelli, dove sapevano trovare le più focose prostitute della Licia, della Pisidia e della Panfilia. Qui le persone sono pirati, ladri, puttanieri e protettori, ma la vita è dolce. Nel ginnasio begli adolescenti nudi, unti d'olio, apprendevano i segreti della lotta. Alcuni marinai, più che il sorriso delle ragazze all'entrata del porto, sbirciavano forse da quella parte. Nel suo sogno d'eternità il vecchio filosofo lo vedeva bene.
E vennero i secoli del rame e del ferro, le invasioni di turbe di guerrieri più feroci che lupi. Venuti dalle terre, in là, lontano. E le città intorno erano bruciate, crollate. Il sorriso disparve dai visi. La lunga strada ombreggiata che discendeva fra i marmi delle statue verso la porta monumentale dedicata ad Adriano fu un giorno deserta. Il piccolo teatro alle pendici del costone non vide più inscenare le commedie di Menandro o di Aristofane, né le tragedie di Sofocle e di Euripide. Soltanto le lucertole, il vento, le erbacce. Nelle case diroccate crescevano rovi e ginestre. Nessuno si soffermava più a leggere sui piedistalli il nome degli imperatori, degli eroi e degli dei. Né quello del filosofo, le lettere del cui nome, finemente scolpite, eran quasi cancellate dalla morsura dell'aria marina e l'ustione del sole. La dolce città in riva al mare era morta. Tornata ammasso di pietre e groviglio di rovi. Le colonne di marmo scintillante caddero al suolo. E così le eleganti statue. Quindici secoli di vita fervente e succosa, di gioie, dolori, e d'un tratto nulla, il silenzio della pietra, lo spirare del vento, il ronzio degli insetti.
Teodete, nel suo sonno, in fondo alla sua nave eterna, avviato fuori dal tempo, custodiva la risposta al suo enigma filosofico. No, il tempo non si chiude in se stesso come uno stadio in cui corrono le mute. Fugge in là, cieco, folle , spietato, e non ritorna mai.
Faseli
Estate del 2002
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