Nòvas d'Occitània    Nòvas d'Occitània 2023

invia mail   print document in pdf format Rss channel

Nòvas n.234 Novembre 2023

Essere nel tempo

Èsser dins lo temp

di Peyre Anghilante

italiano

A volte, presi da chissà quale impeto, sopraffatti da qualche energia, crediamo che il mondo sia ai nostri piedi, in ascolto, pronto ad soddisfare i nostri desideri, a piegarsi alla nostra volontà. Ma ci si ritrova presto a tirare pugni in aria, guardandocisi attorno. Di fronte all’effimera volontà dell’uomo di dominare la realtà si pone poi un fattore, il tempo, dimensione talmente vasta e al di là della nostra comprensione da far venire subito la voglia di rimettersi le mani in tasca, o sulle ginocchia, e riflettere. E basta poco per accorgersi di essere gli ultimi, che tutto è già stato sperimentato, vissuto e posto alla ragione. Una ragione che appartiene ad un ente che percepisce e sperimenta l’esistenza, in una dimensione temporale finita, cercando di comprenderne il senso ed operando delle scelte. E se l’essere fosse al di là del tempo e come sostengono alcuni, lo stesso tempo non esistesse e fosse soltano una nostra percezione? Le mani stringono le cosce... davvero non ci è dato sapere?

Del rapporto fra l’essere e il tempo ha scritto il filosofo Martin Heidegger in varie opere, fra le quali, giustamente, Sein und Zeit (Essere e tempo). Il suo pensiero parte da un semplice assunto: per comprendere il senso dell’essere, occorre entrare nel campo dell’ontologia, lo studio dell’essere, e passare necessariamente attraverso lo studio di quell’ente che è l’uomo, che Heidegger chiamava Esserci (Dasein). L’Analitica esistenziale, l’analisi del modo dell’essere dell’Esserci, è l’unica strada, secondo Heidegger, per giungere alla determinazione di quel senso dell’essere che è il termine finale dell’ontologia. Poiché la sua esistenza è caratterizzata dalla capacità di porre il problema dell’essere e dalla possibilità d’essere. “L’Esserci è sempre la sua possibilità”, l’esistenza non una realtà fissa e predeterminata, ma un insieme di possibilità fra le quali l’uomo deve scegliere. L’uomo è ciò che “ha da essere” ciò che è, in quanto, come possibilità, è ciò che egli stesso sceglie o progetta di essere. “Ex-sistere”, dunque, significa trascendere la realtà in vista della possibilità. L’alternativa è fra autenticità e inautenticità, che il filosofo tedesco argomenterà ampiamente nella sua opera, partendo da questa affermazione: “Appunto perché l’Esserci è essenzialmente la sua possibilità, questo ente può, nel suo essere, o ‘scegliersi’, conquistarsi, oppure perdersi e non conquistarsi affatto o conquistarsi solo ‘apparentemente’”.

Stringendo il cerchio, l’uomo, secondo Heidegger, è legato alla propria finitudine e si trova, “in cospetto della nudità del suo destino”, di fronte alla radicale nullità dell’esistenza. Scrive egli: “Noi concepiamo la morte come la possibilità già chiarita dell’impossibilità dell’esistenza, cioè come la pura e semplice nullità dell’Esserci”. Egli è un progetto-gettato nelle varie dimensioni del tempo. L’esistenza è in primo luogo un essere possibile, un progettarsi in avanti che non fa che cadere all’indietro, su ciò che l’esistenza è di fatto. Ma in una temporalità che, in termini filosofici, è il senso dell’essere dell’Esserci, che egli chiamava Cura, intesa come totalità delle determinazioni dell’essere dell’uomo e struttura fondamentale dell’esistenza. Così il tempo non si aggiunge all’esistenza, cioè all’essere dell’uomo. “L’Esserci è tempo, o meglio, la temporalità è ciò che rende possibile l’Esserci nella totalità strutturale delle sue determinazioni. L’uomo, infatti, ‘esiste’ storicamente e temporalmente non perche vive ‘nel’ tempo o in una storia che lo condiziona dall’esterno, ma perché propriamente l’essenza dell’ ‘esserci’, la sua ‘ex-sistenza’, è un ‘temporalizzare’, un dispiegarsi nelle dimensioni temporali, il passato, il presente, il futuro, nell’orizzonte delle quali si colloca e spiega la comprensione dell’essere”. La storicità si configura infine, nella visione del filosofo, come “ripetizione” e “destino”, ossia come assunzione consapevole dell’eredità del passato e come fedeltà alle possibilità tramandate.

