Il poeta chiomontino Daniele Ponsero (1952-), impiegato presso le Ferrovie dello Stato, partecipa alla redazione della Rafanhaudo sin dal primo numero del 1986 ed è tra i redattori della nuova veste della rivista rinata nel 2011. Sul primo numero della Rafanhaudo pubblica le due poesie Veulho fountano (vecchia fontana) e La fountano (La fontana) composte «ën lêngo d’Oc, la lêngo dou paȳs ënteȳ mi a soun näissu e ënteȳ a tornou tjoūr» (in linga d’Oc, la lingua del paese dove sono nato e dove ritorno sempre).
Il Ponsero accompagna le due poesie esprimendo il suo «deypläisīr per la gėnt qui parlo påurè la lêngo dë notri réirè» (dispiacere per la gente che non parla più la lingua dei nostri avi) e con la grande speranza che «dins pāuc de tėmps quåuquarën l’anè a chinjar»(in poco tempo qualcosa cambi). La grafia utilizzata dal Ponsero è quella adottata dalla redazione della Rafanhaudo che fa riferimento alle lezioni di Valerio Coletto.
Sul terzo numero della rivista, il Ponsero inserisce la poesia La Rafanhaudo, scritta alcuni anni prima, che narra di quell’essere mostruoso partorito dalla fantasia popolare da cui la rivista stessa prende il nome. Il Coletto, commentandone l’esito poetico ritiene che «dë sigur notrè pouéto ou s’ei pas trot força la trippo e ëncaro mouens ou s’ei pas trot frutà lë cervél» (di sicuro il nostro poeta non si è troppo “sforzato la pancia” e ancor meno si è spremuto troppo il cervello) ma che, comunque, è riuscito a dare «l’ideyo justo d’itjėn qué la “rafanhàudo” lh’ero per louns eyfans dë Chàumount»(l’idea giusta di ciò che la “Rafanhaudo” era per i bambini di Chiomonte).
Daniele Ponsero accoglie la punzecchiatura del Coletto e pubblica sulla Rafanhaudo del 1989, la poesia Ma bassocourt (Il mio cortile) dandone una traduzione solo in francese. I versi di Ma bassocourt si staccano per profondità e complessità dai componimenti precedenti, rendendo con struggente e intimo canto l’impietoso scorrere del tempo e la trasformazione del mondo chiomontino nel quale il poeta ritrova le proprie profonde radici.
Il testo è corredato da numerose note esplicative, rigorosamente in lingua occitana, con uno studio dei chiomontesismi e di alcuni termini utilizzati tra i quali purussìer (pero) di cui annota che si tratta di un chiomontesismo in luogo dell’occitano classico perussiér (pero selvatico) dove il pero è indicato piuttosto come periér.
Un’altra annotazione riguarda la forma chiomontina paure, contrazione di pas (non) e àure (forma neutra dell’aggettivo autre = autro choso, altra cosa), a Exilles e nell’Alta Valle della Dora, spiega il Ponsero, il termine utilizzato è psàure, mentre nei paesi francoprovenzali di Giaglione e Gravere si utilizza pòoutro.
Sull’Armanac Chamousin del 1992, cessate le pubblicazioni della Rafanhaudo, appare la poesia Quaquarën l’ei en tren à murir! (Qualcosa sta morendo!) dove le speranze e gli auspici del Ponsero per una rinascita della parlata chiomontina, espresse qualche anno prima, sembrano svanire e lo inducono a un vigoroso appello ai propri concittadini perché riprendano a parlare la loro lingua.
Quaquarën l’ei en tren à murir!
Con le poesie Chanto l’uvern (Canta l’inverno) e Doue nueise(Due noci), pubblicate nel 2012, il Ponsero raggiunge la maturità poetica e i suoi versi, sebbene permanga un senso nostalgico nel quale si crogiola la poesia altovalsusina del Novecento, raggiungono le vette espressive più alte.
Il ciclo del Pieroun
Nell’agosto 2013 in occasione della rimozione dei rovi e del ripristino, da parte di alcuni chiomontini volontari, dell’area del Pieroun, Daniele Ponsero presta la sua opera e scrive alcune poesie, pubblicate su La Rafanhauda del gennaio 2014. Le liriche sono dedicate a ciò che le pietre dell’antico pilone votivo hanno rappresentato per le comunità chiomontina e della frazione Ramats e lanciano un grido contro la devastazione e la colonizzazione del territorio, acuitesi con il cantiere per le opere della controversa linea ad alta velocità Torino-Lione.
Il pilone votivo sorge accanto all’antico tracciato della mulattiera in regione Plantalh, sulla sinistra dell’attuale strada che da Chiomonte conduce alla centrale idroelettrica ed era, fino agli anni Ottanta del XIX secolo, quando fu costruito il cimitero di Ramats, luogo di sosta delle processioni funebri che dalla frazione scendevano al capoluogo.
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