Giovedì 23 novembre 2023, ore 21, per la rassegna “Re-sòna”
Il giorno dell’anteprima del documentario “I Balerin del Bal Veij”, il 29 aprile, ho scattato una foto di sei signore sedute in prima fila. Ecco, per me quell’immagine non ha prezzo, un po' come quell'elenco di esperienze che in una pubblicità di qualche tempo fa (non so se viene ancora riproposta) non potevano manco essere acquistate da una carta di credito bella rinomata.
Le sei signore sono le testimoni e le custodi della memoria delle danze di Sanfront, Valle Po (CN). Insieme ai fratelli Laura Borsetti e Borsetti Umberto sono le protagoniste del mio ultimo documentario, prodotto da Chambra D'òc e dedicato proprio alle danze della Valle Po.
Curenta sembia, curenta baratuira, balet, giga, bourea, inglesa, terso, tola, spousin: ecco i balli che si facevano a Sant'Agata e dintorni, in occasione delle feste, in settimana, pubblicamente e privatamente. Si facevano collette per i suonatori e una volta a furia di ballare si è pure sfondato un palchetto.
Sono tante le storie e i ricordi che sono emersi, una memoria frammentata, difficile trovare i nomi giusti, difficile portare indietro le menti a quei tempi. C'è un po' di confusione, c'è imprecisione, ma ci sono sensazioni forti quando si parla di musica, festa e danza, e quelle sensazioni, quando sono uscite, hanno quasi scosso - anche se solo per un momento - vecchi corpi che in qualche remoto recesso continuano a desiderare di muoversi a tempo di musica, continuano a pensarsi sgambettanti e pure felici, persi nei corteggiamenti e in coreografie che ogni volta si ripetono con nuove varianti.
Tutto questo non ha prezzo, ed è la ragione per cui mi sento privilegiato a lavorare con il documentario e l'antropologia, ad incontrare persone e personaggi che veramente non avrei mai potuto incontrare. Un grazie va a Laura e a Umberto, ai Balerin del Bal Veij, a Ettore Borsetti che li ha fondati, a chi negli anni si è succeduto nelle danze e nelle musiche, a chi ha lavorato alla promozione di un repertorio tanto concentrato quanto interessante (specie per me che ne ero proprio all'oscuro).
Grazie a Laura che si è improvvisata intervistatrice, ha subito le mie osservazioni e i miei piccoli rimproveri, sforzandosi di tenere ferma la lingua anche quando voleva dire qualcosa o semplicemente voleva ridere: so che non è stato facile per lei, ma il suo rapporto con i testimoni e la sua empatia invidiabile ha creato le basi per un lavoro sulla memoria che non era per niente scontato.
Un abbraccio alle signore (scoprirete il loro nome con i titoli di coda), la loro presenza in sala è stata la più bella forma di restituzione di questo progetto, e in ognuna di loro ho visto anche solo per un momento le mie nonne, provenienti anch'esse da quel mondo piemontese e contadino in cui sono cresciuto (posso dirlo) con gioia, tra le stufe e le tovaglie cerate, il borbottio delle pentole, il silenzio delle cucine interrotto da vecchi orologi, le mani nodose e operose, e l'ironia sempre pronta, spesso intrecciata ad una severità bonaria, e ad una tenacia intramontabile. Le mie nonne avevano nel volto una gestualità che ho ritrovato negli incontri della valle Po, un'espressività muta e loquace, piccoli ammiccamenti o movimenti della testa che in pochi attimi dicono tutto quello che c'è da dire. Mi mancava quella sincerità complice, dove si spendono le parole solo quando necessario: credo che sia parte di una forma di comunicazione antica, che per ragioni che conosciamo se ne sta andando, forse per sempre, inghiottita da un'iperverbosità e da un'uniformazione linguistica e comunicativa che spesso mi stanca da morire.
Sabato 29 aprile la sala era gremita e alcuni sanfrontesi manco sono riusciti a vedere il documentario. Allora si trattava di una sorta di “anteprima”, oggi ho ripreso in mano il progetto, lavorando sul montaggio e la post-produzione, e sono molto grato a Rosella Pellerino e a Espaci Occitan per avermi invitato a proiettarlo all’interno della bella rassegna “Re-sòna”, insieme ad altri “libri, mostre, film, concerti e riflessioni sulla musica occitana”.
“Si ballava nelle stalle”, “si ballava con il primo che capitava”, “si ballava anche senza musica”, dicono le testimoni, che non perdono l’occasione per raccontare come ci “si prendeva anche la propria libertà”, in una società in cui (apparentemente?) vigevano regole ferree nelle relazioni tra uomini e donne, sia prima che dopo il matrimonio.
“I Balerin del Bal Veij” nascono e crescono a Sanfront grazie all’opera instancabile di Ettore Borsetti, il padre di Laura e Umberto, uomo dalle grandi capacità organizzative, in grado di portare in Argentina otto coppie di uomini e donne che in certi casi manco avevano viaggiato fino alla vicina Torino. Proprio a Torino abbiamo girato le scene di un laboratorio di danza, ad essere protagonista è il “Gruppo di ballo di Piemonte Cultura”, ovvero “Lj danseur dël Pilon”. Il film è l’occasione per guardare indietro senza smettere di pensare al futuro e alle cosiddette nuove generazioni. Vi aspettiamo numerosi a Espaci Occitan, ci saranno anche Laura e Umberto e potrete così conoscere anche tutte quelle storie che per una ragione o per l’altra sono rimaste “fuori campo”, ovvero fuori dal film.
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