È vero, il tema è complesso e legato, come si è visto, a quello della storia, risultato inevitabile del rapporto fra l’essere e il tempo. Secondo lo storico Franco Cardini, “La storia è una rete fatta di fila che si annodano fra loro, e ad ogni nodo si può prendere una strada piuttosto che un’altra. In fondo, c’è tutto in questa rete. Il problema è che si devono operare delle scelte”. La storia è dunque il risultato del passato, presente e futuro uniti in una trama... di un solo tappeto. A ciò, a sua volta, è legato il tema della strategia fra passato e futuro. Spiega Dario Fabbri, esperto in geopolitica: “La strategia è l’elemento centrale per guardare al futuro, quella parte di pensiero, non soltanto legata alla geopolitica, ma centrata su di essa, che va oltre la contemporaneità. Ma ha una caratteristica peculiare: non va soltanto oltre la contemporaneità, la salta totalmente. La strategia, e dunque lo stratega, non si occupa del presente. Egli è fisso sul passato, mentalmente, poi fa un salto carpiato e si ritrova nel futuro. In che modo? Lo stratega non è lo stratega militare. Tutto ciò che afferisce al militare è pura tattica, perché l’arte bellica è presente, è contemporaneità. Mentre la strategia è molto di più. Lo stratega è un individuo che può svolgere qualsiasi mestiere, ma che, in uno specifico momento di valutazione, immagina che cosa deve capitare alla sua collettività per trasferirsi nel futuro. Lo stratega pensa al suo contesto, non solo, ce l’ha addosso. Egli vive dentro di sé la storia della sua collettività, riconoscendone tutto ciò che è stato ed immaginando di andare oltre sé stesso ed oltre il presente. La strategia non conosce tempo, è totalmente asincrona e anacronistica. Essa immagina, nel suo momento più alto, forse, che cosa è importante e che cosa irrilevante. Taglia la realtà. E non conosce sovrastutture, non le prende mai in considerazione. Lo stratega conosce solo struttura, è convinto che attraverso i tempi la collettività rimane identica, se non cambia la cifra antropologica”.

L’esempio che ne fa Dario Fabbri è da sedersi sulla paglia, come un tempo (ma neanche poi tanto), quando di sera ci si raccoglieva nella stalla e si passava del tempo assieme, e ascoltare: “Ellesponto (i Dardanelli), confine classico fra l’Europa e l’Asia Minore. Nel 480 a.C. due signori si guardano negli occhi: sono Serse, l’imperatore di Persia, e il suo principale consigliere Artabano, zio del medesimo. Stanno puntando all’Europa, vogliono sconfiggere i greci, i loro nemici classici. Non possiedono una grande conoscenza del mare. Serse ha stabilito che si dovesse costruire un ponte di barche per attraversare lo stretto. ‘Mettetele una dietro l’altra, legatele fra di loro, che io e la mia corte le attraverseremo a piedi’. Si trattava di una distanza di più di un chilometro, nella parte più stretta. Al primo tentativo le barche vengono rovesciate dalle onde. Serse ordina la ‘flagellazione del mare’, cioè dà ordine ai suoi di prendere letteralmente a frustate le onde. Ma impone che il ponte sia ricostruito, dopo tale spreco di imbarcazioni. È pronto a passare l’Ellesponto. Serse è convinto che questa immensa opera d’ingegneria idraulica spaventerà talmente tanto i greci che si arrenderanno senza combattere. ‘Chi può resistere’, dice Serse, ‘ad un uomo che cammina sulle acque?’. ‘Nessuno’, si risponde da solo. Ma Artabano gli dice: ‘Beh no, stiamo sprecando un sacco di energie umane e materiali e non si impressionerà nessuno. Non solo, se perdessimo la battaglia, i greci potrebbero fare il percorso a ritroso. Farebbero un ponte, se noi non lo distruggiamo, o non sciogliamo le navi’. Serse guarda suo zio e gli dice: ‘Fosse per te non faremo mai niente, saremmo condannati all’inerzia, o all’apatia, mentre il mondo scorre’. Artabano gli risponde: ‘Il punto è valutare tutto ciò che succede e che è succeso. Ricordati di Maratona’. E soprattutto gli dice, ed è il punto decisivo di questa storia: ‘Pensa al futuro’. Improvvisamente Serse scoppia in lacrime. L’imperatore di Persia piange come un qualsiasi essere umano davanti al suo consigliere. Egli gli chiede perché e Serse risponde: ‘Perché fra cento anni tutti i miei soldati saranno morti’. ‘E quindi?’, risponde Artabano. ‘E quindi adesso o mai più!’. Parte, attraversa. Erodoto racconta di un attraversamento che dura tre notti e tre giorni, con tutta la sua corte e i militari. Si ritrova in Europa, dove va incontro alla disfatta”.

