I volumi dedicati alle minoranze linguistiche restano, al più, relegati negli ambiti territoriali di competenza.
Il tema è ancora ai margini e se pure non più fastidioso come un tempo viene relegato ai margini.
Tutto questo nonostante una legge dello Stato abbia riconosciuto pari dignità, rispetto alla lingua nazionale, a dodici lingue minorizzate.
Anche questa è espressione che non piace e le si preferisce definire minoritarie, anche se ci fu un tempo che nei territori di riferimento furono - e talvolta lo sono ancora oggi- maggioritarie.
Aiuta a meglio capire la sostanza dell’argomento, il saggio “Gli Italiani che non conosciamo: Lingue, DNA e percorsi delle comunità storiche minoritarie” a cura di Giovanni Destro Bisol, Erica Autelli, Marco Capocasa e Mauro Caria, promosso dall’Istituto Italiano di Antropologia e realizzato grazie al contributo della Direzione generale Educazione, Ricerca e Istituti culturali del Ministero della Cultura.
Per comporre questa geografia atipica delle nuove lingue riconosciute il saggio si è avvalso dei contributi di: Giovanni Agresti, Delia Airoldi, Marcello Aprile, Erica Autelli, Nicola Bavasso, Ermenegildo Bidese, Maria Carla Calò, Marco Capocasa, Marco Caria, Federica Cognola, Beatrice Colcuc, Emanuele Coniglio, Andrea De Giovanni, Giovanni Destro Bisol, Maria Dore, Riccardo Imperiale, Vinko Kovačić, Donata Luiselli, Luca Melchior, Carmela Perta, Rosalba Petrilli, Matteo Rivoira, Caterina Saracco, Francesca Sammartino, Stefania Sarno, Matej Šekli, Diego Sidraschi, Giuseppe Vona, Francesco Zuin.
Ma alla fonte le “persone prima di tutto” che aprono la prima sezione del volume, figure impegnate sul territorio nella difesa e valorizzazione delle lingue: Teresa Geninatti (Francoprovenzali); Ines Cavalcanti (Occitani); Piero Rinalodi, Paola Borla (Walser di Rimella); Vito Massalongo (Cimbri veronesi); Sauro Tondello (Cimbri dei Sette Comuni vicentini); Leo Tolfer (Mocheni); Claudia Colle Fontana, Marcella Benedetti, Diego Piller Corre (Germanofoni di Sappada); Augusto Petris (Germanofoni di Sauris); Velia Plozner, Mauro Unfern, Eddie Bianchet, Inava Primus Loredano Primus,Velio Unfer (Germanofoni di Tinau); Eleonora De Mattia (Ladini); Maddalena Martini Marzolai, Silvia De Martinis Pinter, Davide Conedera e Nicolai Cassisi (Ladini di Agordino e Comelico); Maria Moschitz, Luca Mischkot, Anna Weda, Luciano Lister (Sloveni della Val Canale); Francesca Sammartino (Croato-molisani); Freedom Pentimalli (Griko); Daniela Zanfini (Arbëreshë); Fedele Carboni (Catalano Algherese); Maria Carta Siciliano (Tabarchino di Carloforte); Graziano Alilovic (Romanes).
Questi ultimi due idiomi non sono tuttavia inclusi nella legge nazionale n.482 e torneremo, più avanti, sul secondo.
Nel lungo ma doveroso elenco, che deve suonare a tributo di chi non si è arreso e ha tenuta accesa la brace sotto la cenere del conformismo, della stardardizzazione e dell’omologazione che avrebbe voluto soffocare una diversità linguistica patrimonio culturale dell’Umanità sono, per contro, inspiegabilmente assenti i rappresentanti della lingua sarda, del friulano.
Il volume andrebbe diffuso per farlo conoscere ai tanti nostri concittadini che ancora lo ignorano e non ne sottovalutano, con sufficienza, l’importanza.
Vengono passate in rassegna le dodici lingue riconosciute, dopo un impegno durato decenni, nel 1999 con la legge n. 482. Ma viene meritoriamente evocata anche l’omissione – allora giustificata con la mancanza di un riferimento territoriale specifico (criterio adottato per individuare le 12 lingue) ma con l’impegno di tornarci al più presto – delle lingue romanì del popolo dei camminanti.
