italiano

Daniele Gally (1931-2002), è a servizio con la moglie presso gli industriali Remmert, l’aristocratica famiglia di origine prussiana, sia presso la villa di montagna da questi costruita a Sauze d’Oulx (dove negli anni Trenta è tentato un allevamento di visoni) sia presso la dimora patrizia di Ciriè dove principalmente esercita l’attività di guardia e di chauffeur.

Pazientemente il Gally traduce nella sua parlata, quella di Sauze d’Oulx, ben 16.852 vocaboli per la formazione di un dizionario ad oggi rimasto inedito, oltre ad un’infinità di proverbi e modi di dire, circa 10.000, provenienti anche da culture molto lontane nello spazio o nel tempo: araba, cinese, indiana, persiana, armena, russa, latina, greca, ebraica, ecc. o appartenenti a popolazioni africane e native americane.

Mescolati a questi e a frasi celebri o ad aforismi di autori classici della letteratura mondiale e a versi della Bibbia o del Vangelo, sono presenti nelle trascrizioni del Gally, fortunatamente segnalati, alcuni proverbi e motti della tradizione di Sauze d’Oulx quali: Tândìsqe ûn’òmme gran s’ètìre ûn pchinò es vir’e (Mentre un uomo alto si stira, un uomo piccolo si gira), Si la nébbla ven du càire du Prâjer’á, pren tun dagle è vài u prá (Se le nuvole vanno verso Pragelato, prendi la falce e vai al prato), Si’t vòr’a trumpà el vis’ìn, cùjté vìttu è lèvtè ed bun mâtìn (Se vuoi ingannare il vicino, coricati presto e alzati di buon mattino), Sén Bartumiù, el paqìa i tan tiù eq miù (San Bartolomeo, il pascolo è tanto tuo che mio), El prâmìa turté, ven jomài bé (Il primo tortello, non viene mai bello), Fà dânsà lu trentedù [mijà] (Far ballare i trentadue, mangiare), Pà mijà per pà chià (Non mangiare per non cacare. Si dice di persone tirchie), Ed mâtín i mìjén el Bungiù, d’âprèmânjù i chién el giàble (Di mattino mangiano il Buon Dio, di pomeriggio cacano il diavolo), Mégle petà dràn ûn pràir’e ‘q crâpà d’âr’àir’e (Meglio petare davanti a un prete che crepargli dietro), Nàu mài d’ivér, trài mài d’ânfér (Nove mesi d’inverno, tre mesi d’inferno), La par’òlla lònjà fen lu jù cùre (Le parole lunghe fanno i giorni corti), Pan frésqe, tùmme frésqe, bò vére, rendén lâ mes’ùn ûn dès’ére (Pane fresco, formaggio fresco, legna verde rendono la casa un deserto).

Nel 1997, anno della morte del poeta dialettale quasi centenario Ignazio Buttitta, Daniele Gally cui piaceva firmarsi tuntun Daniél (lo zio Daniele), traduce dall’italiano la poesia Ûn pöple (Il popolo), sentendo profondamente suo quanto esplicitato con parole vibranti dal poeta siciliano già nel lontano 1970. La poesia sarà pubblicata da Pippo Greco, insieme con alcuni proverbi, sul primo numero della rivista Alta e Bella Valle di Susa.

La grafia scelta dal Gally è quella italiana con adozione di j (mìjen, mangiano) e ch (buchàgli, chiudetegli) alla francese, q utilizzata anche in finale di parola con valore di c aspra (entéq, dove), r per la pronuncia alla francese (partàje, divisione) e r’ per la pronuncia all’italiana (mavir’á, di malumore), s’ con valore di s sonora (mès’un, casa).

Non vi è uso della z e si riscontra un solo caso di uso della k nella parola ripresa dalla lingua inglese skilift adottata dalla parlata locale nell’immediato dopoguerra con lo sviluppo degli impianti di risalita che sostituiscono le slittovie, normalmente pronunciata senza la t finale e con il plurale skiliffe.

Per quanto riguarda le vocali il Gally scrive nelle sue note che debbano pronunciarsi à,è,ì,ò,ù con suono aperto e á,é,í,ó,ú con suono chiuso, ma tale distinzione è riscontrabile nella parlata locale solo per la o e per la e che spesso non sono esattamente riportate, creando qualche problema di corretta pronuncia come, ad esempio, la è di èmìne (misura per cereali) che non è né aperta né allungata e che dovrebbe scrivere émìne.

Con l’accento grave, inoltre, il Gally indica per lo più l’allungamento vocalico, sia aperto sia chiuso (chàine, catena; pâspòr, passaporto) ad eccezione della e, dove l’allungamento non è graficamente riscontrabile (in téte, testa e Duère, Dora si esegue l’allungamento, mentre in dén, dito/dita l’allungamento distingue il plurale dal singolare). La â indica un suono indistinto tra a ed e (âncà, ancora), la e non accentata è da intendersi semimuta (tàble, tavolo), la ö ad indicare il suono corrispondente a eu francese (pöple, popolo), mentre û corrisponde al suono u francese (pârdû, perduto).


Un popolo

Un popolo,

mettetelo a catena,

spogliatelo,

tappategli la bocca,

è ancora libero.

Levategli il lavoro,

il passaporto,

la tavola dove mangia,

il letto dove dorme,

è ancora ricco.

Un popolo

diventa povero e servo,

quando gli rubano la lingua

adottata dai padri, allora

è perso per sempre.

Diventa povero e servo,

quando le parole

non figliano parole e

si mangiano tra esse.

Ûn pöple,

bitàlu a la chàine,

dèpûiàlu,

buchàgli lâ bùche (gùre),

u lì âncà lìbre.

Garàgli el tràvagle,

el pâspòr,

le tàble entéq u mìje,

el lài entéq u dör,

u lì âncà rìche.

Ûn pöple,

ud’ven pàure è èsclàve

càn ìgl’volen lâ lénghe

âduptà du veglè: âlure

u li pârdû per ciù.

Ud’ven pàure è èsclàve,

can la paròlla

fen pâmài ed paròlla è

las mìjen trâ iélla.252