Conclude l’analista: “Serse è il tattico, vive nel presente. Mentre lo stratega valuta tutte le variabili, e quindi è tendenzialmente immobile nel presente. Perché quando si fa ciò ogni movimento fatto è errore. Il tattico si lancia, vive solo per i contemporanei. Al contrario, lo statega vive per gli antenati e i posteri. Nello scontro dialettico sui Dardanelli – in una giornata che Erodoto racconta come molto ventosa – c’è la differenza fra strategia e tattica. Il tattico è un tecnico d’area, conosce il suo campo. Lo stratega fissa gli obiettivi d’ultima istanza. Il tattico li deve realizzare nel presente, poverino, è un mestieraccio. E deve farlo adesso, con i mezzi che ha a disposizione. Se lo stratega deve variare, dall’antropologia a tutte le forme d’arte, alla psicologia, alla storia, all’arte bellica, mediamente il tattico no. Ma lo stratega non interviene sul campo di battaglia direttamente. Lo stratega ha una vertigine, un’intuizione, un guizzo per cui immagina il futuro con il presente dietro le spalle e soprattutto addosso al passato. Vede la sua collettività e dice: ‘Fra trent’anni, fra cinquant’anni dobbiamo fare questo, per essere o una grande potenza, o sopravvivere semplicemente’. Pensa alla narrazione, che è un strumento strategico. Toglie tutto ciò che non conta e va oltre”.

Non si tratta di ghiribizzi o fantasie di qualcuno, ma del racconto storico resoci da Erodoto e di profonde riflessioni su uno dei temi più affascinanti di sempre e centrale riguardo all’esistenza per darci una traccia, una via per interpretare il reale. Sono assolutamente convinto che l’uomo, poiché ne è capace, abbia un grande bisogno di “volare alto”, di indagare in profondità il proprio essere, di riscoprire un sano esistenzialismo, come certamente fece Heiddeger e per fortuna qualcuno già molto tempo prima di lui, di indagare i massimi sistemi. Il quale è dovuto, nel nostro caso, anche solo per parlare di queste tematiche in lingua d’oc, non come amusement, ma come mattone, come progetto. Se la verità coincide con il disvelarsi dell’essere (e non dell’Esserci), ciò presuppone che l’uomo si apra all’essere e si renda disponibile per esso, misurando la verità della sua conoscenza mediante la conformazione di essa alle cose esistenti. “La libertà si scopre così come ciò che ‘lascia essere’ l’ente”. Per l’uomo essere libero significa “abbandonarsi allo svelamento dell’ente come tale”. Ciò che, secondo il filosofo tedesco, è un dono, anzi, il “dono preliminare”, dell’essere all’uomo, per essere lui stesso quell’ente che è e trovarsi ricompreso nella verità dell’essere. Lasciare la corda, senza tornare in uno stato di” deiezione” (la caduta dell’essere dell’uomo al livello delle cose del mondo, dove l’essere è celato a sé stesso), ritornando “all’indietro”. Vedere, e abbandonarsi a quel dono.

Ora, mentre gli altri Persiani se ne stavano in silenzio e non osavano manifestare un’opinione contraria a quella proposta, Artabano, figlio di Istaspe, zio paterno di Serse, in ciò appunto confidando, parlò in questo modo: «O re, se non si esprimono dei pareri contrari tra loro, non è possibile, facendone una scelta, adottare il migliore. È giocoforza attenersi a quello che è stato proposto; invece è possibile farlo quando questi pareri siano stati manifestati come per l’oro: non possiamo riconoscere quello che è puro guardandolo isolatamente, ma quando lo passiamo sulla pietra di paragone accanto ad altro oro, allora sí che possiamo distinguere il migliore”.