La promessa, che è a verbale nei lavori della Commissione parlamentare che licenziò la legge n. 483/99, non è mai stata mantenuta, Da allora – e sono trascorsi ben 25 anni – quelli che vengono volgarmente chiamati “zingari” attendono il riconoscimento anche per il loro antico idioma indoeuropeo. Anche questo rientra tra le discriminazioni cui ci ha recentemente richiamati la Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (che non è una ONG né una organizzazione militante, ma istituzionale). Tanta ingiustificata irritazione il nostro Paese a cominciare dal Presidente Mattarella. Gli occhi servono se sanno guardare e non solo vedere. Delle due l’una: o, evidentemente, quelli italiani sono affetti da presbiopia, oppure non vogliono guardare la realtà che da lontano segnala le nostre contraddizioni e omissioni. La profilazione da parte delle Forze dell’ordine nei confronti di Sinti e Rom è conclamata e documentata a partire dalla cosiddetta “Emergenza nomadi” del Governo Berlusconi (2008) che con Decreto autorizzava il censimento delle popolazioni nomadi nei campi, compreso il rilievo delle impronte digitali anche dei minori: per fortuna fu dichiarato illegittimo dal Consiglio di Stato. Che ci sia discriminazione lo si evince anche dalla legge istitutiva della Giornata della memoria che escluse il Porajemos, lo sterminio programmato dai nazifascisti che coinvolse oltre 500 mila “zingari”.
Dopo la presentazione dei protagonisti il volume si sviluppa attraverso un successivo capitolo dedicato al tema “Umani, DNA e lingue”, incursione biochimica in cui si evidenza come DNA e lingue contribuiscano alla definizione delle varie identità culturali. L’argomento, che ha portato sovente a parlare di minoranze etno-linguistiche, è approfondito nel saggio successivo dedicato a “Storie (italiane) scritte nei geni e nelle lingue”. Si torna in ambito più strettamente culturale con “Il patrimonio linguistico e culturale in Italia” che introduce le pagine successive in cui si propone una vera e propria mappatura linguistica della penisola. Ad essa vi rimandiamo segnalandone solo i titoli. Nella sezione “Verso Nord: Alpi e dintorni” incontriamo i Cimbri, i Francoprovenzali e i Francesi nell’Italia settentrionale, i Friuliani, i Walser, i Ladini, i Mocheni, gli Occitani, i Sappadini, i Saurani e i tedescofoni dell’Alto Adige/Sudtirol, i Tirolesi e i Valcanalesi. Come vedete il saggio decide di scostarsi dalle scelte legislative per proporre gruppi di lingue locali non riconosciute dalla legge e spesso ridotte al rango di dialetti.
“Verso Sud: arrivi da Est e altre storie” ci porta a conoscere gli Arbëreshë (albanese arcaico), i Croati del Molise, i Francoprovenzali di Puglia, i Griki. E qui va sottolineata la dimenticanza degli Occitani di Guardia Piemontese, insediatisi in Calabria a seguito delle persecuzioni religiose nei confronti dei protestanti valdesi. Infine con “Sardegna: isolamento e approdo” si va nell’Isola per l’Algherese (che la legge ha assimilato al catalano), i Sardi e i Sardo-Corsi e i Tabarchini. Chiude il volume il meritorio capitolo “Attraverso l’Italia: i Rom e i Sinti” che dà conto del “popolo del vento” che come detto, essendo per definizione nomade, senza territori di riferimento non trovò collocazione nella legge nazionale.
Torna circolarmente, in chiusura, una sezione che ragiona sulle minoranze e il corredo genomico delle comunità parlanti le lingue minorizzate cui segue una sorta di invocazione “Ascoltiamoli: presente e futuro delle comunità alloglottone” con le risposte dei parlanti minoritari a una indagine nella quale si è domandato se il senso di identità e l’uso della lingua sia ancora radicato o se invece si avverta una sua perdita.
Per concludere non poteva mancare, in ossequio alle tendenze del costume, una strizzatina d’occhio a un comparto alla moda, l’enogastronomia. Argomento fragile, dove il collegamento linguistico appare, in molti casi, veramente azzardato anche se una recente pubblicistica ci ha fatto fortune.
Il volume, con l’auspicio che si prefigge di portare sotto i riflettori “gli Italiani che non conosciamo” - comunità che hanno saputo conservare con consapevolezza, orgoglio, passione e ostinazione, il patrimonio di diversità culturale e non solo linguistica di cui sono portatori - merita ampia diffusione e il miglior successo.
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