Erodoto (VII, 10)

occitan

De bòts, pilhats da vai sauber qual vam, chapats da qualque energia, creiem que lo mond sie a nòstri pè, d’escotons, prèst a satisfar nòstri desirs, a se plegar a nòstra volontat. Mas un se retròba lèu a tirar lhi punhs dins l’aire, en se beicant a la viron. Derant a l’efímera volontat de l’òme de dominar la realitat se pausa un factor, lo temp, dimension talament vasta e al delai de nòstra comprension da far venir d’abòrd la vuelha de se fichar mai las mans dins las sacòchas, o sus lhi janolhs, e reflechir. E chal pas gaire per s’apercéber d’èsser lhi darriers, que tot es já istat experimentat, viscut e pausat a la rason. Una rason que aparten a un èsser que aperceb e experimenta l’existença, dins una dimension temporala finia, en cerchant de ne’n comprene lo sens e en fasent de chausias. E se l’èsser foguesse al delai dal temp e, coma ditz qualqu’un, lo mesme temp existesse ren e foguesse masque una nòstra percepcion? Las mans sarron las cueissas... da bòn polem pas sauber?

Dal rapòrt entre l’èsser e lo temp a escrich lo filòsof Martin Heidegger dins divèrsas òbras, entre las qualas, justament, Sein und Zeit (Èsser e temp). Son pensier part da una simpla assercion: per comprene lo sens de l’èsser, chal intrar ental champ de l’ontologia, l’estudi de l’èsser, e passar necessariament a travèrs l’estudi d’aquel èsser qu’es l’òme, que Heidegger sonava Èsser-lhi (Dasein). L’analítica existenciala, l’anàlisi dal biais d’èsser de l’Èsser-lhi, es la soleta via, second Heidegger, per arribar a la determinacion d’aquel sens de l’èsser que es lo tèrme final de l’ontologia. Daus que son existença es caracterizaa da la capacitat de pausar lo problèma de l’èsser e de la possibilitat d’èsser. “L’Èsser-lhi es sempre sa possibilitat”, l’existença pas una realitat fixa e predeterminaa, mas un ensem de possibilitats entre las qualas l’òme deu cernir. L’òme es çò que “a da èsser” ço que es, dal moment que, coma possibilitat, es çò que el mesme ciern o projècta d’èsser. “Ex-síster”, donca, signífica trascénder la realitat en vista de la possibilitat. L’alternativa es entre autenticitat e inautenticitat, que lo filòsof tedèsc argumentarè amplament dins son òbra, en partent da aquesta afermacion: “Justament perqué l’Èsser-lhi es essencialament sa possibilitat, aquesta entitat pòl, dins son èsser, o ‘cernir-se’, conquistar-se, o pèrder-se e pas conquistar-se dal tot o conquistar-se masque ‘aparentement’”.

En sarrant lo cèrcle, l’òme, second Heidegger, es liat a sa finituda e se tròba, “derant a la nuditat de son destin”, derant a la radicala nullitat de l’existeça. Escriu el: “Nos concebem la mòrt coma la possibilitat já claria de l’impossibilitat de l’existença, o ben coma la pura e simpla nullitat de l’èsser-lhi”. Ele es un projectar-se en anant que fai pas que cheire enreire, sus çò que l’existença es de fach. Mas dins una temporalitat que, en tèrmes filosòfics, es lo sens de l’èsser de l’Èsser-lhi, que el sonava Cura, entendua coma totalitat d’las determinacions de l’èsser de l’òme e estructura fondamentala de l’existença. Parelh lo temp se jonta pas a l’existença, o ben a l’èsser de l’òme. “L’èsser-lhi es de temp, o mielh, la temporalitat es çò que rend possible l’èsser-lhi dins la totalitat estructurala de sas determinacions. L’òme, de fach, ‘exist’ estoricament e temporalament ren perqué viu ‘dins’ lo temp o dins un’estòria que lo condiciona da l’extèrn, mas perqué l’essença de l’ ‘esser-lhi’, son ‘ex-sistença’, es un ‘temporalizar’, un debanar-se dins las dimensions temporalas, lo passat, lo present, lo futur dins l’orizont de las qualas se plaça e desvolopa la comprension de l’èsser”. L’estoricitat se configura, enfin, dins la vision dal filòsof, coma “repeticion” e “destin”, o ben coma assompcion conscienta de l’ereditat dal passat e coma fidelitat a las possibilitats tramandaas.

Es ver, lo tèma es complèx e liat, coma s’es vist, an aquel de l’estòria, resultat inevitable dal rapòrt entre l’èsser e lo temp. Second l’istorian Franco Cardini, “L’estòria es una ret facha de fils que se gropon entre lor, e a chasque grop se pòl prene una via putòst que un’autra. En fons lhi a tot dins aquesta ret. Lo problèma es que se devon far de chausias”.  L’estòria es donca lo resultat dal passat, present e futur units dins una trama... de un solet tapís. An aquò, a son torn, es liat lo tèma de l’estrategia entre passat e futur. Explica Dario Fabbri, expèrt en geopolítica: “L’estrategia es l’element central per beicar al futur, aquela part de pensier, ren masque liaa a la geopolítica, mas centraa sus ela, que vai al delai de la contemporaneïtat. Mas a una característica peculiara: vai ren masque al delai de la contemporaneïtat, la sauta totalament. L’estrategia, e donca l’estratega, s’ocupa pas dal present. El es fix sal passat, mentalament, puei fai un saut carpiat e se retròba ental futur. Dins quala maniera? L’estratega es pas l’estratega militara. Tot çò que concèrn lo militar es pura tàctica, perqué l’art militara es de present, de contemporaneïtat. Dal temp que l’estrategia es ben de mai. L’estratega es un individu que pòl far qual se sie mestier, mas que, dins un específic moment de valutacion, imàgina çò que deu capitar a sa collectivitat per transferir-se ental futur. L’estratega pensa a son contèxt, ren masque, l’a dessús. El viu dins el l’estòria de sa collectivitat, ne’n reconoissent tot çò que es istat e en imaginant d’anar al delai de se e dal present. L’estrategia conois pas de temp, es totalament asíncrona e anacronística. Ela imàgina, dins son moment pus aut, benlèu, çò que es important e çò que es irrilevant. Copa la realitat. E conois pas de sobrestructuras, las pilha jamai en consideracion. L’estratega conois masque l’estructura, es convinçut que a travèrs lhi temps la collectivitat rèsta idéntica, se chambia pas la chifra antropològica”.

L’exèmple que ne’n fai Dario Fabbri es da setar-se sus la palha, coma un bòt (mas nianca puei tant), quora lo sera un se redornava dins l’estable e un passava de temp ensem, e escotar: “Ellespont (lhi Dardanèls), confin clàssic entre l’Europa e l’Àsia minora. Ental 480 a.C. dui senhors se beicon dins lhi uelhs: son Serse, l’emperaor de Pèrsia, e son principal conselhier Artaban, barba dal mesme. Iston ponchant a l’Europa, vòlon bàter lhi grècs, lors nemís clàssics. An pas una granda conoissença de la mar. Serse a establit que se devesse bastir un pònt de barcas per atraversar l’estrech. ‘Butatz-las una darreire l’autra, liatz-las entre lor, que mi abo ma cort las atraversarèm a pè’. Se tractava de una distança de mai d’un quilomètre, dins la part pus estrecha. Al premier temptatiu las barcas venon reversaas da las ondas. Serse órdina la ‘flagellacion dal mar’, o ben dona l’òrdre a lhi siei de prene literaralament a foetaas las ondas. Mas empausa que lo pònt sie rebastit, après un tal gaspilhatge d’embarcacions. Es prèst a passar l’Ellespont. Serse es convinçut que aquesta immensa òbra d’engenheria idràulica espaventarè talament lhi grècs que se renderèn sensa combàter. ‘Qui pòl resíster’, ditz Serse, ‘a un òme que chamina sus las aigas?’. ‘Degun’, se respond da solet. Mas Artaban lhi ditz: ‘Beh no, istem gaspilhant un baron d’energias e de materials e degun s’impressionarè. Ren masque, se perdéssem la batalha, lhi grècs polerion far lo percors a l’envèrs. Faserion un pònt, se lo destruem pas, o desliem pas las naus’. Serse beica son barba e lhi ditz: ‘Foguesse per tu faseríem pas jamai ren, seríem condanats a l’inèrcia, o a l’apatia, mentre que lo mond escor’. Artaban lhi respond: ‘Lo ponch es valutar tot çò que se passa e que s’es passat. Enavise-te de Maratona’. E sustot lhi ditz, e es lo ponch decisiu d’aquesta estòria: ‘Pensa al futur’. Tot d’un crep Serse escopla en larmas. L’emperaor de Pèrsia plora coma un qual se sie èsser uman derant a son conselhier. Ele lhi demanda lo perqué e Serse respond: ‘Perqué d’aicí a cent’ans tuchi mi soldats serèn mòrts’. ‘E alora?’, respond Artaban. ‘E alora aüra o jamai pus!’. Part, atravèrsa.  Erodòte còntia de un atraversament que dura tres nuechs e tres jorns, abo tota sa cort e si militars. Se retròba en Europa, ente vai encòntra a la desfacha”.

Conclui l’analista: “Serse es lo tàctic, viu ental present. Dal temp que l’estratega vàluta totas las variablas e donca es tendencialament immòbil ental present. Perqué quora un fai aquò qual se sie moviment fach es un error. Lo tàctic se lança, viu masque per lhi contemporàneus. Al contrari, l’estratega viu per lhi reires e per qui venerè. Dins l’escòntre dialèctic sus lhi Dardanèls – dins una jornada que Erodòte còntia coma ben ventosa – lhi a la diferença entre l’estrategia e la tàctica. Lo tàctic es un tècnic d’àrea, conois son champ. L’estratega fixa lhi objectius de darriera instança. Lo tàctic lhi deu realizar ental present, pauret, es un mestieràs. E deu far-lo aüra, abo lhi meians que a a disposicion. Se l’estratega deu variar, da l’antropologia a totas las formas d’art, a la psicologia, a l’estòria, a l’art militara, mesanament lo tàctic no. Mas l’estratega interven pas sal champ de batalha directament. L’estratega a un vertige, un’intuïcion, un eslanç e per aquò imàgina lo futur abo lo present darreire las espàtlas e sustot a còl al passat. Ve sa collectivitat e ditz: ‘D’aicí a trent’ans, d’aicí a cincant’ans devem far aiçò, per èsser o una granda potença, o sobreviure simplament’. Pensa a la narracion, que es un instrument estratégic. Gava tot çò que còmpta pas e vai al delai”. 

Se tracta pas de sortias o de fantasias de qualqu’un, mas dal racònt estòric nos rendut da Eròdot e de profondas reflexions sus un di tèmas pus fascinants de sempre e centrals regard a l’existença, per nos donar una traça, una dralha per interpretar lo real. Siu absolutament convinçut que l’òme, daus que n’es bòn, aie un grand besonh de “volar aut”, d’enquestar en profonditat son èsser, de tornar descuérber un san existencialisme, coma certament faset Heidegger e aürosament qualqu’un já ben de temp derant d’el, d’enquestar lhi màxims sistèmas. Lo qual es degut, dins nòstre cas, decò masque per devisar d’aquestas temàticas en lenga d’òc, ren coma amusament, mas coma mon, coma projèct. Se la veritat coïncid abo lo desvelar-se de l’èsser (e ren de l’Èsser-lhi), aquò presupausa que l’òme se duerbe a l’èsser e se rende disponible per el, en mesurant la veritat de sa conoissença a travèrs la conformacion d’ela a las causas existentas. “La libertat se descuerb parelh coma aquò que ‘laissa viure’ l’èsser”. Per l’òme èsser libre signífica “abandonar-se al desvelament de l’èsser coma tal”. Çò que, second lo filòsof tedèsc, es un don, o mielh, lo “don preliminar”, de l’èsser a l’òme, per èsser el mesme aquela entitat que es e trobar-se comprés dins la veritat de l’èsser. Laissar la còrda, sensa tornar dins un estat de “dejeccion” ( la chaüta de l’èsser de l’òme al livèl de las causas dal mond, ente l’èsser es celat a se), en tornant “a l’enreire”. Veire, e abandonar-se an aquel don. 

Aüra, dal temp que d’autri Persians restavon en silenci e encalavon pas a manifestar un’opinion contrària an aquela propausaa, Artaban, filh d’Istaspe, barba pairal de Serse, en confiant justament dins aquò, parlet coma aquò: Òh rei, se s’exprimon pas de vejaires contraris entre lor, es pas possible, ne’n fasent una cernia, adoptar lo melhor. Es forçat se aténer an aquó qu’es istat propausat; al contrari es possible far-lo quora aquesti vejaires sien istats manifestats coma per l’òr; polem pas reconóisser çò qu’es pur en lo beicant isolatament, mas quora lo passem sus la peira de comparason da cant a d’autre òr, alora sì que polem reconóisser lo melhor”.

                                                                                                                              Eròdot (VII, 10)


Condividi